Mentre Bruins e Blues se le danno di santa ragione per stabilire chi trionferà e sarà campione di Stanley Cup 2018/19, troviamo squadre già proiettate verso il prossimo campionato, in particolare quelle che hanno rappresentato cocenti delusioni rispetto alle preview di inizio anno. Chi più di Los Angeles può rispecchiare questa descrizione?

La cosa buffa è che il torneo precedente a questo si era concluso con una criticatissima dipartita contro i Knights al primo turno playoff, acciuffato con una delle due wild card. Ciò che si era rimproverato ai Kings era uno stile di gioco offensivo asfittico e poco fluido, non sufficiente dunque ad accompagnare le sempre solide prestazioni difensive.

Nulla rispetto a quello che abbiamo visto in stagione corrente, dove ogni tipo di primato negativo è stato raggiunto! Le sole 3 reti all’attivo in quello sweep primaverile sembravano un campanello d’allarme su quale sarebbe potuto poi essere, fra gli altri, un problema serio e difficile da risolvere.

Forse i gioiosi ricordi del 2012 e 2014 non hanno permesso alla dirigenza di affrontare in maniera sobria la nuova esperienza, sicuri che per ripartire da dove ci si era fermati (la qualificazione in postseason) e per tornare ai massimi livelli sarebbero bastate poche mosse.

Riformare la mitica “70s Line” Pearson-Toffoli-Carter dei vecchi fasti (dai numeri di maglia 70, 73 e 77) è sembrata più una trovata vintage che una soluzione ai dilemmi, anche alla luce dei gravi problemi fisici che hanno martoriato in passato il vecchio Jeff, che a 34 anni non è mai riuscito a stare sul pezzo e al passo dei più giovani e veloci avversari.

Per lo stesso motivo (anagrafico) riteniamo controproducente si sia rivelato l’acquisto a quasi 19 milioni di Kovalchuk, ex stella NHL prima e KHL poi, pure qui per formare un tridente revival con Kopitar e capitan Dustin Brown, il primo sempre costante ma invischiato nel calo generale in attacco con numeri inferiori al passato e il secondo fisicamente acciaccato e fuori palla, al pari dell’icona ormai 33enne Quick, mai ai vertici del tempo che fu e sovente ai box. Alla luce delle ulteriori quattro stagioni rimaste nel suo contratto, si è inoltre dimostrata dannosa la cessione di Kuemper, esploso in Arizona.

Si è puntato, rimanendo in tema veterani, ancora su Clifford e Lewis – pure se a regime ridotto – mentre tra i giovani, Amadio ha disputato solo 44 incontri prima di andare in Minor e Vilardi, undicesimo al Draft, non ha avuto occasioni. Le uniche note positive da cui ripartire possiamo rimarcarle in Iafallo e Kempe (anche se quest’ultimo al ribasso).

Anche a protezione dello slot, oltre al mitico goalie e Doughty, rinnovato a 88 milioni per 8 anni, si erano originariamente lasciate invariate le vecchie certezze coi “soliti” Martinez, Muzzin e Phaneuf a fare da scudo alle semi rivelazioni Forbort e LaDue: altro esperimento fallito! La retroguardia soffocante di un tempo è oggi fuori moda, vista l’evoluzione del gioco basato su abilità, velocità e checking line giovani e atletiche, che hanno più volte travolto Drew e compagni, a causa di uno spread fisico pazzesco.

Ad inizio Novembre, dopo un record di 5-17, coach John Stevens è stato il primo a pagare il deludente start, venendo sollevato dall’incarico per far posto a Willie Desjardins, quando ancora si nutrivano speranze per ribaltare un’annata già compromessa, come testimoniato poi dallo scambio coi Penguins per arrivare a Carl Hagelin, sacrificando Tanner Pearson.

Una leggera ripresa racchiusa in un bellissimo momento, il gol in OT a San Josè del vecchio Ilya con commovente abbraccio dei compagni sul ghiaccio, non è bastata per evitare lo sprofondo verso gli abissi della Western Conference, le ultime posizioni nelle statistiche offensive, la mediocrità in quelle difensive e l’assenza in postseason per la terza volta negli ultimi cinque anni.

Il nuovo allenatore non verrà comunque confermato e Rob Blake ha virato sull’ex Oilers Todd McLellan, che passerà una infuocata off-season insieme al gm cercando di raddrizzare la baracca.

Già con Muzzin e proprio l’ex new entry Hagelin, ceduti in midseason ai Leafs e Capitals per una prima scelta, un paio di prospetti (l’ottimo Grundstrom) e una third round selection, si è iniziato un processo di rebuilding obbligatorio, che ha pure coinvolto sia in entrata che in uscita Leipsic, Thompson e Fantenberg.

La fortuna si è messa anche di traverso con la quinta overall pick pescata nella draft lottery (sono 10 le totali sulle quali lavorare), ma gli scout di L.A. avranno lo stesso materiale sufficiente su cui imbastire dei progetti, partendo da Kempe come certezza per il futuro al quale affiancare elementi dalle Major Junior o dall’American, come Rasmus Kupari, Akil Thomas, Jaret Anderson-Dolan e Sheldon Rempal.

Se Jack Hughes, Kaapo Kakko, Kirby Dach e Alex Turcotte vengono ovviamente associati alle quattro che precederanno i Kings il 21 Giugno (Devils, Rangers, Blackhawks e Avalanche via Senators) si presuppone che la prima scelta qui a Los Angeles possa ricadere su Dylan Cozens – formidabile centro alla Jonathan Toews dei Lethbridge Hurricanes – o Bowen Byram, d-man dei Vancouver Giants, abile nel “moving-puck” e ottima alternativa a Doughty. Oltre a loro di spessore potrebbero rivelarsi Caufield e Krebs!

L’obbligo è ricostruire e qualunque sia il resoconto del Draft non si potrà parlare di Big Decision, dato che il lavoro da fare qui in California non si limiterà a questo! Non ci sarebbe nemmeno da sorprendersi se qualche cessione dolorosa verrà messa in atto; la stagione appena conclusa ha dimostrato per l’appunto che nello sport, in NHL più di tutti, non si campa solo di rendita e di nomina!

Sarà una lunga estate calda per i Los Angeles Kings!

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