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NBA Central Division: Preview 2018/2019

Per la prima volta in tanti anni, la Central Division non avrà un padrone acclarato, complice l’addio di LeBron James in direzione Los Angeles. Si preannuncia quindi un cambio della guardia e la candidata naturale al ruolo di Division Leader spetta ai Bucks di Antetokounmpo, destinati a rifarsi il look con il neo-assunto coach Mike Budenholzer; anche Detroit ha cambiato allenatore, affidandosi a Dwane Casey per risolvere gli equivoci tattici dei Pistons, mentre gli Indiana Pacers cercheranno di dare continuità ai risultati della passata stagione.

Se per i Cavaliers il 2018-19 si preannuncia ben poco entusiasmante, pensiamo viceversa valga la pena dare un’occhiata a quel che succederà nel laboratorio di Chicago; non tutto filerà liscio fin dalla palla a due, ma nessuno potrà accusare i Bulls di non avere idee.

MILWAUKEE BUCKS

Quintetto: Eric Bledsoe (G), Malcolm Brogdon (G), Khris Middleton (FG), Giannis Antetokounmpo (F), Brook Lopez (C)

Panchina: Matthew Della Vedova (G), Pat Connaughton (G); Donte Di Vincenzo (G), Tony Snell (FG), Ersan Ilyasova (F), John Henson (C), Sterling Brown (G)

Allenatore: Mike Budenholzer (assistenti: Josh Longstaff, Darvin Ham, Vin Baker, Taylor Jenkins, Charles Lee, Ben Sullivan, Patrick St. Andrews)

 

 

Punti di forza: Concluso l’interregno di Joe Prunty, il giovanissimo GM Jon Horst (classe ’83) ha scelto di puntare su Mike Budenholzer, ex delfino di Popovich reduce da un quinquennio complessivamente positivo con gli Hawks.
Giannis Antetokounmpo appartiene ormai al pantheon dei migliori giocatori del mondo, e i Bucks non vogliono più perdere tempo, sfruttando la concomitante inaugurazione dello scintillante Fiserv Forum, che prenderà il posto del leggendario ma vetusto Bradley Center.

Milwaukee ha fatto piazza pulita, spazzando via tutti i residui di un sistema di gioco che non ha mai capitalizzato il potenziale di Giannis, e ora con Budenholzer si è dotata di un coaching d’alto profilo.

Il quarantanovenne di Holbrook proverà a dare una fisionomia più chiara al roster, definendo non tanto ruoli quanto principi tecnici. Giocatori come Tony Snell, John Henson o Thon Maker sono stati abbandonati al loro destino, e persino Malcolm Brogdon e Khris Middleton non sono stati sfruttati a dovere.

Non si starà più a guardare Giannis in attesa di uno scarico, ma si tenterà di schierare un sistema di gioco che renda tutti più pericolosi in attacco e anche meno esposti in difesa. Facile in teoria, molto meno in pratica, e per riuscirci Coach Bud partirà necessariamente dal rapporto con le sue due stelle, Middleton e soprattutto Giannis Antetokounmpo, che non dovendo più fare pentole e coperchi potrebbe toccare vette di rendimento inaudite.

Punti di Debolezza: Non è molto chiaro quale sia la filosofia ispiratrice di questo roster; si era partiti con l’idea di puntare giocatori multi-ruolo che potessero cambiare a ripetizione (Antetokounmpo, Carter-Williams, Henson, Snell) ma si è poi andati in una direzione differente con Bledsoe e ora Brook Lopez.

Mike Budenholzer dovrà essere creativo per far coesistere le diverse anime del club; in passato è stato bravo a ritagliare un ruolo per un playmaker poco tradizionale come Jeff Teague, e ora dovrà imbrigliare il talento di Bledsoe rendendolo funzionale al collettivo. Brogdon e Della Vedova dovranno eseguire, anziché improvvisare, mentre l’abilità balistica di Middleton merita dei giochi che gli consentano di ricevere dinamicamente in uscita dai blocchi.

C’è molta carne al fuoco e pochi riferimenti certi, quindi non si può dare per scontato che i Bucks siano pronti a rendere sin dal day one, anche se storicamente, costruire attorno ad un giocatore condizionante (per gli avversari) come Giannis è sempre un bel vantaggio.

Il roster non ha lacune incolmabili ma, come detto, servono principi chiari: niente Bledsoe che palleggia a martello, niente isolamenti per Khris Middleton, e soprattutto regole inequivocabili (Cosa si fa quando c’è un blocco? Quali sono le regole sugli aiuti difensivi?) che consentano a giocatori come Henson o Snell di concentrarsi sull’esecuzione.

Previsione: Budenholzer ha mostrato d’essere un allenatore intelligente, capace di adeguare le sue idee al personale a disposizione; Antentokounmpo è maturo per dare la caccia a quel trofeo di MVP già preconizzato da Kobe Bryant un anno fa, e lo zoccolo duro dello spogliatoio è legato alla franchigia da contratti pluriennali. Insomma, ci sono i presupposti perché in Wisconsin fiorisca una realtà cestistica importante, e pensiamo che il 2018-19 possa veder Milwaukee accedere al club delle cinquanta vittorie. Pronostico: 52-30.

 

INDIANA PACERS

 Quintetto: Darren Collison (G), Victor Oladipo (G), Bojan Bogdanovic (F), Thaddeus Young (F), Myles Turner (C)

Panchina: Domantas Sabonis (CF), Kyle O’Quinn (CF), Doug McDermott (F), Tyreke Evans (G), Cory Joseph (G), Aaron Holiday (G)

Allenatore: Nate McMillan (Assistenti: Bill Bayno, David McClure, Popeye Jones, Dan Burke)

 

 

Punti di forza: La stagione da 48 vittorie dei Pacers ha entusiasmato e fatto dimenticare in fretta l’amaro addio di Paul George: Victor Oladipo si è rivelato una combo-guard All-NBA, Darren Collison ha dato finalmente senso ad una carriera abbastanza deludente, mentre la discontinuità di Myles Turner veniva quasi dimenticata, sulla scorta del rendimento incredibile offerto da Bogdanovic, Thaddeus Young e del giovane Sabonis.

Già ai tempi di Seattle McMillan era stato capace di produrre un miracolo simile, quando Ray Allen, Rashard Lewis & Co. (con le valigie già pronte) giocarono così bene da costringere la proprietà a confermarli in blocco.

La sfida che attende Nate e Kevin Pritchard è dare continuità ai risultati e sfruttare la positività del momento per consolidarsi, ora che l’effetto sorpresa è finito. Sono partiti Lance Stephenson, Al Jefferson e Glenn Robinson III, rimpiazzati da Tyreke Evans, O’Quinn e McDermott, buoni giocatori che costituiscono un discreto upgrade tecnico, e che dovranno sposare l’atteggiamento altruistico in voga ad Indiana.

Evans è un giocatore migliore sotto tutti i punti di vista rispetto a Born Ready, O’Quinn è più fresco (anche se non ha gli stessi piedi) di Jefferson, mentre siamo curiosi di scoprire se Indianapolis sarà la fermata giusta per dare un senso alla carriera di McDermott.

La leadership tecnica ed emotiva spetta naturalmente ad Oladipo, ma Tyreke Evans lo aiuterà a creare gioco dal palleggio, consentendogli anche di rifiatare senza subire parziali (l’anno scorso in contumacia Oladipo i Pacers andavano sotto di 7,3 punti per 100 possessi). Collison, Young, Bogdanovic e Sabonis costituiscono un buon “supporting cast”, in attesa di capire quale sia il reale valore del talentuoso Myles Turner. Attenzione anche al playmaker Aaron Holiday, ultimo rampollo della casata che ha prodotto Jrue e Justin, e reduce da un’ottima Summer League.

Punti di debolezza: Myles Turner sarà free agent il prossimo luglio, e fin qui, ha alternato lampi di abbacinante talento e passaggi a vuoto da ultimo della classe. Non lo hanno certamente aiutato i problemi fisici, ma il treccioluto texano è un centro che tira col 47% dal campo (e sono solo due i tentativi di media da dietro l’arco) e che cattura la miseria di 6,4 rimbalzi. Turner ha solo 22 anni e i big men maturano lentamente, tuttavia ci si attende da lui più intelligenza tattica e capacità di riconoscere le situazioni, ad esempio evitando falli stupidi e subendo meno i roller avversari.

Il roster dei Pacers manca probabilmente un po’ di durezza nel proteggere il ferro (O’Quinn potrà aiutare, ma non è il classico enforcer e tantomeno un rim-protector) e nonostante l’encomiabile impegno, giocatori come Sabonis, Collison, McDermott e Bogdanovic non saranno mai dei lock-down defenders quando affrontano qualche superstar che li può esporre in 1-on-1 (Darren per la verità, potrebbe fare meglio anche sul pick & roll).

Infine, Indiana è un gruppo poco propenso a prendere triple: il jumper dalla media si è rivelato esiziale contro Cleveland negli scorsi Playoffs (I Cavs non l’hanno capita subito, ma alla fine ha iniziato a difenderlo bene) perché i Pacers hanno scoperto di non avere alternative per allargare il campo, scontando anche la fatica di Bojan Bogdanovic, che tiratore sarebbe, ma si sfiancava sulle piste di LeBron.

Se Doug McDermott scenderà in campo con la disponibilità di Bogdanovic (non è un freak atletico, ma supplisce con il sacrificio e sa dove mettersi) potrà guadagnare minuti, consentendo ai Pacers di beneficiare delle sue doti al tiro.

Previsione: Ci sembra ragionevole pronosticare una stagione d’assestamento con record 44-38; i Pacers non sono uno di quei gruppi giovanissimi e traboccanti talento (e che poi magari non combinano niente) ma hanno comunque il futuro dalla loro parte e sanno giocare a basket insieme, il che pagherà dividendi, soprattutto se le aggiunte estive dovessero rivelarsi azzeccate.

McMillan non sarà forse uno stratega geniale, ma sono arrivati giocatori che hanno ampliato la rosa delle soluzioni tecniche disponibili, quindi pensiamo che Indiana sarà capace di vender cara la pelle anche nel 2018-19 per poi cercar fortuna sulla free-agency. 

DETROIT PISTONS 

Quintetto: Reggie Jackson (G), Luke Kennard (G), Stanley Johnson (F), Blake Griffin (F), Andre Drummond (C)

Panchina: Reggie Bullock (G), Ish Smith (G), Langston Galloway (G), Glenn Robinson III (F), Khyri Thomas (F),  Henry Hellenson (F), Zaza Pachulia (C)

Allenatore: Dwane Casey (Assistenti: Tim Grgurich, Sidney Lowe, D.J. Bakker, Sean Sweeney, Michah Nori)

 

Punti di forza: L’esperimento targato Van Gundy si è concluso senza nessun rimpianto, considerata la distanza siderale tra il proposito (replicare gli Orlando Magic finalisti nel 2009 con Drummond nei panni di Dwight Howard) e i risultati; Detroit riparte da Dwane Casey, giubilato in quel di Toronto dopo l’ennesima débâcle dei Raptors contro la bestia nera Cleveland.

Casey è uno di quegli allenatori che danno il meglio in allenamento, quando possono spiegare basket; a Detroit lui e i suoi assistenti (tra i quali spicca il leggendario Grgurich) avranno tanto da fare per modellare la fisionomia di una franchigia lasciata in disarmo dal Panic Master di shaquilliana memoria.

I Pistons hanno un’accoppiata di lunghi dai nomi roboanti, e dovranno puntare su di loro per aprire spazio ad una pletora di esterni bravi ma non eccezionali; proprio per questo (infortuni permettendo) Reggie Jackson reciterà un ruolo importante, con la sua capacità di concludere dal palleggio, ma dovrà anche trovar modo di coinvolgere i compagni.

L’entusiasmo dettato dalla nuova gestione potrebbe beneficiare Stanley Johnson, e aiutare lo sviluppo di Hellenson, Robinson e Thomas, mentre Zaza Pachulia proverà a trasmettere ai suoi nuovi compagni la mentalità appresa sulla Baia di San Francisco.

Inutile nascondere però che le ambizioni dei Pistons passano necessariamente per la capacità di Griffin d’abbracciare quel ruolo da uomo-franchigia che, per vari motivi, non ha mai fatto suo a Los Angeles. Distante dalle luci affascinanti (e distraenti) della grande metropoli, potrebbe aver finalmente trovato la sua dimensione ideale.

Punti di debolezza: Durante il quadriennio di Van Gundy, Andre Drummond ha imparato ad accumulare cifre ma non a difendere, e offensivamente siamo alle astine; Jackson tende a giocare coi paraocchi, Blake Griffin sembrava poter diventare un novello Karl Malone ma è lontanissimo dal rendimento del Postino.

Gli unici panchinari dal rendimento sicuro sono Ish Smith, Pachulia e Leuer (che però è stato operato al ginocchio e salterà il Training Camp) mentre tutti i giocatori di guardia e d’ala sono sostanzialmente chiamati a svoltare; qualcuno farà bene, ma è difficile che ci riescano en masse, e questo rende Detroit ancor più dipendente da un trio di punta che a sua volta non offre certezze: Blake, Andre e Reggie, per i quali il 2018-19 rappresenterà un banco di prova importante per capire se fin qui sono stati male utilizzati, o se, semplicemente, non possono esprimersi ad un livello più elevato.

La voce di un nuovo allenatore in spogliatoio aiuterà sicuramente, e Casey ha la reputazione di coach capace di far migliorare i suoi giocatori col lavoro, ma alla Little Caesars Arena non ci si possono aspettare miracoli.

Previsione: Ci fidiamo delle doti di Casey e siamo convinti che Detroit abbia le risorse per ottenere un record di 45-37, per quanto, una volta conquistati i Playoffs, non possiamo escludere che i Pistons facciano la stessa fine dei Raptors: un buon gruppo, ben allenato, ma privo di quei fuoriclasse che portano il gruppo oltre l’ostacolo.

A meno che Blake Griffin smentisca il trend della sua carriera, e la sensazione che purtroppo il treno per l’immortalità cestistica sia già passato.

CHICAGO BULLS

Quintetto: Kris Dunn (G), Zach LaVine (G), Jabari Parker (F), Lauri Markkanen (F), Robin Lopez (C)

 Panchina: Bobby Portis (F), Justin Holiday (G), Wendell Carter Jr. (CF), Denzel Valentine (F), Chandler Hutchison (FG)

Allenatore: Fred Hoiberg (Assistenti: Randy Brown, Jim Boylen, Mike Wilhelm, Pete Myers, Nate Loenser)

 


Punti di forza:
Dopo la cessione di Jimmy Butler, pensavamo che Paxson e Gar Forman avesse imboccato la via di una lunga e faticosa ricostruzione; viceversa, sono stati capaci di puntare subito sui giocatori giusti per restituire futuribilità alla franchigia della Windy City, ora resta da capire se sapranno plasmare un roster capace di vincere partite.

Lauri Markkanen è un prospetto di ala affascinante e modernissima, che quest’estate ha lavorato molto sulla forza per poter andare a battagliare anche in verniciato. Kris Dunn, da Providence, inizierà la terza stagione da Pro con i galloni da titolare garantiti, dopo un eccellente 2017-18, e sarà affiancato in guardia dall’esplosività di Zach LaVine, mentre in ala troviamo Jabari Parker (nativo del South Side, e titolare di un biennale da 20 milioni), Hutchinson (ala-guardia da Boise State, dove ha mostrato completezza e intelligenza cestistica), Bobby Portis e infine il tandem Lopez-Carter sotto le plance.

Chicago ha le carte in regola per andare oltre i risultati della passata Regular Season anche al netto di Nikola Mirotic, perché il finlandese Markkanen è destinato a migliorare e Carter, Parker e Hutchison completano i reparti in modo futuribile.

Coach Hoiberg avrà le mani piene per sperimentare quintetti particolari, anche se sembra orientato ad usare Parker da ala piccola, spot che potrebbe esporlo eccessivamente in difesa, a meno di riscoprire il ruolo di point-forward del compianto Anthony Mason. Wendell Carter porterà una nuova dimensione al post (basso e medio) dei Bulls, oltre a formare, con Lauri Markkanen, la front-line del futuro.

Punti di debolezza: Chicago ha una eccellente rotazione di lunghi e “mezzi lunghi”, mentre i rincalzi degli esterni sono decisamente scarni: tolti LaVine, Holiday, Hutchison e Dunn, è infatti composta da autentiche scommesse. Lasciato partire David Nwaba, è stato confermato l’onesto Ryan Arcidiacono, mentre alle spalle di LaVine gavazzerà l’affidabile Holiday e forse anche Antonio Blakeney.

Pensiamo che Hutchison non avrà problemi a scalzare Denzel Valentine, mentre la posizione di play è più problematica; Dunn è un giocatore dal talento circoscritto e dietro di lui ci sono Cameron Payne e Arcidiacono, non proprio due cambi di qualità. Hoiberg potrebbe usare LaVine per qualche minuto da point guard, ma l’esperimento era già stato tentato a Minneapolis con esiti rivedibili, quindi sarebbe più sensato usarlo per ricevere e tirare in modo efficiente, contribuendo inoltre ad aprire il campo per le scorribande di Parker.

Fred Hoiberg è riuscito ad abbozzare una fisionomia ad un gruppo che nel frattempo è stato migliorato dagli innesti, tuttavia la presenza di Parker andrà gestita; ottima persona fuori dal campo, Jabari è un accentratore di gioco naturale, il che può giovare se supplirà al playmaking di Dunn, ma potrebbe anche avere effetti rovinosi se dovesse scendere in campo pensando giocare attacchi ISO.

LaVine guadagnerà 78 milioni da qui al 2022, nonostante sia reduce da gravi problemi fisici (ACL), e anche se ovviamente gli auguriamo il meglio, è giusto ricorda che il rischio di ricadute esiste, come potrebbe raccontarci il neo-Bull Jabari, reduce da una serie devastante d’infortuni ai legamenti del ginocchio che ne hanno alterato la carriera.

Previsione: Nel complesso i Bulls sono una buona squadra, perché il roster ha le risorse per supplire ad ogni eventuale carenza (come detto, Parker può giostrare il pallone meglio di Dunn, Portis è un jolly prezioso, Carter è un lungo polivalente, Markkannen è una star in the making e LaVine può essere una eccellente guardia per tanti anni a venire), resta da scoprire se Hoiberg è il coach giusto. Il “sindaco” ha iniziato malissimo la sua permanenza sulla panchina di Chicago, minando le certezze del gruppo costruito da coach Tom Thibodeau; In attesa di scoprire quanto vale veramente tra i Pro, il pronostico è 37-45.

CLEVELAND CAVALIERS

Quintetto: George Hill (G), Rodney Hood (G), Cedi Osman (F), Kevin Love (F), Tristan Thompson (C)

 Panchina: Collin Sexton (G), J.R. Smith (G), Jordan Clarkson (G), Kyle Korver (F), David Nwaba (G/F), Larry Nance Jr. (F), Ante Zizic (C)

Allenatore: Tyronn Lue (Assistenti: Dan Geriot, Larry Drew, Damon Jones, James Posey, Mike Longabardi)

 

 

Punti di forza: Chiusa definitivamente l’epopea di LeBron James in Ohio, Cleveland si ritrova con un gruppo costruito (male) in funzione delle qualità tecniche di LBJ; il pubblico della Quicken Loans Arena dovrà archiviare mentalmente le cinquanta vittorie della scorsa stagione, così come le 4 apparizioni consecutive alle Finals, e prepararsi ad una “stagione di transizione”, come si usa dire in queste occasioni; i veterani tireranno la carretta e Kevin Love tornerà protagonista, con tanto di giochi disegnati apposta per lui, il tutto, si suppone, nel contesto di una pallacanestro fondata sul pick & roll tra l’ex UCLA e le tante guardie con punti nelle mani (e un po’ meno visione di gioco) a disposizione di coach Lue, a sua volta sotto la lente d’ingrandimento dopo due annate e mezza vissute all’ombra (nel bene e nel male) del Prescelto.

Ci sono buoni o buonissimi difensori (Nwaba, scaricato dai Bulls, Thompson, Hill) ma nessuno di loro sa mettersi in proprio in attacco, viceversa specialità della casa dei vari Clarkson, Smith, Hood, artisti dell’improvvisazione dal palleggio che però difendono male. Il roster vanta anche alcuni atleti stellari, ma l’home-boy Nance fin qui si è dimostrato un cestista largamente immaturo, mentre Sexton è un rookie e non gli si può chiedere di prendere in mano i destini della franchigia dal day one.

La sfida è indubbiamente affascinante quanto impervia: ricondizionare un gruppo fondato sullo star-power indirizzandolo verso un basket collettivo, riempiendo così “per comitato” la voragine tecnica lasciata da LBJ. Per riuscirci servirà una pallacanestro estremamente strutturata, roba da Pistons di Larry Brown, Play the Right Way e tutto il resto, insomma l’opposto del “situazionismo” con cui Lue s’è barcamenato fin qui.

Punti di debolezza: Nonostante la presenza di un uomo d’ordine come George Hill, di un’ala intelligente e in crescita come il turco Osman e di Kevin Love, Cleveland è una squadra che potrebbe avere più di un problema con la circolazione di palla, e se le cose non dovessero mettersi bene fin da subito, i Cavs rischiano di deragliare in modo atroce, tra adepti della più nefasta Hero-Ball (Smith e Clarkson) e gente interessata solo a riempire il foglio delle statistiche in vista del prossimo contratto (Hood e Nance gli ovvi candidati). Insomma, ci sono tanti “pezzi”, che però si connettono male tra loro, classica ricetta per una stagione nefasta.

Collin Sexton ha la mentalità dei grandi giocatori, ma è inesperto e se le cose dovessero mettersi male non potrà certo essere lui a gestire uno spogliatoio di vecchi marpioni; pensiamo però possa beneficiare della vicinanza di alcuni selezionati veterani di provata etica lavorativa come Hill o Korver (senza dimenticare Channing Frye). Un roster così disfunzionale sarebbe una sfida per qualsiasi allenatore, e quindi sarebbe scorretto considerarlo un banco di prova inappellabile per Tyronn Lue (e per l’Associate Head-Coach, il navigato Larry Drew), che con la sua calma serafica ha gestito crisi tremende e momenti esaltanti. Ora però, più che un gestore di spogliatoio, servirebbe un vero e proprio maestro di basket, e non sappiamo se l’ex playmaker di Nebraska sia pronto per una sfida di questa magnitudo.

Previsione: Ci sono tanti, forse troppi giocatori egoisti a roster (e l’egoismo non si misura col numero di tiri), che senza l’influenza e la personalità di LeBron James potrebbero tornare a coltivare l’orticello privato, nella più perfetta indifferenza per il destino del club, distruggendone la chimica di squadra.

Un anno fa Indiana è riuscita a svoltare con un gruppo di gregari in fondo non troppo dissimili da quelli di Cleveland, tra devianti, role-player e talenti in cerca d’autore; difficilmente assisteremo al bis in Ohio, e ci sembra più probabile un record di 32-50 sul quale costruire un futuro che passerà dal draft e dalla qualità del lavoro del GM Koby Altman, ora libero di lavorare senza la pressione di dover vincere immediatamente.

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