TENNESSEE TITANS, LE SOLITE PROBLEMATICHE IRRISOLTE 

Ultimamente la vita in campo di Marcus Mariota è diventata impossibile.

La sonora batosta rifilata ai Browns nella giornata di apertura delle ostilità con un corredo assai poco piacevole quale i 43 punti messi a referto dalla squadra gestita da Mike Vrabel, rischia di essere sempre più un episodio isolato. A seguito dell’altisonante inizio di percorso i Titans sono difatti ritornati nelle stesse identiche condizioni di un anno fa, evidenziando una forte inadeguatezza offensiva su vari fronti sfociata in un’incompletezza di giudizio sulle attuali prestazioni di un Marcus Mariota che sembra sempre meno il franchise quarterback che si sperava modificasse positivamente a lungo le sorti di questa compagine, sul quale è tuttavia impossibile scaricare tutte le responsabilità di un reparto che fa acqua più o meno ovunque, mortificando le prove di qualità di una difesa che conosce molto bene il fatto suo.

Analizzando le ultime due uscite – senza includere quell’esordio eccezionale, ma che alza non correttamente le medie – la squadra ha segnato un totale di 24 punti producendo una media di 290 yard, cifre buone per confermare l’appartenenza alla parte bassa delle classifiche specializzate, ed a giudicare in particolar modo da quanto visto nello scorso Thursday Night di Jacksonville le responsabilità di tali risultati sono difficilmente attribuibili in maniera equa. Se da un lato è oramai attestato che Mariota non sia un fulmine nel selezionare il ricevitore ed ha una dimostrata tendenza a tenere l’ovale quel secondo e mezzo in più di quanto normalmente consentito, dall’altro è inequivocabile che l’ex-Oregon si trovi a giocare i suoi snap in condizioni che definire precarie non rende con esattezza l’idea, per via delle valanghe di pressione che si trova a dover affrontare non godendo di conseguenza del tempo necessario per completare la progressione delle letture.

Lo scorso giovedì, la gestione tutto quanto gli è stato gettato appresso dalla rinata Sacksonville è risultato letteralmente impossibile, e le statistiche approfondite relative alla linea offensiva svelano una parte piuttosto consistente del problema. Assenza di Taylor Lewan a parte, già di per sé un elemento sufficiente a migliorare istantaneamente le circostanze, l’attuale quintetto di trincea sta concedendo 5,67 sack a partita, statistica certamente gonfiata dai nove sack portati a segno dai Jaguars ma non per questo meno preoccupante, con la maggior parte della pressione in arrivo dalle zone di responsabilità delle due guardie, Roger Saffold e Jamil Douglas, i quali secondo le statistiche raccolte da Pro Football Focus hanno già concesso sette cosiddette pressure ciascuno, svelando parte delle ragioni che rendono questo attacco quasi totalmente innocuo in fase di delicate conversioni di down. Tennessee ha difatti trasformato solo 11 delle 37 situazioni di terzo down, una miseria che impedisce qualsiasi tipo di ritmo offensivo, e d’altro canto i defensive coordinator sinora fronteggiati non possono non aver compreso che risulta sufficiente scatenare un inferno di pass rush in precise situazioni per mandare facilmente in crisi l’undici offensivo di Nashville.

Una statistica molto interessante e indicativa vede il quarterback avere molto successo in quei casi in cui il pallone lascia la mano con velocità, parliamo di una tempistica stimata tra i 2 e i 2.5 secondi, circostanze nelle quali Marcus detiene un rating di 110.5, al contrario di tutte le occasioni in cui si trova un defensive end in faccia con immediatezza o impiega troppo tempo nell’uscire dalla tasca sfruttando le sue indubbie qualità atletiche, azione cui è sempre più spesso costretto a causa della poco consistente capacità di smarcamento dei suoi ricevitori, altro elemento di peso nella valutazione complessiva delle enormi problematiche che affliggono oggi i Titans.

GLI EAGLES VOLANO A BASSA QUOTA

Per Nelson Agholor molti alti e bassi, come consuetudine vuole.

La recente ascesa al top di lega scritta dagli Eagles di Doug Pederson ha inevitabilmente innalzato le prospettive della franchigia per gli anni a venire, lasciando una congrua dose di amaro in bocca per questa partenza rimediabile, ma non esattamente illuminante. Philadelphia sembra essere poco riconoscibile rispetto alla creativa squadra offensiva che Pederson ha generato utilizzando la fortunata combinazione Wentz/Foles, e qualche evidente segno di scricchiolio giunge da una difesa altrimenti dimostratasi tra le più consistenti tra quelle in circolazione.

L’occasione dello scontro con i Lions ha scoperto il nervo su alcuni aspetti da risolvere con discreta urgenza – perlomeno a giudicare dai ritmi con cui i Cowboys stanno agilmente scappando con la Nfc East in saccoccia – ed i problemi riscontrati coinvolgono sostanzialmente tutti i tre macro-settori del roster. Wentz non sembra ancora al massimo delle sue potenzialità in questo avvio stagionale, tuttavia la sua prestazione contro la difesa di Matt Patricia non va numericamente confusa con una cattiva gara al di là del 52% di completi, in quanto i ricevitori degli Eagles hanno commesso un numero sufficiente di errori per rompere il relativo flusso offensivo ed i turnover commessi da running back e ricevitori sono risultati decisivi data la ristrettezza nelle distanze del punteggio finale.

Partite così è necessario saperle vincere, l’alternativa è altrimenti scrivere un trend molto negativo costruendosi addosso una fama poco piacevole di squadra non in grado di concludere quando la palla scotta, ma avendo assistito alle floride esibizioni in materia delle precedenti edizioni della Philadelphia negli ultimi due anni sappiamo bene che a questa franchigia può venire a mancare tutto, ma non certo il carattere quando arrivano le avversità più impensabili. Nulla, tuttavia, si può opporre ai drop dei ricevitori, è una questione di mentalità ferrea che va recuperata già da questa settimana di allenamenti. Nelson Agholor ha chiuso il match contro Detroit con due mete, vero, ma ha commesso un fumble decisivo nel secondo quarto ed ha mancato una presa determinante con la gara in bilico e gli Eagles vicinissimi al territorio favorevole, offrendo larghi esempi dell’alternanza tra pregi e difetti. I pacchetti, d’altro canto, vanno presi nella loro interezza, e per quanto lo staff sia rimasto entusiasmato dalle qualità complessive di Miles Sanders, firmatario di 126 yard totali – ci si ritrova a dover fare i conti con una tendenza al fumble già evidenziata al college, tornata purtroppo d’attualità in due drive offensivi consecutivi del primo tempo, togliendo dall’equazione altrettante serie potenzialmente da meta ed aggiungendo i sei punti conseguentemente scaturiti a favore di Detroit, un’altra sostanziale differenza in un computo conclusivo distante solo tre lunghezze.

Philadelphia sta inoltre soffrendo nella produzione di pass rush, e vede i suoi migliori giocatori ancora clamorosamente a secco di atterramenti del quarterback. Il reparto sta generando un numero infinitamente inferiore di sack per tentativo di passaggio rispetto allo scorso anno – 1,68 contro il 6,58 complessivo del 2018 – un numero che pur non essendo destinato a durare a lungo se non altro per le comprovate capacità di Cox, Graham e Barnett, risulta in ogni caso preoccupante perché fornisce delle seconde possibilità alle azioni d’attacco, aspetto con il quale registi come Stafford possono risultare letali per la loro propensione ad allungare le azioni rotte con successo.

Il ritorno di kickoff da 100 yard elargito a Jamal Agnew è di conseguenza la classica ciliegina su una torta al momento indigesta, che andrà insaporita con pazienza attendendo il pieno recupero fisico di due preziosi contribuenti come Alshon Jeffery e DeSean Jackson, ritorni che sistemeranno di certo i problemi offensivi attualmente patiti, nonché accogliendo nuovamente a bordo la consistenza perduta dal fronte a quattro, che sta costringendo Jim Schwartz a giocare contro la sua stessa natura chiamando un numero inusitato di blitz pur di far emergere qualcosa di buono dalle azioni difensive.

Tali imprese sono poi rese più difficoltose dal fatto che domani notte si torna bruscamente in campo contro i Packers, attualmente imbattuti, ed a Philadelphia un 1-3 non se lo possono di certo permettere.

PACKERS, SERVE MAGGIORE POTENZA OFFENSIVA

Marquez Valdes-Scantling ha offerto l’unico big play offensivo di giornata per i Packers.

Non aver ancora assaggiato il sapore della sconfitta dopo tre settimane di attività è senz’altro la cura ideale per scacciare i pensieri derivanti da un periodo di transizione, una sfida che ha traghettato i Packers dall’era McCarthy ed i relativi attriti della sua ultima porzione fino alle circostanze attuali, dove il rapporto tra Matt LaFleur e Aaron Rodgers è sotto continuo scrutinio. Green Bay è partita più velocemente di altri nella Nfc North ma deve tenere l’andatura sotto controllo, perché la regular season è ben conosciuta per essere una maratona e la concorrenza di questa stagione non è affatto da sottovalutare, costringendo il coaching staff a sviluppare idonei ragionamenti pur tenendo conto del 3-0 attuale.

Un’attenta lettura delle circostanze che hanno condotto ad un un record ad oggi illibato conduce l’attenzione verso le ottime prestazioni sinora offerte da una difesa capace di salire enormemente di colpi rispetto al recente passato, la quale ha sinora concesso solamente 11 punti di media e provocato turnover scegliendo momenti particolarmente propizi delle gare, facilitando non poco il compito di un attacco che sta evidentemente arrancando per una serie di motivazioni che dovranno forzatamente conseguire in aggiustamenti discretamente urgenti. Il copione della scorsa domenica non è stato molto differente, in quanto la difesa è stata a lungo impegnata contro i Broncos – anche a causa dell’improduttività della controparte condotta da Rodgers – confermando l’evidente fruttuosità degli inserimenti apportati in offseason, con Preston e Za’Darius Smith a tenere Flacco in soggezione giungendo al parziale di 7.5 sack stagionali in combinata – ben altra produzione rispetto a quella di Clay Matthews Jr. e soci relativa a tutto il 2018 – nonché con ottime prestazioni elargite da secondarie stabilmente gestite dall’esperienza del neo-arrivato Adrian Amos, cui si aggiungono le preziose evoluzioni offerte da Darnell Savage e Jaire Alexander, entrambi ancora decisivi.

Il problema principale che sembra attanagliare Rodgers è l’assenza di una vera e propria identità offensiva, LaFleur ed i suoi assistenti non sembrano aver difatti ancora sviluppato un percorso definito e ciò parrebbe essere alla base della miglior resa dell’attacco nelle prime frazioni di partita, quando il gioco segue idee strategicamente prestabilite senza affidare nulla all’improvvisazione. Ne deriva che il 78% dei punti siglati arrivano dai primi trenta minuti delle tre gare sommate tra loro, con soli 13 punti a referto a seguito del rientro dagli spogliatoi, un dato appesantito dalle sole 7 yard per tentativo che Rodgers sta attualmente mantenendo nonché dal 47% di successi in conclusioni superiori alle 10 yard, segnale di semi-totale assenza di big play offensivi, i quali fino a poco tempo fa altro non erano che il pane quotidiano sfornato in Wisconsin.

Proseguire il cammino in questo modo non è impossibile ma quantomeno improbo, in quanto nel conto vanno inserite le sempre presenti probabilità di un qualsiasi infortunio per qualcuno dei pezzi-chiave di questa difesa ed il fatto che questi ritmi saranno molto difficili da replicare quando il calendario proporrà avversari del calibro di Dallas, Kansas City e Los Angeles sponda Chargers, tutti momenti nei quali l’assetto del reparto diretto dal sapiente Rodgers dovrà sicuramente aver reperito una via di definizione. Migliorare un gioco di corse ancora stagnante trovare il modo di sbloccare Davante Adams nella ricerca dell’appuntamento con la meta sarebbe già un ottimo inizio.

LE BUONE PROSPETTIVE DEI SAINTS (BREES-LESS EDITION)

Per giungere sani e salvi al rientro di Brees, serve proprio un Kamara come questo.

La settimana scorsa, su queste stesse righe, si disquisiva sul come Saints e Steelers vedevano differentemente le rispettive rimanenze di stagione dal punto di vista prospettico, proporzionando la perdita dei relativi quarterback alla completezza dei relativi roster. I Saints hanno emesso la prima sentenza sul campo, e l’esordio in campionato di Teddy Bridgewater è senza dubbio risultato positivo pur tenendo conto della non eccessiva esposizione a giocate potenzialmente rischiose di cui il playbook ha tenuto fortemente conto.

Il fattore essenziale è un tasso di talento offensivo attualmente nemmeno paragonabile tra le due situazioni, sempre tenendo Pittsburgh quale termine di comparazione. L’incoraggiante vittoria dei Saints in un campo arduo ed inospitale come quello dove la legge imposta è spesso quella del dodicesimo uomo, è stata alimentata dalle giocate a tutto tondo di Alvin Kamara ideale per sviluppare una situazione d’emergenza offensiva senza che il rendimento del reparto ne risenta troppo. Il design schematico di Sean Payton è sempre di enorme ausilio – indubbio – però poi quando si è messi in condizione di ricevere il pallone uscendo dal backfield bisogna anche creare qualcosa, e Kamara è risultato letale nel leggere i blocchi, utilizzare le sue qualità atletiche e nello sbarazzarsi dei possibili placcatori grazie alla potenza che abbina alle sue movenze atletiche, caratteristiche che possono fornire il massimo della tranquillità ad un quarterback chiamato a sostituire una leggenda rispetto alla quale non può, per logica, reagire allo stesso modo nelle stesse situazioni di gioco, ma che non per questo si è dimostrato essere un leader meno efficace, a maggior ragione conoscendone la tortuosa storia.

Oltre alle 161 yard con due mete a suggellare le statistiche finali del potente running back, la squadra ha beneficiato della sua stessa coralità, lasciando che difesa e special team creassero quelle opportunità in grado di portarsi a casa partite difficili come questa. La quadratura del cerchio sta proprio qui, nel saper effettuare le giocate che contano strappando ad esempio l’ovale dal pericoloso Chris Carson e tramutandolo in sei punti segnati dalla difesa, nel poter sfruttare la pericolosità di Deonte Harris nei ritorni di calcio, tutti elementi che concorrono ad una maggior tranquillità psicologica per un quarterback che ha addosso una responsabilità enorme, oltre che dei sempre presenti fantasmi di quel lontano – ma vivo – ricordo del terribile infortunio che aveva rischiato di terminargli la carriera. La chiave sta proprio nel mettere Bridgewater a proprio agio, ponendolo nelle condizioni di lanciare corto per poi lasciare a Kamara l’onere del guadagno extra e ridurre al minimo le circostanze di eccessiva pressione, laddove Brees è sicuramente più esperto a livello gestionale. Per il resto, quando serve, Micheal Thomas c’è sempre, chiunque si schieri sotto il centro.

La prestazione complessiva dei Saints è tipica di una squadra unitasi a maggior ragione dopo la forzata assenza del suo leader riconosciuto, il contraccolpo mentale è stato sinora guidato in maniera ineccepibile, tuttavia va pur sempre sottolineato che in situazioni simili la reazione psicologica non sempre è sufficiente, ci vuole anche il talento. A New Orleans ne hanno in quantità più che soddisfacente, e l’inizio del percorso di attesa del rientro del numero nove è cominciato in maniera a dir poco entusiasmante.

IL GRANDE MOMENTO DEI TEXANS

Deshaun Watson ha giocato una grande partita a L.A., grazie anche ad un’ottima linea offensiva.

Tra le storie maggiormente piacevoli di quest’inizio di torneo gli Houston Texans occupano un posto di sicuro rilievo. L’organizzazione si è rimboccata le maniche dopo aver rivoluzionato una piccola parte del roster a seguito delle trade di Jadeveon Clowney, Kenny Stills e Laremy Tunsil, nonché dopo aver dovuto rinunciare a Lamar Miller e a due tight end titolari a causa degli infortuni, agendo opportunamente nel reperire adeguati rimpiazzi.

Quello che al momento è generosamente offerto agli utenti è un grande spettacolo chiamato Deshaun Watson, il quale si diverte – e diverte – nel creare numeri funambolici su passaggio non solo in grado di intrattenere il grande pubblico, ma pure di accendere il tabellone spesso e volentieri con giocate elettrizzanti, confezionate in collaborazione ad un gruppo di ricevitori che sembra letteralmente rinato dopo aver recuperato infortuni gravi (Will Fuller) ed aggiunto importanti alternative al solito ed immenso Hopkins (Kenny Stills). In occasione dell’importante confronto con i Chargers si è anche vista una linea offensiva finalmente efficiente, in grado di proteggere con sicurezza il quarterback dopo aver cominciato piuttosto male il campionato concedendo 10 sack nelle due gare precedenti a questa, cogliendo la sfida contro Ingram e Bosa per sfoggiare il meglio di sé, ponendo un’evidente correlazione tra le ottime statistiche di Watson e l’alta resa della sua protezione.

O’Brien ha nuovamente mischiato le carte e schierato la terza disposizione differente in altrettante discese in campo, facendo esordire Max Scharping nello spot di guardia sinistra e spostando di conseguenza Tytus Howard a tackle destro, centrando una conformazione evidentemente ideale nel permettere a Watson di dimostrare le sue effettive capacità di danno nei confronti delle difese. Mai in carriera il giovane regista aveva completato il 70% di passaggi centrando contemporaneamente i traguardi delle 300 yard complessive e delle 10 yard di media, numeri non certo casuali se correlati al grado di performance del quintetto di fronte, al quale lo staff ha affiancato gli ausili del fullback Cullen Gillaspia e del tight end Darren Fells, preziose aggiunte per tutti quei down nei quali bisognava garantire a Watson il tempo di osservare lo sviluppo delle tracce dei suoi bersagli.

Il piano di gioco ha tenuto fortemente conto delle possibili scorribande della premiata coppia di pass rusher di casa, chiamando solamente sei conclusioni aeree per giochi in grado di evolvere per 25 o più yard di guadagno, tre delle quali portate a buon esito dal braccio di Deshaun. Per il resto si sono viste molte conclusioni a corto-medio raggio, antidoto più che naturale per impedire a Bosa ed Ingram di godere di troppi secondi per alzare le probabilità di arraffare il quarterback, e quando la tasca è stata scomposta dalla pressione sono immediatamente subentrate le certificate capacità d’improvvisazione dell’ex-Clemson, che in occasione del secondo touchdown di Jordan Akins è risultato addirittura circense.

La felice correlazione di eventi (un altro numero? Watson è stato sotto pressione solo nel 13% degli snap e non ha lanciato intercetti…) porta ad un quadro che vede i Texans a quota 2-1 per la prima volta dal campionato 2016, diminuendo dubbi e sospetti attorno alla figura di Bill O’Brien, e l’affermazione contro i Chargers – di certo non gli ultimi arrivati della Afc – dimostra che Houston è pronta per il tanto atteso salto di qualità.

GAME REWIND: GIANTS @ BUCCANEERS

Un giorno questa partita sarà ricordata per aver ospitato il debutto ufficiale di Daniel Jones da titolare, dopo quindici anni griffati Eli. Gara altamente spettacolare proprio grazie alle evoluzioni del nuovo quarterback dei Giants, capace di donare produttività ad un attacco spento sia su passaggio che su corsa siglando personalmente la meta del vantaggio definitivo, e che di contro ha visto Mike Evans dominare in ogni situazione di gioco. L’epilogo mozzafiato è tutta farina del sacco del kicker Matt Gay, ma il palcoscenico è esclusivamente appartenente all’ex-Duke.

STAT LINE OF THE WEEK: 26/40, 65%, 353 yds, 2 TD, 33 rush yds, 2 rush TD

Il primo piatto del menù rivincita-contro-i-critici-in-sede-di-Draft è servito. Il cuoco? Daniel Jones. Ed i Giants, all’improvviso, sono pure belli da vedere.

ONE LINERS OF THE WEEK:

  • Patrick Mahomes contro Lamar Jackson è uno spettacolo cui speriamo di assistere ogni anno, meglio ancora se nello scenario dei playoff della Afc.
  • nonostante il turbolento caos pre-stagionale i Colts ci sembrano essere in ottima forma, soprattutto mentale.
  • Dolphins e Jets sono equamente inguardabili, se non altro i secondi hanno l’inequivocabile scusante degli infortuni.
  • Qualunque aspetto vi sia da aggiustare riguardo il 76.9% di realizzo di extra-point con cui Stephen Gostkowski ha cominciato la presente stagione sarà bene risolverlo immediatamente. Per ora i Patriots non hanno giocato partite vicine nel punteggio, ma meglio non prendersi rischi di questo genere.
  • I Redskins dell’era-Snyder sono la peggior squadra in prime time di ogni epoca. L’ultimo Monday Night non ne è che l’ennesima conferma.
  • Per il momento, la Nfc North è uno spettacolo d’incertezza: speriamo sia così fino in fondo, con ogni scontro divisionale carico d’importanza.

A LOOK AHEAD:

  • Questa domenica i Bills ospiteranno gli odiati Patriots, incrociandoli da imbattuti: ecco il primo vero test da superare per la squadra di Sean McDermott. Comunque vada, ci sarà una letterale b-o-l-g-i-a.
  • I Chargers saranno di scena a Miami, di meglio non potevano chiedere per far tornare immediatamente il loro bilancio in pareggio.
  • I Vikings andranno a visitare i Bears a Chicago, sfida affascinante dato il grande equilibrio divisionale sinora manifestatosi. Partite come questa vanno cerchiate, perché a fine stagione possono fare la differenza per strappare un posto ai playoff.
  • Teddy’s next stop: Dallas Cowboys. Bridgewater dovrà necessariamente alzare il volume della radio per portarla a casa, e servirà un contributo tangibile anche dalla difesa.
  • Denver contro Jacksonville nelle altitudini del Colorado: redenzione completa per i Jags o prima vittoria nella carriera di head coach per Vic Fangio? Chi perde si è già giocato la stagione.

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