“I got those St. Louis blues”, cantava Chuck Berry nell’ormai lontano 1965. A dire la verità, la canzone, St. Louis Blues, era stata scritta da un certo W.C. Handy, qualche decennio prima ed era stata ripresa da diversi artisti prima che il nativo della città del Missouri la rese nuovamente popolare, ispirando, inconsciamente, quelli che diventeranno i primi proprietari, appunto, dei St. Louis Blues.

Nati nel 1967, la storia racconta che fu la famiglia Wirtz, detentrice dei Chicago Blackhawks, a spingere l’allora commissioner della NHL, Clarence Campbell, a creare una franchigia sotto il celebre Gateway Arch.

La lega, all’epoca, possedeva soltanto sei squadre, le cosiddette Original Six, ma l’intenzione di espandersi era assai chiara da tempo e i The Wirtzes – che sembrano più il nome di una fortunata sitcom anni ’80 – colsero la palla al balzo per dare vita ad una nuova rivalità territoriale, data la distanza di “sole” 300 miglia tra le due città. Così, la loro proposta fu accolta e ci si mise immediatamente alla ricerca di qualche volenteroso milionario che facesse partire il progetto.

Si presentò alla porta una cordata di sedici persone, capitanata dall’assicuratore Sid Salomon Jr. e  dal figlio Sid Salomon III (alla faccia della fantasia) che si presero la responsabilità di tale investimento, pur non sapendo quale sarebbe stata la reazione del pubblico di St. Louis, già devoto ai Cardinals del baseball e agli Hawks del basket. Ma bastarono appena poche partite per far entrare i Blues nel cuore dei tifosi.

Allenati da Scotty Bowman, si guadagnarono immediatamente l’accesso ai playoff in cui, cavalcando l’onda dell’entusiasmo, arrivarono alle Stanley Cup Finals. Un evento che “sconvolse” la gente del luogo, la quale abbandonò letteralmente i decrepiti Hawks, costretti ad immigrare verso Atlanta.

Nonostante lo sweep subìto contro i Montreal Canadiens, l’entusiasmo della città era tale da far partire una sorta di Bluesmania che trascinò la squadra altre due volte alla serie finale, senza vincere nessuna di esse.

Successivamente, trascorsero lunghi anni di inevitabile medioevo, in cui passarono anche grandi giocatori – vedi Wayne Gretzky – non riuscendo, però, a ripetere i fasti di quelle tre meravigliose stagioni. Ma dopo decenni di mediocrità, i Blues sembrano essere tornati a suonare – e a suonarle – in maniera decisa, come dimostrano i 103 punti conquistati finora che li posiziona al primo posto ad Ovest, davanti a quei Blackhawks che furono in parte responsabili della loro nascita e di cui ora sono costretti a subirne le conseguenze in una Central Division che li ha visti assoluti protagonisti negli ultimi anni.

Quegli stessi Blackhawks che l’altra notte hanno dato una bella ripassata agli uomini di Ken Hitchcock (no, non è parente del famoso regista), tanto per ricordare loro che come hanno contribuito alla creazione della franchigia, possono tranquillamente distruggerla.

Un piccolo problema tecnico, come quello accusato da Fox Sports durante la gara di sabato contro i Flyers che ci ha fatto perdere la rete del 2-1 con cui Brayden Schenn ha deciso l’incontro in favore di Philly, consacrando la seconda sconfitta di fila dei Blues.

Una leggera flessione che in uno sport come l’hockey ci può stare, considerando anche il fatto che St. Louis ha dovuto affrontare due squadre che devono ancora guadagnarsi una posizione ben precisa all’interno della griglia dei playoff.

Due sconfitte che sicuramente non cancellano quanto di buono fatto sin qui – specialmente dopo la pausa per le Olimpiadi – da quella che era una squadra destinata a fare l’ennesima comparsata in una stagione che non li avrebbe mai visti come protagonisti.

E invece, guidati da Alex Steen e T.J. Oshie (sì, quello degli shootout contro la Russia a Sochi), i Blues sono riusciti a raccogliere risultati inaspettati, scalando la classifica della Western Conference a piccoli passi, ma comunque significativi.

Talmente significativi che la dirigenza ha deciso di rinforzare ulteriormente il roster con gli acquisti, prima della deadline, del goalie ex Sabres Ryan Miller e del suo compagno Steve Ott, discreto centrale che qualche punticino lo regala. Mossa che ha visto il sacrificio dello slovacco Jaroslav Halak, passato direttamente ai Washington Capitals, dopo quasi quattro anni di militanza in Missouri.

Con l’arrivo di Miller, i Blues si sono assicurati un istituzione tra i pali e gli effetti si sono subito potuti registrare con sette vittorie nelle prime dieci partite, subendo una media gol di 1.50 anche grazie all’ottima linea difensiva capeggiata da due guardiani come Jay Bouwmeester e Alex Pietrangeli, senza dimenticare Kevin Shattenkirk e Roman Polak.

Una difesa che è caratterizzata da un gioco aggressivo il quale, molto spesso, valica il limite della legalità, come dimostra il fatto che St. Louis si trova al terzo posto per minuti di penalità. Una difesa che è riuscita ad annullare l’ottimo attacco di Pittsburgh nel match di domenica, vinto 1-0 dagli uomini in bianco-blu.

Ma non è solo la retroguardia a funzionare. I Blues dispongono di un arsenale offensivo talmente vasto da essere riusciti a mandare in rete quasi tutti i giocatori avuti a disposizione in questa stagione, mentre solo il neo arrivato Miller non ha servito ancora alcun assist.

Un gioco basato sul collettivo che sta dando i suoi frutti e che li potrebbe portare alla vittoria del President’s Trophy, e chissà, magari anche ad un ritorno all’appuntamento più importante dell’anno, quello che mette in palio la Stanley Cup, questa volta, possibilmente, riuscendo a sollevarla, magari tra le mura dello Scottrade Center.

 

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