Abbiamo passato il traguardo dei meno 100 giorni alle Olimpiadi invernali di Sochi, evento che per l’hockey su ghiaccio è una festa, con vari dream team che sono pronti a rincorrere la medaglia d’oro come coronamento per carriere eccezionali.

Playitusa rincorre l’evento come un ciclista una maglia iridata, un calciatore un gol e Homer Simpson una ciambella, raccontando da qui all’ingaggio iniziale storie e protagonisti di un evento unico al mondo.

L’hockey diventa mondiale, anzi, olimpionico, nel lontano 1920, quando si decide di disputare un torneo dimostrativo all’interno dei giochi estivi di Anversa con una settimana interamente a sport invernali tra i quali anche il pattinaggio.

800px-Antwerp_Arena_1920Gli inizi

Dunque è in quel del Palais De Glace di Anversa che nasce tutto, con 7 nazioni partecipanti (Belgio, Canada, Cecoslovacchia, Francia, Stati Uniti, Svezia e Svizzera) ed esclusione di Austria e Germania per la sconfitta nella prima guerra mondiale.

È la prima volta che l’Europa comprende cosa sia realmente l’hockey, Canada e Usa regalano lezioni gratuite al primo turno quando schiantano Cecoslovacchia e Svizzera rispettivamente per 15-0 e 29-0 prima di incontrarsi in semifinale con il 2 a 0 che i canadesi impongono agli americani.

La finale tra Canada e Svezia è ovviamente una formalità con il 12-1 che consegna la prima medaglia d’oro ai canadesi mentre per la Svezia, retrocessa prima al girone per l’argento poi in quello per il bronzo arriva solo un quarto posto alle spalle di Stati Uniti e Cecoslovacchia.

L’esperimento hockey ha comunque dato esito positivo ma trattandosi di sport invernale si decide di accorparlo alle relative Olimpiadi e non ai giochi estivi.

Benson, Byron, Fredrickson, Fridfinnson, Goodman, Halderson, Johansson e Woodman sono i pionieri di Crosby e compagni nel primo trionfo.

Le dinastie nelle Olimpiadi invernali sono tre, si va dalla prima canadese dal 1920 al 1956 al blocco Urss che domina le nove edizioni successive dal 1956 al 1988 dove il peggior risultato è il bronzo di Squat Walley 1960, sino all’approdo del pianeta Nhl sui 5 cerchi che da Nagano 1998 regala i trionfi a Repubblica Ceca (che sostituisce la Cecoslovacchia nel girone delle prescelte mentre la Slovacchia dovrà partire sempre dai preliminari), Canada e Svezia.

Gli Stati Uniti raccolgono solo 2 successi nelle Olimpiadi che ospitano, prima nel 1960 a Squat Walley dove superano il Canada poi nel 1980 a Lake Placid dove l’hockey scrive una delle pagine più leggendarie della sua storia.

Nonostante sia la nazione più titolata per il Canada l’attesa di una nuova dinastia è durata ben 50 anni, da Oslo 1952 a Salt Lake City 2002 quando una spettacolare squadra stellare ha avuto la meglio sugli Usa.

Originariamente e fino al 1998 la Nhl ha vietato ai suoi giocatori di partecipare alle Olimpiadi poiché il torneo si sovrapponeva alla regular season, c’è voluto l’effetto Dream Team di basket, quello vero e unico del 1992, a far cambiare idea ai vertici hockeistici vedendo uno spettacolo di stelle in un’unica squadra che rispondendo ai nomi dei vari Jordan, Bird, Magic Johnson, Barkley e chi più ne ha più ne metta fa intuire alla Nhl che schierando i professionisti tutto il movimento se ne gioverebbe.

Cosi ogni qualvolta ci sia l’Olimpiade invernale la Nhl si ferma per una ventina di giorni, con le squadre Nord Americane che schierano team stellari contro squadre europee infarcite di campioni che hanno messo radici nella National Hockey League.

Prima del 1989, con la caduta del potere sovietico, l’Olimpiade invernale era teatro di sfide tra culture diverse, con i campioni impressionanti dell’Urss, uno su tutti il portiere Vladislav Tretiak e compagini dilettantistiche Nord Americane che nulla potevano contro il potere dei russi.

Simbolo però della sorpresa, o del miracolo se vogliamo, è la già citata medaglia d’oro degli Usa a Lake Placid, storia che si può ammirare nel film “Miracle on Ice” uscito nel 2004 con Kurt Russell nei panni del coach Herb Brooks.

Do you believe in miracles?Yes! (Al Michels, telecronista di Usa-Urss)

La squadra statunitense è come regola composta da dilettanti e giocatori universitari guidata saggiamente da coach Brooks al quale gli si chiede di far bella figura senza i favori del pronostico.

Scelti i giocatori la prova d’esame è un amichevole contro l’Urss dove l’inesperienza la fa da padrone (l’unico che ha un contratto Nhl è Neal Broten) e il blocco sovietico non essendoci professionismo sportivo nella terra natia, compone la squadra di cosiddetti dilettanti anche se tutti giocavano nella massima serie sovietica.

Guidati dal centro Boris Mikhailov e dal difensore Viacheslav Fetisov l’amichevole (che poi di amichevole non si tratta visto il clima ostile della Guerra Fredda) finisce 10-3 e fa partire l’avventura olimpica americana tra lo scetticismo generale.

Da quella sconfitta qualcosa cambia nella testa e nel cuore a stelle e strisce, gli allenamenti massacranti di coach Brooks producono un’unione che sia sul ghiaccio che fuori fa grande il gruppo, a sorpresa vincono con la Cecoslovacchia per 7 a 3 e chiudono imbattuti il girone eliminatorio.

Dall’altra parte l’Urss fa polpette degli avversari, Giappone battuto 16-0, Paesi Bassi 17-4 e Polonia 8-1 e una volta qualificati il coach Viktor Tikhonov lascia a riposo molti giocatori impegnati con lo studio.

Cosi si arriva al girone delle medaglie, l’anteprima di Usa-Urss è ben spiegata dal giornalista del New York Times Dave Anderson che spiega cinicamente la storia “a meno che il ghiaccio non si sciolga o avvenga un miracolo come nel 1960 ci si attende la sesta medaglia d’oro dei sovietici nelle ultime sette edizioni”.

Il pubblico di casa somiglia tantissimo all’accoglienza di Rocky Balboa quando affronta Ivan Drago e nel clima di regolamento dei conti cantano canzoni patriottiche che danno coraggio alla squadra americana.

I sovietici, da sempre privi di emozioni, non fanno una piega e segnano subito con Krutov che supera Jim Craig e quando si aspettano di far soccombere i locali ecco il pareggio di Buzz Schneider nella bolgia di Lake Placid.

Niente da fare però nel nuovo vantaggio dell’Urss grazie a Makarov cosi Brooks spinge i suoi a maggior intensità con Craig che salva l’impossibile ed esulta quando il tiro di Christian non viene trattenuto da Tretiak col puck infilato in gol da Mark Johnson.

Sul 2 a 2 forse per masochismo o per un’arrogante supremazia il coach sovietico toglie Tretiak quasi a dimostrare di poter vincere senza la stella, il giochetto pare funzionare col 3 a 2 di Malcev in power play ma ancora una volta Johnson sigla il 3 a 3.

Mancano dieci minuti e a sorpresa l’Urss non riesce ad essere superiore, attacca con tutta la potenza che dispone ma incredibilmente lascia libero il capitano statunitense, Mike Eruzione, il suo tiro è guidato dall’orgoglio di un’intera nazione, il disco si rivede alle spalle di Myshkin, è il 4 a 3, è il momento che la storia sta scrivendo tra i capitoli dei miracoli.

Il conto alla rovescia è snervante, contro Craig di tutto e di più ma porta inviolata, cosi il countdown laciato dal telecronista parte dai meno 11 secondi fino agli attimi finali dove grida la gloriosa frase “Credete nei miracoli?Si!!!

Tale partite, ancora nella memoria dello sport a stelle e strisce ha una particolarità, è si la rivincita tra Davide e Golia ma molti non sanno che la medaglia d’oro non arriva in quell’occasione.

Infatti l’oro è assegnato in base alla classifica generale, gli Urss sono ancora in corsa in caso di sconfitta statunitense ma sull’onda dell’entusiasmo e con i continui massacranti di Brooks la partita Usa-Finlandia si chiude 4 a 2 nonostante l’ennesimo svantaggio sono Verchota, McClanahan e Johnson a sigillare il sogno e farlo diventare realtà.

La gara contro l’Urss ha fatto rendere ancor più popolare il coro “Usa, Usa”, il giornalista Michaels addirittura nominato “telecronista dell’anno” e la squadra il premio “Sportivo dell’Anno” da Sports Illustrated.

A sorpresa il successo di questi giocatori, pur sempre dilettanti, non si ripete in Nhl dove solo Johnson, Pavelich, Broten, Christian e Craig approdano con modesto successo, con l’unico Ken Morrow a vincere la Stanley Cup con gli Islanders e addirittura il capitano-eroe Mike Eruzione che si ritira a 25 anni non sentendo niente di più importante di quella vittoria olimpica.

One thought on “Road to Sochi: l’inizio e il Miracolo

  1. Bellissimo articolo…consiglio anche agli appassionati (e non) il film Miracle che rivive la storia (con un pizzico di magia Disney) di Lake Placid 1980

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