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Quando guardo il tabellone dei playoff mi vengono in mente i ProdigyAlways outnumbered, never outgunned è uno dei loro meno celebri album. Ed è facilmente descrivibile come il disco che venne dopo quell’album in cui si prendevano gioco degli stupri e del rohypnol. Che non è una buona idea, mi dicono. Ma l’espressione che da il titolo all’album descrive bene lo stato delle squadre canadesi che si apprestano ad affrontare i playoff della NHL. Always outnumbered perchè quando va bene si presentano in 4 contro altre 12 statunitensi trascinate in maniera più o meno subdola dal capo del carrozzone. Never outgunned perchè oltre all’atmosfera all’interno dei palazzetti canadesi, in alcuni casi il numero e l’entusiasmo delle persone che si trovano fuori per vedere la partita dal megaschermo è equivalente a quello che trovereste a Piazza San Pietro la domenica mattina per l’Angelus del Papa. Seriamente. Vedere la bolgia fuori dall’Air Centre di Toronto mi fa dimenticare che quelli siano i Leafs, e mi fa, non dico tifare, ma me li fa stare molto meno antipatici. O forse è perchè gli altri schierano Brad Marchand. Ma ora non c’entra. Non è per essere blasfemo, ma è semplicemente perchè l’hockey sta ai canadesi come la fede sta ai religiosi.

Levategli lo sciroppo d’acero, il castoro, il Breil, la pizza con ananas e prosciutto cotto (amano quella robaccia!), la Kokanee, la Keith’s o la Molson, ma non levategli l’hockey. E la birra con l’hockey. Sarebbero solo guai. In Canada, vedete, l’uscita, o la mancata qualificazione ai playoff della squadra di casa è l’equivalente della caduta del governo italiano. Succede ogni anno, e ogni anno il mantra post-shock è “se ne devono andare tutti!”. E ogni anno ci si sente dire “faremo questo, questo e quest’altro!” Senza mai spiegare esattamente come. E’ una ragione di vita che manda avanti un paese con un popolo non esattamente ambizioso. In Canada fare il barista non è un lavoro part-time mentre fai l’università. È una carriera, onestissima tra le altre cose. E’ un popolo che si accontenta, che programma il suo lavoro e le sue giornate in base ai suoi hobby. Sia questo fare lo snowboard sulle montagne di Banff, camminare sulla riva di Peggy’s Cove o fumare marijuana (in certe province è tollerato l’uso personale) allo Stanley Park. O ovviamente seguire l’hockey. E per questo vive in maniera onesta, civile e pacifica. Rappresentando la parte del mondo più accogliente in cui il sottoscritto sia mai stato.

Tranne quando c’è l’hockey di mezzo. L’hockey che si gioca da maggio a fine giugno fa ai canadesi lo stesso effetto che il cibo dopo la mezzanotte fa ai Gremlins. Immaginate degli hooligans intelligenti. O selvaggi analfabeti con le tettine adipose, se preferite. Invece di fare casino e menarsi quasi ogni domenica con altra gente perchè porta la maglia di un gruppo differente di atleti milionari, semplicemente da sfogo alla propria frustrazione sui social network, sui media, o nei casi peggiori bruciando parte di una città e distruggendo le vetrine dei negozi, come successo in passato a Montreal e più recentemente a Vancouver. Eh, ho detto hooligans intelligenti, mica persone intelligenti.

Quindi immaginate lo stato d’animo del paese in questo momento. Con solamente i Senators ancora in gioco, ad affrontare la squadra chiamata a gran voce come quella dei futuri campioni. Praticamente in festa ci sono solo i tifosi di Edmonton e Calgary, il cui mantra in questo momento è “almeno noi c’abbiamo ricavato una top 10 al draft”. Che culo!

Tornando a chi i playoff li ha giocati, nelle mie personali previsioni i Canadiens erano una sicurezza. Powerplay straordinaria, attacco stratosferico, un Price che nelle ultime due stagioni si è esaltato, e la mentalità giusta per presentarsi ai playoff. E in tutta onestà hanno seguito il copione, giocando a larghi tratti meglio degli avversari. Tranne la parte di Price e dell’attacco stratosferico, o della mentalità.  Price chiaramente non è stato supportato dalla sua difesa, e a quanto leggo in questi giorni nemmeno dal suo coaching staff. Che ha avuto la brillante idea di cambiare stile di gioco a uno dei portieri meno stabili mentalmente che la storia ricordi, dopo le due stagioni in cui si era finalmente imposto come elite nella NHL. Il tutto per ricalcare lo stile di Jonathan Quick nelle 20 partite in cui ha trascinato Los Angeles alla Stanley Cup. Io in statistica all’università ho preso 23 copiando pure nome e numero di matricola, ma ho carpito nozioni sufficienti da considerare 20 partite un campione troppo ristretto per essere considerato valido. In uno sport che sempre più si avvia verso l’uso di statistiche avanzate come fenwick, corsi, PDO, shorthanded SV% et al, questo è chiaramente male.  E ne hanno pagato giustamente le conseguenze, con un Price mediocre che non finisce nemmeno la serie, e subendo un numero impressionante di gol contro quello che durante la regular season è stato il quartultimo peggior attacco della lega. La ciliegina sulla torta è stata il terzo periodo della gara che ha sancito l’eliminazione. Il motto dei Canadiens sui biglietti dei playoff era “no excuses.” In quel terzo periodo mi sembrava più una canzone dei Beach Boys: T-shirts, cut-offs and a pair of thongs, we will have fun all summer long.

Per restare in argomento: fun fun fun till her daddy took her T-Bird away. Non mi soffermo più di tanto su Ottawa perchè l’ha fatto in maniera ottimale il buon Editor di HNC Kachlex qui.

Solo un nome: Paul MacLean, il padre che ha portato via ai Canadiens la Ford ThunderBird. Se li è portati a scuola uno per uno.

Paul MacLean ha vinto questa serie e questa battaglia con Michel Therrien in maniera talmente netta che da un momento all’altro, durante quel timeout a 1 minuto dalla fine di una gara che era sul 6-1, mi aspettavo che qualcuno saltasse dentro la panchina dei Senators per strappargli l’orecchio a morsi alla Mike Tyson.

Questo è quanto ci ha detto la serie. MacLean è un leader oltre che un ottimo coach, e ha cambiato l’andamento delle gare attirando tutta l’attenzione su di se, e ovviamente su player 61, trascinando la squadra da lui allenata a una vittoria netta dentro e fuori dal ghiaccio. Frustrando Montreal che è stata la squadra che ha creato di più e ha avuto più sfortuna, ma è stata surclassata da Ottawa che ha semplicemente giocato in maniera più intelligente, calma, rilassata e ha stravinto la serie.

Ora incontreranno i Penguins, una squadra che è sull’orlo di una crisi di nervi dopo aver vinto una serie che sulla carta era ‘na passeggiata di salute e si è trasformata partita dopo partita ne Le 12 fatiche di Asterix. Ed è stata risolta dalla pozione magica chiamata Vokoun. Sarà una serie difficilissima per i Senators perchè Pittsburgh rimane la squadra con più talento della lega, ma sarà interessante vedere come se la gioca MacLean. E poi c’è quella storia tra Matt Cooke, Achille e Erik Karlsson. E tipo gli attaccanti più forti della lega contro il difensore più forte della lega. Ci piace.

Giusto per non dimenticare, due cose divertenti sui Senators e la loro prossima serie:

I thought player 61, if I’m … was it Eller that got hit? I’m really mad at player 61, whoever he is. – Paul MacLean

With the 2003 first overall pick, the Pittsburgh Penguins select Marc-Andre Fleury of the Cape Breton Screaming Eagles – Qualcuno, al draft del 2003

La storia a Toronto è veramente semplice. E gli ultimi 90 secondi di gara 7 contro Boston, che ci tengo a descrivere come la miglior gara 7 dei Bruins di tutti i tempi per motivi che non hanno nulla a che vedere con le finali del 2011, sono la sintesi della vita da Leaf. Sei in paradiso, con le mani sulla vittoria. E 90 secondi dopo sei pari e continui a ripetere dentro di te che il destino è quel che è, e non c’è scampo più per te.

Prima della serie ho chiesto a un amico di Toronto se avesse apprezzato uno scenario simile (game winner di Marchand all’ultimo minuto del terzo periodo di gara 7) e mi ha detto si. Perchè prima della serie nessun tifoso di Toronto avrebbe creduto in una gara 7.

C’è il comandante della ISS che torna dallo spazio per gara 7. C’è una città intera che si ferma, esce prima da lavoro e silenziosa smette di respirare in attesa della partita. Poi si entra sul ghiaccio, il disco viene lanciato e  i Leafs sembrano i Bruins e i Bruins sembrano i Leafs, fino a che non ti senti lo stomaco in gola e vedi la tua milza per terra e realizzi che i Leafs sono e rimangono i Leafs. Perchè questo è lo sport. Il bene e il male dello sport. Ma un giorno, se sei fortunato, tutti i ricordi negativi si uniranno per far valere ancora di più un momento positivo.

So yeah. Go Sens.

 

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2 thoughts on “Misticanza di sciroppo d’acero sul primo round

  1. bha……. vedremo quando uscira’ Ottawa diremo che i Senator son sempre i Senator :-)

    • naaa. se perdono dopo essere andati sul 4-1 in gara 7 contro pittsburgh con rimonta nei 10 minuti finali e due gol subiti in 60 secondi diremo che i senator hanno fatto i leafs ;)

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