Se oggi fosse ancora tra noi Mark Tuinei avrebbe compiuto 57 anni, e probabilmente avrebbe passato la sua giornata a festeggiare e rimandare a memoria i ricordi di quando era un membro fondamentale di quello che fu definito The Great Wall of Dallas, la linea offensiva che ha protetto gli Hall of Famer Troy Aikman e Emmit Smith in un periodo particolarmente florido per la franchigia texana; un reparto dominante, a tratti devastante sul terreno di gioco, composto da un gruppo di persone che sembravano essere accumunate da un unico, incredibile, tratto comune, che li vedeva accompagnare a qualità tecniche e atletiche assolutamente di altissimo livello dei comportamenti abbastanza discutibili in entrambe le loro vite, quella sportiva e quella privata.

La guardia Nate Newton ha avuto ripetutamente problemi di droga con annessi arresti, il suo collega Mark Stepnovski ha combattuto in prima linea per legalizzare la marijuana dopo il ritiro dalle scene, John Gesek era definito da tutti un “assassino silenzioso”, Kevin Gogan è passato alla storia per essere stato espulso da un Pro Bowl dopo essersi portato a presso per anni la poco invidiabile etichetta di “giocatore più sporco della lega”, e Mark Williams a causa delle sue serate selvagge oltre a guadagnarci qualche denuncia ci ha rimesso quasi la vita in un incidente stradale nel 1994.

Tra tutti loro spiccava però la figura pulita di Tuinei, dipinto da compagni e addetti ai lavori come un padre di famiglia, sicuramente amante del divertimento ma comunque mai sopra le righe, una sorta di gigante gentile così distante dal ragazzo che aveva avuto diversi problemi in gioventù, sia al liceo che nei primi anni universitari, nei quali più di una volta aveva subito arresti per rissa; un giovane maturato e diventato finalmente uomo, che aveva saputo sfruttare appieno quelle doti atletiche donategli da madre natura trasformando una semplice passione in un lavoro decisamente remunerativo.

Ma andiamo con ordine, perché questa, come anticipato, è una storia di talento, titoli e tragedia.

Il talento mostrato fin dagli anni trascorsi alla Punahou High School di Honolulu, distinguendosi sul campo da Football, nel tiro a segno e sul parquet, nella squadra di basket in cui negli stessi anni era presente anche un certo Barack Obama, e la conseguente borsa di studio offertagli dalla UCLA; il viaggio in California, la promozione a starter in quella seconda stagione mai portata a termine a causa della fuga per evitare l’espulsione in seguito all’ennesima rissa e il ritorno nelle tanto amate Hawaii, per vestire la divisa dei Rainbow Warriors.

Un ritorno agrodolce, in cui alterna grandi successi sul terreno di gioco a comportamenti opinabili fuori dallo stesso; cadute che gli costano tre mesi di prigione nel corso della junior season e che sono alla base dei ripetuti infortuni che lo colpiscono nel senior year, impedendogli di mettersi in mostra in vista del Draft e finendo per essere selezionato dai Boston Breakers della USFL dopo essere stato completamente ignorato dalla NFL.

Rifiutato il contratto con la seconda lega statunitense dell’epoca, Tuinei viene così ingaggiato come undrafted dai Dallas Cowboys e dopo due stagioni in cui si dimostra uno dei giocatori fisicamente più forti del roster continuando il suo percorso sul lato difensivo della palla, il suo talento riemerge, complice il passaggio in offense per dar manforte ad una linea che aveva perso diversi giocatori; da quel momento, preseason NFL 1985, una crescita costante ed ininterrotta che lo ha portato ad essere uno dei pochi punti fermi della OL per tredici stagioni, lottando con avversari ed infortuni.

Indicato come un esempio da seguire per la tenacia e lo spirito di sacrificio che lo portavano a scendere in campo nonostante i ripetuti problemi al ginocchio e alla schiena, per Tuinei arriva finalmente il momento dei titoli, quelli individuali, con le convocazioni al Pro Bowl conquistate nel 1994 e nel 1995, e quelli di squadra, con i 3 Super Bowl, XXVII, XXVIII e XXX, vinti con Dallas in quegli anni, che oltre ad arricchire la sua bacheca di trionfi lo hanno consegnato alla gloria eterna.

Uno status quo che ancor oggi lo porta ad essere considerato uno dei migliori lineman ad aver vestito la divisa dei Cowboys, forse superato solo dal suo successore Larry Allen, il giocatore che ne raccolse il testimone sul lato sinistro della linea dopo il taglio avvenuto nel corso della free agency 1998, un anno, o poco più, prima della tragedia, quella che si consuma a Plano, sobborgo di Dallas, in una notte di Maggio del 1999.

Quella tremenda, assurda, notte Mark Tuinei decise di regalarsi un’ultima festa texana prima di raggiungere nuovamente le Hawaii ed iniziare ad allenare nella sua vecchia high school, e nel farlo commette l’irreparabile errore di assumere droga in compagnia dell’amico ed ex compagno di squadra Nicky Sualua, con il quale dopo essersi recato in un appartamento della zona Nord di Dallas, acquista e consuma il temibile speedball, un cocktail di eroina ed ecstasy che negli anni ottanta e novanta era lo sballo preferito di diversi artisti e sportivi di successo.

Una combinazione letale che non lascia scampo a Tuinei, che come verrà rivelato dalla successiva autopsia, non aveva mai fatto uso di eroina o altre droghe pesanti prima di quel fatale 6 Maggio 1999, data che segna il capolinea di una delle più straordinarie carriere che il mondo del Football ricordi, iniziata da anonimo, squattrinato, undrafted e conclusa da star, con tre preziosi anelli indossati in altrettante dita della mano ed un’apparizione televisiva nella famosa serie TV Magnum P.I., girata in quelle stesse Hawaii che le hanno riconosciuto il giusto tributo postumo nel 2015, inserendolo nella propria Hall of Fame.

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