NDR: Goat è tornato. A 12 anni dal suo esordio su Play.it USA, a 8 anni dal suo 
ultimo pezzo sui 25 migliori giocatori di tutti i tempi (per la cronaca era la posizione n.9, Jerry West). 
E' tornato per finire quello che aveva cominciato, anche se nel frattempo 
è diventato un "30 & lode by Goat". 
Rivisitato e corretto. 
Da oggi, ogni lunedì, fino al 16 gennaio 2017. 
Grazie, ci sei mancato.

Quindici minuti prima era un ottimo giocatore.
Uno che aveva appena vinto il trofeo di MVP di stagione regolare con 21.7 punti e 13.9 rimbalzi a partita.

Quindici minuti dopo il suo nome era Leggenda.
La sua impresa immortale sarebbe stata narrata di generazione in generazione, fino a divenire il simbolo del cuore di un’intera squadra, i Knicks. Di un’intera città, New York.

Nel mezzo, il più intenso quarto d’ora di pre-partita mai visto su un campo di basket.
Nel mezzo, la Storia di questo sport.

Quello che ha fatto Willis Reed nella storica gara 7 di finale del 1970 è qualcosa che è rimasto indelebile nella mente e nel cuore di tutti gli sportivi.

Alle 7.30 post meridiane, orario della costa atlantica, di venerdì 8 maggio, il centro dei Knicks si trascinava la gamba martoriata per gli spogliatoi del Madison Square Garden.

Bill Bradley, ala piccola di quei Knicks, tempo dopo dirà: “Abbiamo lasciato gli spogliatoi per il riscaldamento non sapendo ancora se Willis avrebbe giocato o meno”.

I Lakers invece avevano lasciato gli spogliatoi convinti che Reed non sarebbe sceso in campo. Conciato com’era, non poteva. Il titolo sembrava davvero vicino per loro.

Quattro minuti dopo, alle 7.34, una figura in tuta bianca sbucava dal tunnel degli spogliatoi. Zoppicava. Il Madison Square Garden veniva scosso da un fremito.

Alle 7.36 Willis Reed, palla in mano, si avviava verso un canestro e faceva partire un tiro di riscaldamento.
Nel momento in cui la palla scuoteva la retina, il vociare del Garden si trasformava in un boato che scuoteva il palazzetto fin dentro le fondamenta ed i giocatori in maglia giallo-viola, fermi ad assistere impietriti alla scena, fin dentro le ossa. La loro sicurezza iniziava lentamente a svanire.

“Quello è stato un momento che non scorderò mai!” dirà Walt Frazier in seguito. “Quando ho visto i Lakers così confusi di fronte a quella scena, ho capito che l’impresa sarebbe stata possibile!”.

Alle 7.45 Reed siglava il primo canestro della partita. I Knicks si apprestavano a vincere il primo titolo della loro storia. Il numero 19 in maglia blu-arancio scriveva il suo nome fra le Leggende di questo sport. In maniera indelebile.

Willis Reed nacque nella Lousiana il 25 giugno del 1942. Frequentò il piccolo college di Grambling, chiudendo i suoi quattro anni universitari con buoni numeri (26.6 punti e 21.3 rimbalzi nella stagione da senior) ed un titolo NAIA.

Ma il college era poco conosciuto, la visibilità scarsa ed il livello abbastanza basso. Così Willis fu scelto solo al secondo giro del draft del 1964 dai New York Knickerbockers, reduci da cinque stagioni assolutamente negative.

L’impatto del ragazzone alto 6 piedi e 10 per 240 libbre fu immediato. Nel marzo del 1965 siglò 46 punti contro i Lakers, il secondo bottino più alto per un rookie in maglia Knicks.

Fu convocato all’All Star Game e chiuse la stagione con oltre 19 punti per gara e quasi 15 rimbalzi a partita. Prestazione che gli valse il premio di rookie dell’anno. Primo newyorkese nella storia ad aggiudicarsi il trofeo.

La stagione dei Knicks però non fu esaltante. Vinsero nove partite in più rispetto alla precedente, ma si adagiarono comunque sul fondo della Eastern Conference.

Non andò meglio l’anno successivo in cui la squadra portò a casa appena 30 vittorie a fronte di 50 sconfitte.
Era un roster giovane, ancora grezzo e privo di talento. Reed occupava il ruolo di ala grande. Era forte come un toro, ma giudicato troppo basso per combattere contro i mostri sacri, Russell e Chamberlain su tutti, che evolvevano sotto canestro.

Eppure in quegli anni avari di successi la dirigenza newyorkese stava tessendo un’abile tela per porre le basi della squadra che di lì a qualche tempo si sarebbe ritrovata sul tetto del mondo. New York cresceva lentamente ed il giovane Reed con lei.

Oltre alla forza fisica, stava mettendo insieme una serie di movimenti utili sotto canestro ed un morbido jump dalla media che iniziava sempre più spesso a far male.

Nel 1966-67, il terzo anno Reed realizzò 20.9 di punti a partita accompagnati da 14.6 rimbalzi e New York tornò a disputare i Playoffs. In post-season le sue statistiche subirono un’impennata ed il suo livello di gioco migliorò in maniera stupefacente. Nella serie contro gli allora imbattibili Celtics e contro il mito vivente Bill Russell, Willis fece registrare 27.5 punti a partita.

New York perse ovviamente in quattro partite, ma la squadra dava segnali di forte crescita.
Il passo decisivo per il definitivo lancio avvenne la stagione successiva (1967-68) quando Red Holzman prese in mano le redini della squadra e Walt Frazier fece il suo esordio nella NBA.

Frazier ha un ricordo vivido di un episodio particolare nella sua prima stagione a New York. Un episodio che vide protagonista proprio Reed.

Una rissa. Tre giocatori che si avventano contro Willis, lo mettono al tappeto e lo sommergono col peso dei loro corpi. Passano pochissimi attimi di stupore complessivo in cui tutti rimangono immobili ad osservare la scena, quando un urlo proviene dal nugolo di corpi riversi sul parquet.

I tre giocatori vengono scaraventati lontano. Spazzati via come fogli di giornale sospinti da vento di tempesta. Un attimo dopo Reed è in piedi. Guarda gli avversari negli occhi. Uno ad uno. E li invita a farsi sotto. Non si avvicinò nessuno.

wrb

Quell’anno i Knicks vinsero 43 partite e portarono a termine la prima stagione positiva dal 1959.
La corsa di New York si arrestò ancora una volta al primo turno di playoffs. Stavolta contro i Sixers campioni in carica di un tale Wilt Chamberlain, ormai prossimo al passaggio in maglia Lakers.

La stagione 1968-69 fu quella della svolta definitiva.
In dicembre, con la squadra ferma al mediocre record di 18 vittorie e 17 sconfitte, la dirigenza si decise finalmente ad affidare a Reed il ruolo di centro della squadra. Spedì il pivot Walt Bellamy e la guardia Howard Komives a Detroit in cambio di Dave DeBusschere che ai Piston aveva giocato da ala piccola, ma a New York andrà ad occupare lo sport di ala grande rimasto vacante.

Il giorno dopo lo scambio, il 20 dicembre 1968, Knicks e Pistons si affrontarono alla Cobo Arena di Detroit. Fu un massacro. La squadra di Dave Bing fu sommersa sotto 48 punti di scarto. Il maggior margine di vittoria nella storia dei Knicks.

“Center is my position!” dichiarò Willis dopo la partita.
La squadra dei titoli era praticamente fatta.

New York vince 36 delle rimanenti 47 partite. Segnò una media di 105.2 punti per gara, ma la cosa che balzava subito agli occhi era la grandissima difesa che Holzman aveva impostato. Una squadra che faceva del collettivo la sua principale forza e dell’asfissiante difesa l’arma in più, con Reed e Frazier sugli scudi.

I Knicks finalmente riuscirono a superare il primo turno di PO dopo uno sweep ai Baltimore Bullets.
In finale di Conference la terribile sfida contro i Celtics.

Bill Russell si apprestava a giocare le sue ultime partite in NBA. Era vecchio e logoro, ma anche letteralmente incapace di perdere. La sua aurea, il suo carisma, il suo mito di invincibile ebbero il sopravvento sui giovani Knicks che comunque subirono una più che onorevole sconfitta in sei gare.

Nell’ultima partita della stagione, al Boston Garden, quella che sancì l’eliminazione, Reed siglò 32 punti e i Knicks persero di uno, 106-105, dopo una gara costantemente giocata alla apri con i pluridecorati avversari.

Bill Russell volava così in finale a vincere il suo undicesimo titolo in carriera. Contro i Lakers e contro Chamberlain. Alla fine di quell’anno appenderà le scarpe al chiodo.

La stagione 1969-70 prendeva dunque il via in uno strano clima per la NBA. Per tredici lunghissimi anni ogni stagione aveva avuto inizio con la quasi incrollabile certezza che l’anello sarebbe stato di Russell.

Per tredici lunghissimi anni ogni stagione (tranne due) era finita con Boston sul tetto del Mondo e Russell suo immenso profeta. Adesso Bill l’invincibile non c’era più. Lo scettro del Re era vacante.

I Knicks potevano raccoglierne l’eredità, ma non era affatto facile. Dall’altra parte del grande fiume c’erano i Lakers del magico trio Chamberlain-West-Baylor. Tutti e tre abbondantemente sopra la trentina, ma egualmente un terzetto da sogno.

I Knicks partirono in RS con il record di 14-1.
Vinsero 60 gare, miglior record della NBA. Dall’altro lato i Lakers chiusero con appena 46 vittorie, complice un infortunio di Chamberlain che costrinse il numero 13 giallo-viola a passare la maggior parte della stagione in panchina.

Reed fu MVP della season e MVP dell’All Star Game (21 punti, 11 rimbalzi, il 50% dal campo nella partita delle stelle).

I Playoffs per New York furono entusiasmanti.
Al primo turno l’acerrima sfida contro i Bullets di Wes Unseld e Earl Monroe.
Earl contro Walt. Wes contro Willis.

Gara uno fu subito autentica battaglia, chiusa dopo due overtime, al termine dei quali si imposero i Knicks per 120 a 117. Black Jesus aveva siglato 39 punti, Reed aveva risposto con un trentello tondo tondo.

La battaglia proseguì fino a gara 7. Alla fine la spuntarono i Knicks, battendo gli avversari al Madison Square Garden per 127 a 114 e approdando al turno successivo che a quei tempi di tanto talento concentrato in poche squadre era già la finale di Conference.

La serie per il titolo della Eastern mise di fronte i ragazzi della Grande Mela a un’altra durissima contendente. I Milwaukee Bucks del rookie Lew Alcindor che aveva chiuso la sua prima stagione fra i professionisti con 28,8 punti e 14,5 rimbalzi a partita.

Nonostante Jabbar, i Knicks erano decisamente una squadra migliore di quei Bucks. L’esperto Reed dapprima tenne botta sotto canestro contro colui che veniva ormai considerato il futuro dominatore della NBA, quindi nella decisiva gara 5 impartì una dura lezione al rivale, facendo prevalere la sua forza fisica, la sua caparbietà e soprattutto la sua esperienza a dispetto dei tanti centimetri di differenza che lo separavano dal rivale.

I Knicks si imposero per quattro gare a uno e volarono verso la finale dei sogni. Contro i Lakers di West, Baylor e Chamberlain.
Stavolta era Jerry contro Walt. Wilt contro Willis.

Una delle finali più belle di sempre con il fantastico epilogo nella settima e decisiva partita.
In molti avevano dubbi sulla reale tenuta fisica di Reed contro un colosso come Chamberlain, trentaquattrenne e reduce da una Regular Season in cui aveva disputato appena 12 partite, ma pur sempre dominante sotto i tabelloni.

Troppa differenza di altezza, inoltre se Reed contro Jabbar aveva potuto contare sulla sua esperienza, stavolta il vantaggio era tutto dalla parte di Wilt.

Ma tutti questi dubbi furono spazzati via dopo gara 1.
Willis realizzò 37 punti, tirò giù 16 rimbalzi e smazzò 5 assist. New York si impose per 124 a 112.

I Lakers si rifecero in gara 2, vincendo di misura con Chamberlain che stoppò il tiro del pareggio proprio a Reed.
La terza e la quarta partita finirono entrambe ai supplementari.

In gara 3 il famoso tiro di West dalla propria area che pareggiò l’incontro. Ci fosse stato allora il tiro da tre punti, i Lakers avrebbero portato a casa la partita, invece quel favoloso tiro era valso solo il pareggio all’ultimo secondo.
Ai supplementari si imposero i Knicks per 111 a 108, con trentotto punti del suo incredibile centro.

In gara 4 trentasette punti di West e trenta di Baylor piegarono New York.

Poi la storica gara 5. L’infortunio di Reed che preannunciava una disfatta casalinga senza precedenti e il probabile addio a qualsiasi velleità di titolo. All’intervallo New York era sotto di 23 punti.

Privi del loro centro i Knicks giocarono trascinati dalla forza della disperazione. La zona mascherata di Holzman mandò nel pallone i Lakers. Iniziò un’insperata rimonta.

L’ultimo quarto si giocò in una bolgia infernale. Los Angeles era ancora avanti di 17 punti.
Per tutti i dodici minuti di gioco, i 19.500 spettatori del Madison cantarono a squarciagola “Let’s go Knicks! Let’s go Knicks!”.

I Lakers (30 palle perse complessive per loro), smarrirono completamente la bussola e New York riuscì ad imporsi in uno storica vittoria. 107-100. Negli ultimi due quarti, Chamberlain aveva realizzato solo 4 punti.
Bill Bradley definirà quella partita “One of the greatest game ever played”.

Gara 6 a Los Angeles fu ovviamente tutt’altra storia.
Chamberlain mise a referto 45 punti, conditi da 27 rimbalzi e i Lakers passeggiarono per 135 a 113 sui resti dei Knicks ancora privi di Reed, impattando la serie sul 3 pari.

Tutto era rimandato alla decisiva gara 7. Il giorno in cui la storia dei Knickerbockers stava per essere riscritta.
Era l’8 maggio del 1970.

Willis Reed si era fatto imbottire di antidolorifici negli spogliatoi.
Il medico dei Knicks, seppur contrario, gli aveva fatto diverse infiltrazioni alla coscia.

Dirà in seguito il giocatore: “Volevo giocare. Era gara 7 di finale, il più grande momento per ogni giocatore di basket, quello che avevo inseguito fin da quando ero arrivato nella NBA. Non avrei voluto un giorno di venti anni dopo guardarmi allo specchio e dirmi che avrei voluto ma non potevo!”

Reed si ritrovò davanti Chamberlain per la palla a due.
Non provò neanche a saltare. Rimase immobile. Eppure i suoi primi due possessi si tramutarono quasi per magia in due canestri.

Quindi si dedicò esclusivamente a limitare il colosso in maglia giallo-viola.
Diciassette volte i Lakers servirono a centro aerea Chamberlain. Ma Reed era sempre lì. Lo infastidiva, lo marcava, lo spingeva. E con lui addosso Wilt tirò con un misero 2 su 9 dal campo.

Reed chiuse la sua gara con 4 punti, un 2 su 5 al tiro, 3 rimbalzi e 4 falli. Ma tanto bastò per spostare l’inerzia della partita dalla parte dei Knicks. Per rendere elettrica l’atmosfera in campo e fuori. Per spezzare la fiducia dei Lakers e far sì che la paura si insinuasse subdolamente dentro di loro e facesse breccia nella loro sicurezza.

Un impatto emotivo nella gara senza precedenti. Chamberlain, visibilmente scosso, tirò con 1 su 11 dalla lunetta.

New York vinceva così il primo titolo della sua storia. Willis Reed vinceva il trofeo di miglior giocatore delle finali, diventando il primo player della storia ad aggiudicarsi l’MVP di stagione, dell’All Star Game e delle finali nello stesso anno. In seguito ci riuscirà soltanto Michael Jordan per due volte.

La stagione successiva Reed catturò 33 rimbalzi contro i Cincinnati Royals e chiuse con 20.9 punti e 13.7 rimbalzi a partita.

I Knicks vinsero 52 gare, primeggiando nuovamente nella Eastern.
In finale di Conference si ritrovarono nuovamente contro i Baltimore Bullets. Stavolta ne uscì vincitrice l’accoppiata Monroe-Unseld che in finale verrà sweeppata dai Bucks di Alcindor e del neoacquisto, il grande vecchio Oscar Robertson.

La stagione 1971-72 fu travagliata per il centrone blu-arancio.
Giocò solo 11 gare per un problema ai tendini. Riuscì a recuperare per i playoffs, ma era completamente fuori forma.
New York raggiunse la finale, ma si dovette inchinare alla disperata voglia di titolo dei Lakers, campioni per la prima volta da quando erano approdati a L.A.

I Knicks si presero la rivincita nella stagione successiva. Sempre in finale contro Los Angeles.
Una stagione in cui Reed aveva visto notevolmente diminuire le sue statistiche personali (11 punti e 8.6 rimbalzi), ma l’apporto difensivo, la presenza, l’aggressività , il cuore, non erano mutati di una virgola.
Willis fu proclamato nuovamente MVP delle finali. L’ultimo grande trofeo prima del prematuro ritiro.

L’anno successivo giocò infatti appena 19 gare. Poi disse basta. Aveva sole 32 primavere sulle spalle.
Dopo 10 anni in maglia Knicks era fra i primi tre giocatori nella storia della franchigia in punti, rimbalzi, percentuale dal campo, minuti giocati.

Nel 1976 divenne il primo Knicks a vedere il proprio numero pendere dal soffitto del Garden. Adesso era ufficialmente una Leggenda.

Inutile, persino banale, affermare che l’intera carriera di Reed sia stata condizionata dal celebre episodio di gara 7 del 1970. Senza, sarebbe stato comunque considerato uno dei grandi di questo sport, ma quell’episodio l’ha elevato a livello di leggenda del parquet.

Quella gara ha cambiato la sua esistenza e la sua carriera.
Dopo di allora, nulla sarebbe stato più come prima. Il rapporto con i suoi compagni, con gli altri giocatori, con la stampa, con la città di New York, con i tifosi.
Come dice lui stesso: “Non c’è stato un giorno della mia vita in cui qualcuno non mi abbia chiesto di quella gara.”

Personalmente ho cercato di escludere quella singola prestazione (dovuta più ad un’impressionante impatto psicologico su compagni, pubblico ed avversari che ad un apporto tecnico vero e proprio che fu ovviamente abbastanza modesto) nella valutazione complessiva del giocatore.

Ho cercato di non rimanere vittima dell’incredibile fascino di quella impresa, per non sfalsare il reale valore del giocatore.

Ma a parte la difficoltà oggettiva di valutare appieno la carriera di Willis Reed eludendo da quanto avvenuto quella sera di maggio al Madison Square Garden, ciò che comunque rimane non cambia di una virgola la realtà e l’eccellente giudizio sul giocatore.

Forse non da top 30 di sempre nella storia di questo fantastico gioco, ma… ragazzi, stiamo parlando appunto di sport. E lo sport è fatto di gesti epici, di eroismi, di episodi straordinari. E non sarebbe giusto metterli da parte.

Inoltre stiamo parlando di Reed. Un uomo, la cui grandezza è stata, prima di ogni altra cosa, il grandissimo, enorme, superbo cuore. L’orgoglio, la tenacia. La voglia di vincere.

E poi quella magica serata ha un altro, non meno importante, merito.
Quello di far inaugurare a Willis Reed la nostra rediviva classifica.

NDR: articolo originariamente pubblicato su playitusa.com il 18/6/2006

10 thoughts on “30° – Willis Reed

  1. la rubrica mai finita dei migliori 25 della Capra è sempre stata una ferita aperta nel mio cuore, adesso con la nuova rubrica spero che la ferita si rimargini!

  2. Grazie ragazzi. Stavolta niente scherzi, andiamo dritto fino alla fine. E mi raccomando, la classifica è solo un pretesto, niente insulti quando arriveremo ai piani alti. :-D
    Baci.

  3. Incredibile…ormai avevo perso le speranze, dopo tutti questi anni, e ogni tanto ti maledicevo tra me e me per averci lasciati con l’acquolina in bocca alle soglie dell’Olimpo :-) e ora come un fulmine a ciel sereno questa fantastica sorpresa…mi raccomando tieni fede alle tue parole: STAVOLTA NIENTE SCHERZI, DRITTO FINO ALLA FINE. Con un Lebron in più da piazzare da qualche parte…all’epoca del tuo “ritiro” era ancora un giovinotto :-) Bentornato…attendo con ansia i prossimi capitoli e le nuove posizioni rivisitate e corrette

Leave a Reply to Andrea TestaCancel reply

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.