Sei ancora qui?”

“Si, sono ancora qui!”

Mi chiedo sempre se le cose succedono per caso o se succedono e basta, senza particolari motivi. Il mio ultimo articolo su Playitusa risaliva al 2020, addirittura il terz’ultimo è del 2018, un lungo digiuno causato dagli alti e bassi della vita. Può succedere, ce ne facciamo una ragione.

Poi Fleury vince il Vezina Trophy.

Cooooosa????

E quindi si deve necessariamente fare un articolo?

Sì, e anzi, spetta a me, lo sento quasi fosse un ritorno alle origini. Mi ci vuole Fleury per scrivere ancora del mio amato hockey. Ma roba da matti.

Eppure ecco qua la mia croce e delizia della Nhl, il giocatore, anzi, lo sportivo che più mi ha fatto arrabbiare di più nella mia vita.

Eppure…

Già, alla notizia del Vezina Trophy per Fleury ho esultato come nel 2009 per la Stanley Cup dei Penguins. Ho esultato perché la parabola del portiere ex Pittsburgh racconta le montagne russe che uno affronta nella vita e che deve necessariamente superare.

Lo avevo già salutato ai tempi del suo addio ai Penguins, la chiusura di un cerchio e di un era gloriosa a Pittsburgh, Fleury era un giocatore dei Vegas Golden Knights e per quanto bella fosse quella nuova uniforme sembrava tutto strano, tipo quando vedi la tua ex con un altro e resti un pochino perplesso.

Peggio però va ai Penguins che convinti di aver trovato in Matt Murray il nuovo Fleury (inteso come portiere discretamente affidabile) si arrendono alla sfortuna: una seconda commozione cerebrale, per di più causata da un tiro del compagno Maatta, lo manda ko e nonostante la buona volontà al rientro non è più efficace in porta.

Gli manca Fleury?

Beh, non sappiamo quanto Murray manchi a Marc-Andre, che quando chiude gli occhi si rivede scelto col numero 1 da Pittsburgh nel 2003, primo di una generazione di campioni che ai pinguini porta Malkin nel 2004 e Crosby e Letang nel 2005, Jordan Staal nel 2006 e che fa diventare i Penguins una contendente alla coppa.

Quella stessa coppa che Fleury maledice nel 2008, quando contro Detroit si esalta in gara 5 fermando 55 tiri su 58 e poi scivola sul disco decisivo di gara 6, consegnando la Stanley Cup ai Red Wings.

Ogni volta è così, si sale e poi si scende.

Non nel 2009, quando Fleury è monumentale (sì, ho scritto proprio monumentale) contro Flyers e Capitals, nei primi due turni di playoff, annientando i cuginetti di Philadelphia in una storica e bellissima rimonta in gara 6, poi spezzando i sogni capitolini in gara 7 giocata a Washington, prima di rivedere il sommo Marian Hossa nelle finali, colui che da free agent cambia le squadre finaliste del 2008 per inseguire la coppa. Detroit questa volta piangerà.

Lidstrom, sua eccellenza Lidstrom, ancora non si spiega la parata in gara 7, a Detroit, che a 1 secondo e 5 decimi spezza il sogno locale e fa esultare Fleury, quello con “Una faccia un po’ così” e i suoi Pinguini.

Quando tutto pare apparecchiato per una dinastia ecco errori e commozioni cerebrali, serie playoff dove Fleury compie delle prodezze in negativo, dove vede Vokoun titolare nel 2013 in un roster che aggiunge anche Iginla e Morrow pur di vincere ma che si scioglie clamorosamente alle finali di conference contro Boston.

Poi, sull’orlo di una rinascita ecco l’ennesima commozione cerebrale con Pittsburgh che affida la porta a Matt Murray. Fleury gioca solo due partite e appare incerto contro Tampa Bay, meglio il rookie d’oro che glorifica qualsiasi cosa tocchi. E’ Stanley Cup contro San Jose.

E ancora pensi che prima o poi il destino restituisca qualcosa. Anno successivo, Murray out al primo turno nel riscaldamento contro Columbus.

Dai Fiorellino tocca a te. Ancora tu!

E’ Fleury show, primi due turno passati e quando si intravede la gloria ecco il buio e le incertezze del goalie che perde ancora il posto di titolare e vede per l’ennesima volta Murray sollevare la Stanley Cup.

Va bene vincere, ma anche difendere la porta durante le finali non sarebbe male.

E capita quello che non ti aspetti. I Golden Knights in espansione prendono proprio Fleury e lui che fa? Porta Las Vegas alle finali… le gioca… le perde. 

Pazienza. Troppa fame per Ovechkin e soci contro Fleury. Ma lui non demorde.

Anno 2021, Fleury tiene la media più bassa per gol subiti, vince con Robin Lehner il William Jennings Trophy, poi addirittura si parla di Conn Smythe nell’eventualità di una finalissima.

Pare gufarlo, perché il nostro portierone riapre una serie ormai chiusa con i Canadiens, quando ancora una volta la balaustra e un rimbalzo osceno lo tradiscono, è autogol, è posto perso in favore del backup dei Golden Knights.

Ma Lehner non scrive la stessa storia di Murray, oggi discreto portiere di Ottawa mentre i Penguins affondano con “Triste” Jarry in porta (mi ricorda il mio cane Jerry, maremmano con una faccia un po’ così) con la coppa che è affare di Lighting e Canadiens.

Fleury invece che fa? Alla faccia della sfortuna, alla stagione numero 17, è il miglior portiere della Nhl.

E’ proprio bello scriverlo. Proprio tu Marc-Andre, come l’incredibile Brodeur che ha letto il tuo nome, meno spettacolare di quel pazzo di Dominik Hasek che quel trofeo lo vince 6 volte e se mai nessun giocatore di Penguins ha vinto quel premio un briciolo di soddisfazione è anche in Pennsylvanya.

Sei semplicemente Fleury, prendere o lasciare. E che non si arrende mai.

Ma sei ancora quì?”

“Sì, chi pretendevi ti lodasse?”

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