Che Kawhi Leonard fosse un tipo strano, lo si sapeva da tempo.

In NBA forse i primi a scoprirlo furono i San Antonio Spurs, che per averlo cedettero uno dei pupilli di coach Popovich, George Hill, agli Indiana Pacers che lo scelsero per loro alla 15.

Quel ragazzone timido e ossessionato dalla pallacanestro che i compagni alla San Diego State University avevano imparato a conoscere in allenamento quando venivano sotterrati a suon di “Bucket” e “Board man gets paid”, doveva diventare, nella migliore delle ipotesi, il nuovo Bruce Bowen (ma guai a dirlo, BB è ancora oggi un mito in casa Spurs).

Invece nel giro di 2 anni gli Spurs si ritrovarono alle Finals, ad un soffio dal titolo, e l’anno successivo l’anello tornò davvero in Texas, con Leonard MVP delle Finali al suo terzo anno nella Lega, con Lebron stremato ed in preda ai crampi a causa della sua difesa.

Poteva essere l’inizio di un nuovo ciclo per la squadra di Popovich, invece gli anni successivi anche se Kawhi cresceva la squadra non riusciva a mantenersi su quei livelli di eccellenza. Fino a quel maledetto playoff 2017, l’infortunio alla caviglia contro Golden State, l’inizio di un calvario fisico che rovinerà per sempre i suoi rapporti con la franchigia.

Nell’estate 2018 esce la notizia che Leonard, per il tramite dello zio – procuratore (?), ha chiesto la trade. E’ il suo ultimo anno di contratto, e gradirebbe tornare a casa, a Los Angeles.

Coach Pop tira fuori il mappamondo e un righello, cerca la franchigia NBA più lontana dalla California e lì ce lo manda: Toronto, Canada. L’erede al trono di L.A. in esilio nel profondo nord. Dove l’abbiamo già sentita questa?

I Raptors si giocano il tutto per tutto: sacrificano il loro miglior giocatore, DeMar Derozan, rifirmato con contratto pluriennale l’anno precedente, un americano innamorato del Canada, per un giocatore palesemente scontento, fermo da 1 anno per un infortunio di cui non si sa niente, in affitto per una sola stagione. Una follia.

Ma Leonard, lo abbiamo detto, è un tipo strano. E’ ossessionato dalla pallacanestro, il campo gli manca da morire. Ad aspettarlo c’è un giovane allenatore, Nick Nurse, con cui trova il feeling fin dal primo giorno. La squadra è tutt’altro che male, e lo staff gli garantisce ampi periodi di riposo nel corso della stagione per non sovraccaricare il suo fisico, tanto potente quanto delicato.

Il resto è storia. Il destino gli restituisce, sotto forma di infortuni a raffica per gli imbattibili Warriors, quello che gli ha tolto 2 anni prima. Un altro anello, dei playoffs da leggenda, un altro titolo di MVP delle Finali.

L’intero Canada è ai suoi piedi, il rinnovo supermax quinquennale è solo da firmare.
Giusto?

E invece no. Kawhi mantiene fede alla sua idea originale, la voglia di tornare a casa è troppo grande. Ma alle sue condizioni. Los Angeles si, ma non alla corte del Re.

Il Re del Nord scende ad Approdo del Re muovendo le sue pedine (Paul George) e col suo esercito (i Los Angeles Clippers).

Da un certo punto di vista, è il più grande colpo di scena di mercato di tutti i tempi: più di Durant ai Warriors, più di Shaq ai Lakers. L’MVP delle Finali lascia la squadra campione per andare in un team da 48 vittorie.

La battaglia finale è solo all’inizio. Dal punto di vista tecnico è la mossa più rischiosa, la scelta più improbabile. Dal punto di vista di Kawhi, probabilmente, la sfida più intrigante. Ve l’avevamo detto, è un tipo strano.

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