Arrivare secondi nello sport non è mai stato un vanto ma stavolta ci sembra un’eccezione, per ciò che i ragazzi di Cassidy hanno dimostrato durante tutto l’arco della stagione, che fosse campionato regolare o postseason.

Riportare la Stanley Cup nel Massachussets nove anni dopo l’ultimo trionfo ed evitare la 14° sconfitta (un primato) in finale sembravano cosa fatta quando, con l’ennesimo colpo di reni, Chara e soci si erano ripresi il fattore campo a St. Louis per giocarsi la “bella” al TD Garden: così non è stato!

Se c’è una franchigia che merita l’onore delle armi e il plauso per aver mantenuto una costanza pazzesca dall’opening day fino alla nottataccia di mercoledì è proprio quella di Boston.

Molti sono stati gli ostacoli superati, anche fisici, come testimoniato dallo stoico capitano, capace di terminare la serie conclusiva con una mascella rotta e claudicante. Le pacche sulla spalla e le (molte) parole di conforto che ogni Blues ha dedicato a Zdeno, sfinito e stremato dalla delusione a fine match, valgono come un trofeo e stanno a significare il rispetto conquistato dal quarantaduenne ceco in 21 stagioni da protagonista! E’ proprio il suo carattere ferreo e tenace l’emblema di un team che si è rivelato superiore e incessante rispetto a tutti per forza mentale, tecnica e cattiveria agonistica.

Importanti queste precisazioni anche alla luce di quel che avvenuto in questi playoff, dove l’essere favorito si è rivelato un optional. La clamorosa dipartita dei Lightning ha ancora una volta confermato le nostre parole sull’importanza della mentalità

. Quel che Tampa non ha aggiunto a livello emotivo – dopo aver dominato in regular season – contro i Blue Jackets quest’anno, ma anche nelle ultime fasi con Washington lo scorso torneo, è invece riuscito al club del Massachussets, superiore anche ad infortuni in difesa, rimonte subite, sconfitte in OT e vantaggio casalingo da recuperare.

Una stagione iniziata senza particolari aggiunte, con l’addio del sempre acciaccato Rick Nash e in free agency dell’omonimo Riley, Nick Holden, Khudobin e Schaller, puntando a far crescere i propri giovani al fianco del carismatico capitano e di un fuoriclasse infinito come Patrice Bergeron, i due storici ed ultimi winner di trofeo (2010/11).

Insieme a lui le solite certezze con Marchand e Pastrnak a completare una top line da incubo (320 pts totali), il futuro asso De Brusk (53), il veterano Krejci (89) e David Backes, con qualche dubbio nelle sguarnite linee dalla terza in giù, da integrare magari con inserimenti a pieno regime dei giovani Karlsson, Bjork, Frederic, Studnika, Heinen e Donato, invischiato invece poi nei numerosi movimenti in uscita di metà anno. In difesa, al fianco di Chara, il mix gioventù/talento/carattere ha aumentato ancor di più l’asticella con elementi al top del calibro di McAvoy, Grzelcyk e Brandon Carlo, affiancati da esperti profili come Kevan Miller, Torey Krug e i free agent new entry John Moore e Jaroslav Halak, quest’ultimo spalla tra i pali del divino Tuukka Rask.

Un eccezionale secondo posto in classifica generale per punti e vittorie casalinghe e quello ad Est per gol subiti hanno spinto i Bruins alla postseason per la terza volta consecutiva con Bruce Cassidy alla guida.

Qui la cattiveria psicofisica è stata decisiva per vincere in gara 7 contro Toronto e in 6 incontri sui Blue Jackets, recuperando più volte il fattore campo. Lo sweep agli Hurricanes è stato netto e perentorio ed ha confermato tra le certezze acquisite quella di un dominio incontrastato in power play: chiuderanno con un clamoroso 32.4%, 24 reti e 74 opportunità!

Boston è giunta alla 20° finale di Stanley Cup della sua storia, la decima dall’expansion era (1967/68), seconda solo a Montreal (11), grazie anche alla presenza avanti lo slot di un campione come Tuukka Rask, backup di Tim Thomas nel 2011, arrivato all’appuntamento decisivo come il secondo portiere dei Bruins a mettere a segno una striscia playoff di 8+ vittorie consecutive, dietro solo a Gerry Cheevers (1970), con 10W di fila.

Boston ha dimostrato di sapersi adattare in maniera camaleontica ad ogni situazione, affrontando avversari più riposati (Columbus stessa), giocando a loro volta dopo una lunga pausa (nella sfida finale con St.Louis), sprecando i vantaggi e bypassando infortuni importanti (Grzelcyk e Chara) ma rimanendo sempre concentrati sul pezzo e lavorando un puck alla volta, sicuri che lo zoccolo duro del team – una prima linea devastante, gli esperti top d-men, delle checking line massicce e veloci e un PP infallibile – avrebbe rimesso le cose a posto.

Oltre al goalie vanno nominati tutti i giocatori di un favoloso roster continuamente affamato e sulla breccia. Il big three d’attacco ha regnato in largo e in lungo, Chara, McAvoy, Grzelcyk e lo strepitoso e decisivo Krug non hanno mai mollato l’osso, Krejci, DeBrusk e Kuraly sono stati continui durante l’anno ma hanno fatto anch’essi la differenza ai playoff, al pari dei titolari, mentre al solito affidabili si sono rivelati Acciari, Backes, Nordstrom ed il giovane Heinen. Un plauso a Sweeney e la proprietà per i colpi da mid season, nuove frecce da sfilare al proprio arco, come Coyle e Johansson!

L’amarezza di Chicago nel 2013 non è più sola ma il bilancio a Boston deve essere super positivo per ripartire più forte di prima: i Bruins vanno solo che applauditi.

 

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