7for7

7for7 La Settimana in NBA (Ep. 2×20)

Ventesima settimana di regular season e ventesima puntata di 7for7: quando ci si diverte il tempo passa in un lampo, è risaputo, e senza neanche accorgersene siamo già alle prese con la stretta finale per la qualificazione ai playoff. In questa fase diventa fondamentale il calendario di ogni singola squadra, per calcolare difficoltà degli scontri

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A Night at the Game NBA

A night at the game: Dallas Mavericks @ Minnesota Timberwolves

Non è la prima volta che mi capita la clamorosa fortuna di poter assistere da dietro le quinte ad una partita della Lega più bella del mondo (qui, qui e qui i resoconti delle mie precedenti peregrinazioni da inviato speciale di Play.it USA), approfittando delle credenziali NBA all-access che la potenza mediatica della nostra redazione ci

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NBA

NBA Northwest Division: Preview 2018/2019

Stagione nuova, aria nuova, o almeno così va di solito. In condizioni normali staremmo parlando di tutto l’entusiasmo generato dal ripartire da zero, dove tutti puntano a migliorare quanto ottenuto nel torneo precedente sperando sulla crescita dei già presenti a roster e l’inserimento di nuovi acquisti.

La Western Conference era difficile durante gli anni scorsi, lo è a maggior ragione a seguito della transazione per definizione di un’estate vissuta all’insegna di un’altra Decisione in grado di riordinare diversamente l’assetto della possibile griglia playoff che ci troveremo davanti in primavera, complicando ulteriormente i discorsi per chi cerca disperatamente di emergere.

La Northwest è senza dubbio una Division interessante, ma quali sono le sue potenzialità se commisuriamo il tutto al dover poi fare i conti con la dinastia Warriors, con i Rockets, e con la prevista ascesa dei Lakers, che toglieranno una delle otto sedie disponibili ad una delle squadre che aveva giocato la postseason lo scorso anno? E questa squadra sarà proprio un’appartenente alla Northwest?

Domande intriganti, ma delle quali temiamo anche di conoscere in parte la risposta, perché lo scettro divisionale porta prestigio, si sa, ma ciò che conta più del resto è sempre farsi strada nei vari round di quando si gioca per davvero, e qui è difficile proiettare una qualsiasi appartenente a questo gruppo più in là di una semifinale di Conference, a meno che infortuni ed imprevisti non intervengano a modificare drasticamente la mappa dei pronostici.

In ogni caso la Northwest vede i Thunder come più probabili vincitori di quella prima piazza divisionale per completezza di squadra e per la presenza del sempre discusso Westbrook, il tutto abbinato all’imprevedibile rinnovo di Paul George, ma sarà molto interessante seguire lo sviluppo dei Jazz e del loro nucleo giovane e compatto, che non si è fatto tradire dal malumore per la dipartita di Gordon Hayward individuando immediatamente in Donovan Mitchell il nuovo volto rappresentativo della franchigia.

La presenza di Denver, Portland e Minnesota ci indica che non esiste una singola squadra non competitiva, il che rende assai difficoltosa l’ipotetica proiezione finale dell’ordine di arrivo. Possiamo solo sostenere che i Nuggets, contando anche sul ritorno di Millsap, ci sembrano in rampa di lancio, che i Blazers si toglieranno senza dubbio le loro soddisfazioni ma non sembrano così progrediti per migliorare le loro più recenti apparizioni ai playoff, e che i T-Wolves, dopo aver riabbracciato la postseason a seguito di lunga attesa, potrebbero rischiare – oltre che diventare l’ennesimo flop di Thibodeau – di vedersi implodere in uno spogliatoio dove i galli sono più d’uno.

 

DENVER NUGGETS

Starting five: Jamal Murray, Gary Harris, Will Barton, Paul Millsap, Nikola Jokic.

Rotazioni: Isaiah Thomas, Malik Beasley, Juan Hernangomez, Trey Liles, Mason Plumlee.

Coach: Michael Malone

Novità: Isaiah Thomas (L.A. Lakers); Emanuel Terry (FA); Michael Porter Jr. (pick n. 14); Jarred Vanderbilt (pick n. 41); Thomas Welsh (pick n. 58).

Partenze: Darrell Arthur (Nets); Kenneth Faried (Nets); Wilson Chandler (76ers); Isaiah Whitehead (cut)

Sarà anche The Joker, ma con lui non si scherza…

Punti di forza: il sistema offensivo basato sulla continua circolazione di palla e le qualità dei singoli giocatori possono portare i Nuggets a schierare uno dei migliori attacchi di Lega. Alla base di qualsiasi operazione c’è Nikola Jokic, un lungo di rara bellezza tecnica dal quale passano tutti i possessi, un giocatore incredibile per i continui progressi che continua ad apportare alle sue statistiche anche in settori dove un centro non dovrebbe poter incidere, un’impresa resa possibile da un’intelligenza cestistica superiore e due mani in grado di fornire passaggi millimetrici da altezze siderali. Lento, anti-atletico, ma con lui in campo la squadra rende il triplo. E la carta d’identità recita ancora ventitré primavere.

Il gioco di Denver potrà diventare pure un pizzico più versatile grazie al rientro di Paul Millsap, finalmente lontano dalle noie al polso che ne hanno rovinato il debutto tra le montagne rocciose, fatto che aggiunge un’ala in grado di tirare da fuori allargando ulteriormente le possibilità di sfruttare i centimetri di Jokic per trovare con precisione i tiratori sul perimetro. In sua assenza si è finalmente visto sbocciare Trey Lyles, che ha inaspettatamente fornito 14 punti e 6 rimbalzi di media nei mesi di gennaio e febbraio ed oggi si prospetta come un ottimo cambio dalla panchina per un secondo quintetto che vedrà anche Isaiah Thomas, il quale ritrova coach Malone ed ha punti istantanei nelle mani essendo potenzialmente determinante nel migliorare la resa di squadra quando i titolari rifiateranno.

Il backcourt porta tiro dalla distanza e gioco intermedio completando il ventaglio di possibilità a disposizione, con Jamal Murray a fornire ampio raggio da oltre l’arco ed emettere sentenze dalla linea dei liberi, e Gary Harris cresciuto fino a divenire il tiratore più affidabile che i Nuggets possono vantare. Se poi, a tarda stagione, dovesse pure aggiungersi al pacchetto la scommessa che Denver ha giocato al Draft, Michael Porter Jr., la fase offensiva non potrebbe che beneficiarne.

Punti di debolezza: un attacco di grandi possibilità non è adeguatamente bilanciato da una fase difensiva consona a tenere testa alle grandi squadre, penalizzata dai tanti punti derivanti dai numerosi canestri facili concessi, e quindi degna di un rating generale tra i peggiori di Lega. La speranza che parte della risoluzione del problema possa essere fornita da Millsap, un lungo che può marcare con efficacia anche avversari a cui regala qualche centimetro ed atletico al punto da potersi permettere la maggior parte dei cambi difensivi, ma è fin troppo chiaro che dagli sforzi del singolo non possano giungere chissà quali miglioramenti drastici.

Altri fattori che depongono a sfavore riguardano la già citata mancanza di atletismo di Jokic, un neo compensabile in attacco ma non quando si difende contro l’esplosività dei lunghi atipici d’oggigiorno, la poca propensione difensiva di Murray, che spende peraltro moltissimo nei movimenti d’attacco per smarcarsi e paga dazio dall’altra parte, e soprattutto Isaiah Thomas, facile da ingabbiare nei blocchi e soggetto ad accoppiamenti spesso impietosi nelle differenze di statura, un fattore che potrebbe portare ad incassare parziali con le seconde linee in campo.

Analisi: i Nuggets ripartono dopo una stagione dove hanno mancato di un nulla l’accesso ai playoff con l’ultimo posto disponibile, e nulla sembra potersi opporre al fatto che la squadra possegga la potenzialità di aggiungere quelle quattro o cinque vittorie in più, pur considerando la bagarre che la Conference è destinata a vivere se l’equilibrio per gli ultimi posti sarà come quello dello scorso campionato.

Il fine da perseguire sarà quello di attaccare meglio di quanto non si difenda per ovviare al’ovvia lacuna di squadra, e le potenzialità per mettere a referto un rating offensivo simile a quello ottenuto l’anno passato – 109.6, sesto dato assoluto Nba – sono senz’altro confermate dall’ampio arsenale a disposizione. A vantaggio di coach Malone c’è un roster giovane, formato da giocatori che crescono di anno in anno in una situazione lungimirante che ha già fissato investimenti pluriennali sulle colonne della franchigia, come dimostra un pacchetto rinnovi che vede il solo Jamal Murray come potenziale cliente in un nucleo bloccato per il prossimo triennio.

Un bel progetto, che ha probabilmente dei limiti ben precisi a medio termine vista l’egemonia di Golden State e Houston, all’interno della quale i Lakers arriveranno a sportellate. Denver ha le potenzialità per essere una squadra da 50 vittorie stagionali, per il resto si vedrà.

Record 2017/2018: 46-36

Previsione record 2018/2019: 50-32

MINNESOTA TIMBERWOLVES

Starting five: Jeff Teague, Jimmy Butler, Andrew Wiggins, Taj Gibson, Karl-Anthony Towns.

Rotazioni: Tyus Jones, Derrick Rose, Luol Deng, Anthony Tolliver, Gorgui Dieng.

Coach: Tom Thibodeau

Novità: Luol Deng (FA); Anthony Tolliver (Pistons); Josh Okogie (pick n. 20); Keita Bates-Diop (pick n. 48).

Partenze: Cole Aldrich (cut); Nemanja Bjelica (Kings).

Karl Anthony-Towns è il leader dei T-Wolves.

Punti di forza: il talento a roster è abbondante. Possedere una stella di primissima grandezza come Karl-Anthony Towns, recentemente inchiostrato per altri cinque anni e 190 milioni di verdoni, è un lusso di non poco conto essendo KAT la rappresentazione più vicina al prototipo di lungo moderno, quello in grado di eseguire qualsiasi compito richiesto su un campo da basket. Sette piedi, capacità di segnare in post tanto quanto da oltre l’arco, rimbalzista, stoppatore, affidabile dalla linea dei liberi ed oggi persino migliorato nel numero di palloni persi, insomma, un vero e proprio incubo per chi deve studiarci sopra delle adeguate marcature.

Se, e ripetiamo se, ci fossero garanzie di permanenza per Butler si potrebbe sostenere quanto già fatto un anno fa di questi tempi, ovvero che Minnie possiede due superstar e mezza in grado di garantire 60 punti di media a serata contando nel contempo sulla grande tenacia difensiva del bizzoso Jimmy. Visto l’evolversi delle circostanze bisogna fare i conti con le certezze che rimarranno, ed ecco entrare dunque in scena Andrew Wiggins, chiamato a dimostrare di potersi fregiare anche della metà mancante di quella stella di prima grandezza che potrebbe diventare, a patto di essere un giocatore maggiormente continuo. Nonostante qualche tiro allo scadere puntualmente mandato a segno, Wiggins non sembra essersi sviluppato come doveva a questo punto della sua carriera, nulla di particolarmente disastroso se considerati i soli 23 anni ed il fatto che, da terza opzione, ha comunque sfiorato i 18 punti a partita.

Il quintetto è altresì sorretto dalla presenza di Jeff Teague, sempre efficace nel distribuire correttamente i palloni senza dimenticare nessuno producendo in aggiunta più di 14 punti a gara, fornendo una preziosa stabilità al ruolo di point guard. Oltre a ciò Tyus Jones può incidere a gara in corso, perché ha dimostrato – nonostante cifre non proprio eclatanti – di poter guidare la squadra con sicurezza.

Punti di debolezza: dietro i principali talenti del roster c’è molto poco da sviluppare, con poco margine di manovrabilità salariale per il futuro. Teague, Gibson, Tolliver portano una media di 32 anni, Derrick Rose ha giocato molto bene nella serie di playoff contro Houston uscendo dalla panchina ma è anch’egli prossimo ai trent’anni e non porta certo garanzie dal punto di vista dell’affidabilità fisica, e tra gli ultimi colpi di mercato dei cosiddetti T-Bulls è pure arrivato Luol Deng, che da parecchio tempo non assaggia l’ufficialità del parquet a seguito delle tensioni vissute con i Lakers.

La panchina non è lunghissima, con il rischio di vedere i titolari spremuti a dovere ad un certo punto della stagione. Gorgui Dieng è un backup assolutamente utile ma sembra già aver toccato il suo massimo potenziale e le sue qualità migliori restano in ogni caso quelle atletiche, nella posizione di shooting guard c’è un vuoto che nei programmi dovrebbe essere riempito da Josh Okogie, una matricola molto promettente ma che deve in ogni caso pagare lo scotto del passaggio al professionismo.

La gestione di Thibodeau nelle rotazioni ha lasciato parecchie perplessità, e la squadra ne ha pagato le conseguenze perdendo comprensibilmente lucidità ed efficacia nei quarti periodi, quando i 33 minuti di media di permanenza in campo del quintetto base si fanno sentire sulle gambe, una lezione che il coach sembra non aver imparato sin dai tempi di Chicago.

Analisi: per introdurre adeguatamente questo paragrafo dobbiamo effettuare un piccolo passo indietro, ed analizzarne le considerazioni che ne scaturiscono. Fino all’uscita al primo turno di playoff contro i Rockets, Minnesota era una squadra giovane, futuribile, e piena di talento, e tutto sembrava mirare ad una crescita che faceva presumere una presenza pressoché costante alla postseason per le annate future, ponendo finalmente termine alle lunghissime stagioni da lotteria.

La situazione di totale stallo che riguarda Jimmy Butler non permette di proseguire il discorso sullo stesso binario logico, perché le due pieghe che la circostanza potrebbe prendere portano comunque a delle problematiche o a situazioni che oggi non possiamo conoscere. Ci spieghiamo meglio. Togliere Butler alla formazione significa decomporre molto prima del tempo un nucleo che avrebbe dovuto rappresentare il roseo futuro della franchigia, pur considerando che i T-Wolves se la sono cavata anche quando l’ex-Bulls si è infortunato al menisco, e senza sapere chi o cosa giungerà in cambio se la trade si farà, è molto difficile esprimere giudizi, e non si può calcolare a priori il tempo di inserimento in squadra di nuovi elementi con caratteristiche diverse. Se Butler dovesse invece restare – si è aggregato al gruppo da qualche giorno precisando che le richieste di trade non cambiano – c’è il rischio di ritrovarsi a roster un giocatore poco motivato, problematico per lo spogliatoio, con tutte le conseguenze del caso.

C’è quindi una grossa differenza tra la squadra che i Wolves saranno in un futuro oggi incerto e che invece sarebbero potuti essere in condizioni normali, contando un Butler in salute ed il naturale progresso di un nucleo che ha finalmente giocato la postseason e fatto assaporare il relativo clima a chi, come Towns, non poteva vantare esperienza in merito. Alle condizioni attuali, tuttavia, il passo indietro sembra inevitabile.

Record 2017/2018: 47-35

Previsione record 2018/2019: 42-40

OKLAHOMA CITY THUNDER

Starting five: Russell Westbrook, Andre Roberson, Paul George, Jerami Grant, Steven Adams.

Rotazioni: Dennis Schroder, Alex Abrines, Timothe Luwawu, Patrick Patterson, Nerlens Noel.

Coach: Billy Donovan

Novità: Dennis Schroder (Hawks); Timothe Luwawu (76ers); Nerlens Noel (Mavericks); Abdel Nader (Celtics); Hamidou Diallo (pick n. 45); Devon Hall (pick n. 53); Kevin Hervey (pick n. 57).

Partenze: Carmelo Anthony (Hawks/Rockets); Nick Collison (retired); Daniel Hamilton (Hawks); Dakari Johnson (Magic); Rodney Purvis (Magic/Celtics); Kyle Singler (cut).

Russ e George: una coppia che non avremmo dovuto vedere quest’anno, invece…

Punti di forza: in condizioni di normalità, ovvero se fosse davvero accaduto ciò che la stampa dava per scontato, avremmo indicato il solo Russell Westbrook quale punta di diamante della formazione guidata da coach Donovan, ma con una delle decisioni maggiormente sorprendenti dell’estate Paul George ha deciso di rimanere in Oklahoma allontanando le tentazioni californiane, ricostituendo un uno-due che può portare i Thunder molto lontano.

Parlare di Russ e delle sue qualità è oramai esercizio superfluo, non crediamo ci sia più nulla da dimostrare in termini di capacità di sobbarcarsi pesi di intere franchigie, di contendere perennemente per il premio di Mvp, atleta, agonista, giocatore totale, senza il quale i OKC non sarebbe una squadra da playoff. George, oltre che essere un giocatore determinante cui affidare i tiri decisivi, restituisce al quintetto base una doppia dimensione, che comprende tanto i 20 punti abbondanti per gara quanto la difesa perimetrale che può fornire, quest’ultimo un vero plus se considerato nel ragionamento il rientro di Andre Roberson ed il suo sapersi curare dei migliori attaccanti che vi siano in circolazione.

Le mosse di mercato effettuate da Sam Presti hanno convinto, e non poco. L’essersi liberati di Carmelo Anthony è una transazione che gli americani chiamano addiction by subtraction, la quale avrà certamente effetti benefici in campo e nello spogliatoio, mettendo termine ai poco consoni giochi in isolamento spesso conseguiti in forzature e cattive percentuali, ed un ruolo mai del tutto digerito di terza opzione offensiva di squadra, con l’aggravante dell’inesistente fase difensiva. La trade orchestrata per Dennis Schroder è manna dal cielo per una panchina troppo scarna negli ultimi anni, ed ecco che il problema del dover far umanamente rifiatare Westbrook potrebbe non essere il buco nero che è stato da quando Durant ha salutato tutti.

Steven Adams svolge come sempre un lavoro molto sottovalutato nel settore rimbalzi ed intimidazione sotto canestro, fornisce una moltitudine di seconde opportunità grazie al suo istintivo senso della posizione, contribuisce alla fase offensiva con tiri ad alta percentuale ed è una componente irrinunciabile del pick’n’roll dei Thunder. La seconda unità è sensibilmente migliorata grazie ai notevoli progressi di Jerami Grant e all’arrivo di Nerlens Noel, che se recuperabile a livello mentale è pur sempre un buonissimo lungo difensivo.

Punti di debolezza: nell’era del tiro da tre Oklahoma City non offre significative percentuali di realizzazione oltre l’arco, che significa andare a combattere i nemici senza usufruire delle proprie armi migliori. Paul George ha in parte risolto il problema ma continua ad essere l’unica vera opzione affidabile in materia, Westbrook è stato più dannoso che altro a causa delle selezioni di tiro non certo impeccabili (29.8% da tre), e la formazione non presenta un lungo in grado di centrare con continuità le conclusioni dalla distanza, generando un duplice effetto negativo sia per l’allargamento degli spazi offensivi e sia per l’impossibilità di attirare i difensori avversari lontano dall’area dei tre secondi.

I tanti isolamenti non rendono inoltre fluida la circolazione di palla, altro motivo per giustificare le fasi stagnanti che questo attacco arriva a dover periodicamente affrontare e fattore che dimostra la scarsa sintonia offensiva visibile con Anthony in campo, a conferma del fatto che Melo rappresentasse più la necessità di leggere a roster il nome di una terza superstar per rendere fede alle aspettative, ma che in realtà in questo sistema offensivo fosse un pesce fuor d’acqua.

Rimane poi la questione riguardante Andre Roberson, ultra-incisivo in difesa ma non-fattore dall’altra parte del campo, essenziale per marcare le minacce offensive assortite che la Western Conference propone – soprattutto in chiave playoff – ma una chiara debolezza sia per generico contributo in termini di punti che in lunetta, dove le percentuali sono assolutamente inaccettabili.

Analisi: Sam Presti ha svolto un lavoro davvero lodevole, ha inchiostrato George tenendo alta la credibilità della franchigia proprio nel momento in cui tutti avevano scommesso sui saluti finali, ha tolto il peso di Carmelo Anthony sia dalle gerarchie di squadra che dal salary cap, ed ha arricchito la panchina di pedine fondamentali per tentare di  tenere il passo delle contendenti più attrezzate della Western Conference.

I Thunder, dopo essere stati per anni una legittima squadra da titolo, hanno trascorso due stagioni abbondantemente al di sotto delle aspettative e l’intento principale per il prossimo campionato sarà quello di tornare ai livelli del passato, contando su una chimica di squadra assai progredita. I passi sopra descritti sembrano indicare la direzione corretta, alcune lacune importanti sembrano essere state risolte, tutto fa presagire che la squadra è in prima fila per aggiudicarsi la Division e che ci sono serie possibilità di rappresentare la terza o quarta forza assoluta ad Ovest.

Chiaro, con tutta probabilità non basterà ad aver ragione di Golden State in un ipotetico incrocio d’armi, ma questa sarà una delle franchigie più competitive di tutto il panorama Nba.

Record 2017/2018: 48-34

Previsione record 2018/2019: 56-26

PORTLAND TRAILBLAZERS

Starting five: Damian Lillard, C.J. McCollum, Moe Harkless, Al-Farouq Aminu, Jusuf Nurkic.

Rotazioni: Seth Curry, Nik Stauskas, Evan Turner, Caleb Swanigan, Zach Collins.

Coach: Terry Stotts

Novità: Seth Curry (Mavericks); Nik Stauskas (FA); Anfernee Simmons (pick n. 24); Gary Trent Jr. (pick n. 37).

Partenze: Pat Connaughton (Bucks); Ed Davis (Nets); Shabazz Napier (Nets); Georgios Papagiannis (cut).

Dame Lillard sarà la solita grande macchina offensiva dei Blazers.

Punti di forza: il backcourt può garantire cinquanta punti a partita nella maggior parte delle uscite, Damian Lillard e C.J. McCollum sono indiscutibilmente tra le migliori coppie di guardie della Nba. Dame è da tempo un giocatore decisivo, una minaccia offensiva totale che può centrare il canestro da qualsiasi posizione e contemporaneamente creare scompiglio in penetrazione, creando soluzioni di tiro per sé e per i compagni.

McCollum, come sempre, è un complemento a dir poco perfetto, abile com’è nel trovare lo spazio libero per smarcarsi facendo esplodere tutto il suo naturale istinto offensivo, usufruendo di una vasta gamma di possibili conclusioni che spaziano tra oltre l’arco e la zona intermedia, qualità che ne hanno più volte decretato l’ingresso nell’elite del ruolo.

Il quintetto base è sicuramente solido, la batteria di lunghi è contraddistinta dalla crescita di Jusuf Nurkic, che dal momento del suo arrivo in Oregon ha scritto le migliori cifre di carriera grazie all’aumento di minutaggio e responsabilità; Al-Farouq Aminu è uno dei punti chiave difensivi dello schieramento di partenza e fornisce un discreto contributo da oltre l’arco.

Punti di debolezza: i Blazers sono una squadra dalle prospettive limitate, perché l’impressione è quella di essere giunti all’ultima spiaggia. Le più recenti eliminazioni dai playoff paiono dimostrare che questo assetto di squadra ha raggiunto il suo massimo potenziale, non c’è possibilità di attrarre una terza stella visti i pesanti investimenti a lungo termine fissati su un backcourt che in caso di nuovi fallimenti potrebbe essere scomposto a favore di una possibile ricostruzione.

I Blazers soffrono di una panchina non molto produttiva che quest’anno dovrà affidarsi allo sviluppo dei giovani e all’inserimento delle matricole, durante la offseason sono stati persi elementi come Ed Davis – la sottrazione più significativa della seconda unità – Shabazz Napier e Pat Connaughton, questi ultimi rappresentanti delle notevole problematiche di squadra in termini di realizzazioni oltre l’arco. La dirigenza ha ovviato firmando Seth Curry, che di tiro ne ha da vendere ma che andrà testato al rientro dopo un anno intero di inattività forzata da una frattura, un rendimento vicino a quello di due stagioni fa potrebbe risolvere parecchie grane nei momenti di pausa del duo delle meraviglie, in caso contrario Portland si ritroverebbe a convivere con gli stessi problemi del passato, senza costrutto alcuno.

Esiste inoltre un chiaro squilibrio nella produzione offensiva tra il settore guardie ed ali, per quanto affidabili siano Lillard e McCollum la serata storta va messa in conto per chiunque, ed il resto della squadra non possiede certo un elemento in grado di farsi avanti e prendere la situazione sulle spalle.

Analisi: i Blazers sono indubbiamente stati una buonissima squadra pur nel grande equilibrio di forze con cui hanno avuto a che vedere nella Western, raggruppamento nel quale si ripresentano quest’anno senza sostanziali innovazioni. Portland resta una sicurezza per la regular season e quasi certamente avrà la possibilità di agguantare un posto ai playoff, il discorso riguarda invece quanta strada si potrà effettivamente percorrere a seguito della qualificazione, e qui la faccenda si fa pesante.

Basti pensare alle eliminazioni più recenti subìte dai Blazers, squadra di indubbie potenzialità ma reduce da un doppio cappotto contro Golden State e New Orleans, ambedue situazioni frustranti seppure per motivazioni differenti, nel primo caso per le dichiarazioni fuori luogo di Lillard sull’esito della serie contro i mostri della Baia, nel secondo per non aver vinto nemmeno una gara contro una squadra orfana di Cousins, e che ha ugualmente passeggiato in cima ai resti del team guidato da Terry Stotts.

Nel frattempo le cose non sono cambiate in meglio e la concorrenza è ancor più agguerrita, ed è chiaro che Portland non sia attrezzata per insidiare le tre migliori squadre ad Ovest. Si prospetta dunque un’altra stagione che vedrà i Blazers togliersi più di qualche soddisfazione, ma in ogni caso impattare contro i propri limiti una volta che la faccenda si farà maggiormente seria – a meno di trade significative a stagione in corso – arrivando loro malgrado a comprendere che con la composizione attuale è stato raggiunto il massimo possibile dei risultati.

Record 2017/2018: 49-33

Previsione record 2018/2019: 43-39

UTAH JAZZ

Starting five: Ricky Rubio, Donovan Mitchell, Joe Ingles, Derrick Favors, Rudy Gobert.

Rotazioni: Dante Exum, Alec Burks, Royce O’Neale, Jae Crowder, Ekpe Udoh.

Coach: Quinn Snyder

Novità: Jayrus Lyles (FA); Grayson Allen (pick n. 21); Naz Mitrou-Long (FA).

Partenze: Jonas Jerebko (cut); David Stockton (cut).

Dopo un solo anno di Nba, Donovan Mitchell è già l’icona dei Jazz.

Punti di forza: i Jazz sono una squadra molto compatta, di quelle che passano criminalmente sotto il radar per la mancanza di una moltitudine di superstar a fare le fortune della franchigia, ma è chiaro il come durante la stagione scorsa quest’idea sia stata indubbiamente sfatata dalle prestazioni di un roster che non ha mostrato grosse lacune, e che ritorna sostanzialmente intatto dopo aver giocato due turni di playoff.

Si diceva che Utah, dopo aver perso Gordon Hayward, sarebbe dovuta ritornarsene nell’oscurità dopo una brevissima riapparizione nella mappa della Nba che conta, e con esso, in apparenza, tutte le possibilità di costruire un futuro radioso. Donovan Mitchell ha preso letteralmente a sberle questo concetto, si è caricato la squadra sulle spalle ed ha chiarito che la nuova faccia della franchigia corrisponde proprio alla sua, fugando ogni possibile dubbio riguardante la sua annata da rookie. A chi dubitava che potesse partire in quintetto ha risposto guidando il roster per punti a partita di una franchigia poi qualificatasi per la postseason eseguendo un’impresa che non accadeva dai tempi di Carmelo Anthony a Denver, progredendo a stagione in corso fino a diventare la chiave per tutte le fasi stagnanti offensive patite dai Jazz, che si sono rivolti esclusivamente a lui per tirare fuori punti in momenti critici vedendosi adeguatamente retribuiti, senza nessun timore di accettare questo tipo di responsabilità.

Questo si è visto anche e soprattutto nei playoff, dove Utah ha estromesso i Thunder al primo turno e dato filo da torcere ai Rockets prima di cedere contro una squadra evidentemente superiore nel talento, ed ha in ogni caso gettato le basi per un prosieguo evolutivo di grande interesse. Ricordiamo che il quintetto presenta un costante concorrente per il premio di difensore dell’anno, Rudy Gobert, giocatore che permette l’attuazione di tutte le idee difensive di squadra, una sicurezza che genera una maggiore presa di rischi nell’aggressione sul perimetro, perché poi dietro c’è lui a risolvere la maggior parte delle problematiche. Ricky Rubio ha rappresentato una notevole aggiunta, un playmaker in grado di far girare il pallone prendendo le decisioni corrette che ha aumentato il livello del proprio gioco dopo la pausa All-Stars, contribuendo in maniera significativa al tenere alta la percentuale di assist di squadra e migliorando le sue percentuali al tiro, ovviando alla pecca su cui tutti gli si erano accaniti contro durante l’esperienza nel Minnesota.

Punti di debolezza: l’efficienza offensiva non è alla pari di quella difensiva, e spesso i Jazz si sono ritrovati a non saper esattamente come concludere correttamente l’azione d’attacco. Chiaro che quando scopri a stagione in corso un giocatore come Mitchell parte del problema è destinato ad evaporare, chiaro pure che il solo Donovan non può costituire l’unica opzione in grado di togliere le castagne dal fuoco in situazioni di emergenza.

I Jazz sono una squadra d’attacco impostato sulla metà campo e questo è un limite, perché l’efficienza in contropiede è stata molto buona ma spesso la squadra non riesce a costruire opportune situazioni di questo genere, dato che il numero di fastbreak per possesso vale solamente il diciannovesimo posto di tutta la Lega. Essere una squadra tosta dove ognuno è in grado di fare un passo avanti in aiuto alla superstar rappresenta una situazione con molti lati positivi per la versatilità che offre, ma è chiaro che Utah avrebbe bisogno di una seconda opzione offensiva molto più concreta. Il giocatore che i Jazz cercano potrebbe diventare Grayson Allen, che a Duke si è distinto per la capacità di muoversi tra gli screen e generare attacco con costanza, una buona seconda opzione potrebbe essere Jae Crowder, che avrà più esperienza nel sistema-Snyder, e si conta molto sull’ulteriore crescita di Dante Exum, ma per il momento questi sono tutti punti interrogativi.

Analisi: i Jazz sono tornati ad essere una realtà entusiasmante, e sono riusciti ad avere successo senza necessariamente modellarsi come le altre super-potenze che dominano i primi posti della Nba. C’è ancora molta strada da fare per salire lo scalino successivo, ma se non altro la franchigia ha bruciato i tempi e non si è inabissata per il solo fatto di aver perso Hayward, un fatto lodevole già di per sé, centrando l’impresa di restare una squadra da playoff nella Conference nettamente più difficoltosa tra le due opzioni disponibili.

Utah non è certo all’altezza di Golden State, ma è in fase di crescita e può ritagliarsi uno spazio importante negli anni a venire, forte di un nucleo completo e versatile, e di un sistema difensivo di ottima resa. Il grande talento di Mitchell, i progressi di Rubio e la sua intelligenza cestistica, la leadership di Joe Ingles – vero collante dello spogliatoio – la presenza sotto canestro di Gobert ed un settore di ali decisamente profondo sono elementi che possono fare tutta la differenza del mondo anche in una corsa che si è fatta più complessa di prima, perché la chimica di squadra viene sempre prima di tutto il resto.

Probabilmente l’esplosività offensiva dei Thunder pagherà di più sul lungo andare, ma i Jazz possono comunque dire la loro sul titolo di Division ed in ogni caso portarsi a casa un primo turno di playoff da giocare in casa. E’ una squadra che può mettere in difficoltà chiunque con la sua aggressione, con il suo saper lavorare sporco, l’unica via che Snyder ritiene di poter percorrere per mettere in difficoltà le collezioni di talenti che girano nella Western. La missione è quella di accorciare ancora le distanze, poi il resto si vedrà strada facendo, ma il futuro sembra davvero sorridere alla franchigia.

Record 2017/2018: 48-34

Previsione record 2018/2019: 52-30

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