L’addio estivo ad Erik Karlsson, oltre a provocare uno scossone a livello mediatico rivoluzionando i pronostici di entrambe le conference, ha lasciato in quel di Ottawa molti interrogativi sul perché di questa scelta e soprattutto sulle modalità con le quali è avvenuta.

Privarsi se non del più forte difensore al mondo sicuramente del più spettacolare ha lasciato con l’amaro in bocca i moltissimi tifosi nel mondo della squadra dell’Ontario, famosa nella sua storia per una dipartita precoce dall’hockey di elite (anni 30) e per un bellissimo “bring back” ad inizio 90.

Da qui in poi gli orgogliosi Senators di tutto il Canada hanno vissuto ogni tipo di emozione, dalla depressione a gioia ed esaltazione, dovute alle numerose apparizioni ai playoff e a cocenti delusioni come la sconfitta nel last trip del 2007 contro la feroce difesa di Anaheim.

Soprattutto società e dirigenza si sono dimostrate abili – sin dalla rinascita della franchigia nel 1992 – a chiudere e riaprire dei cicli riuscendo quasi sempre ad indovinare le mosse per galleggiare dignitosamente in NHL: dall’era di Jacques Martin a quella di Bryan Murray, dalla Cash Line Alfredsson-Spezza-Heatley fino all’epoca del ventottenne svedese ora in forza agli Sharks.

Il declino successivo al post Stanley Cup Finals convinse la proprietà alla ricostruzione che ha portato negli ultimi anni a sfiorare un altro viaggio verso il paradiso, interrotto solo dai Penguins nella finale di conference due anni or sono.

Il settimo posto nella Atlantic Division dello scorso anno con soli 67 punti ha persuaso di nuovo l’owner Eugene Melnyk, in accordo con l’head coach Guy Boucher e il GM Pierre Dorion ad effettuare l’ennesima e stavolta “ortodossa” re building!!

Il due volte vincitore del Norris Trophy (2012 e 2015) è andato via in cambio degli attaccanti Chris Tierney, Rudolfs Balcers e dei diritti per Joshua Norris. Il primo, dopo un ottimo start con un ottobre caldo (11 pts) in top line con Duchene e Boedker, è piano piano sceso di prestazioni chiudendo i successivi due mesi con lo stesso score ed un pessimo shooting percentage; il secondo non si è mai visto.

Oltre a loro nella “mega trade” è arrivato il difensore di destra Dylan DeMelo, anch’egli in calo ultimamente, forse perché al suo fianco l’esplosione di Chabot lo spinge ad una maggiore copertura rispetto agli inserimenti.

Quello su cui si punterà è la prima scelta del first round nell’Entry Draft, spendibile l’anno prossimo oppure nel 2020 e di una seconda all’Entry Draft 2019 e 2 scelte condizionate.

La vera sensazione oggi è proprio Thomas Chabot, ventunenne funambolico assist man e realizzatore che dopo il “grande addio” ha continuato la favolosa progressione iniziata con la stagione da rookie.

Selezionato al primo giro nel 2015 come 18° assoluto, dopo aver passato un anno ai Saint John Sea Dogs, si è guadagnato nel 2017 lo spot nel lineup realizzando inoltre 25 punti in 63 partite. E’ incredibile quel che sta avvenendo ora grazie ad una serie di performance che lo vedono ai vertici tra i difensori, al pari di Morgan Rielly, con la bellezza di 10 gol, 27 assist e 11 punti nella power play unit rimanendo ben 24 minuti e mezzo sul ghiaccio: un’assicurazione sul futuro.

Quel che traspare è la personalità e il temperamento che dimostra durante gli incontri, come se le responsabilità aumentate a seguito della partenza dell’ex captain lo avessero forgiato nel carattere facendolo rispondere nel migliore dei modi.

A lui aggiungiamo immediatamente Brady Tkachuk, rookie ala sinistra nonché figlio d’arte e fratello del Flame Matthew, anch’egli fenomenale left wing al terzo anno. Chiamato come quarta scelta ha saltato un mese di regular season per infortunio ma viene spesso utilizzato da coach Boucher in seconda linea con White e Stone e nella first power play unit: vicinissimo ai 20 punti in meno di 30 match, si parla di lui nella rush per il rookie of the year.

I giovani di talento per tentare una “resurrezione” e pensare al futuro ci sono: oltre a Tkachuk e Chabot parliamo di Christian Wolanin, difensore ventitreenne e del centro mancino Logan Brown (mandati in AHL); Colin White, anch’egli centro ventunenne che come detto si accoppia spesso con Brady, è oggi il quinto marcatore in squadra con anche 5 gol nella seconda power play unit.

L’esperto Boedker, ennesimo ex Sharks in squadra del dopo EK, viene come nelle previsioni iniziali inserito in prima linea accanto a Duchene e Tierney, completandola discretamente. L’ex Avalanche, alla undicesima partecipazione al campionato, mantiene intatta la sua classe e le sue medie mentre Mark, da sempre Senators, sta giocando la sua miglior stagione di tutta la carriera.

L’amletico dubbio sul ruolo di goaltender era relativo a Craig Anderson ed al suo vice Mike Condon, coinvolti nel fallimentare 2017. Il primo, veterano trentasettenne, ha conservato lo spot principale mentre come secondo da Dallas si è imposto Mike McKenna.

Il ventenne Filip Gustavsson, proveniente dai Penguins in seguito allo scambio per Derick Brassard e nominato miglior portiere dei Mondiali Juniores 2018 e medaglia d’argento svedese, è stato mandato ai Belleville in AHL a farsi le ossa.

Perdere l’uomo franchigia ha rappresentato uno shock per tutto il gruppo. Un addio già nell’aria da quando Karlsson, che a breve sarebbe diventato unrestricted free agent, aveva rifiutato l’offerta di rinnovo, mettendo altri top player come Matt Duchene e Mark Stone (segnato per una sola stagione a 7,35 mln), in stand by.

La ragione della mancata firma potrebbe stare nei problemi creati – secondo i quotidiani locali – da alterchi tra i leader di spogliatoio dovuti addirittura a interferenze delle proprie mogli.  Se sia vero o no non lo sappiamo e non ci interessa ma i risultati penosi del 2017/18 si potrebbero giustificare con un clima infuocato nella locker room.

Se così fosse, quella che poteva apparire come una pazzia di mercato potrebbe risultare in futuro, con la crescita dei giovani ed azzeccate future scelte guadagnate in trade, l’ennesima scommessa azzeccata dalla società.

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