P4220130bSurreale è l’aggettivo che meglio può definire la metropoli del Michigan.

Spinto da curiosità e spirito avventuriero ho deciso di spendere un’intera giornata in quel di Detroit, nonostante le innumerevoli precauzioni di amici e media. Di sicuro, la città,che si trova a una manciata di km dal confine canadese, non ha mai avuto la fama di essere una meta turistica d’eccellenza.

Spesso e volentieri se ne parla esclusivamente per il suo alto tasso di criminalità, la crisi lacerante o per i successi di Red Wings e Tigers. Ed il motivo principale della mia gita di fatto era proprio vedere Zetterberg e company in azione contro i Coyotes alla storica Joe Louis Arena.

Tuttavia , l’ex capitale dell’automobile ha suscitato in me più interesse che timore,e fu così che decisi di addentrarmi nel cuore della città, dove regnano degrado e silenzio. Negozi bruciati, uffici con finestre spaccate , fabbriche abbandonate e squartate sono presenti in ogni angolo e in ogni via, anche in pieno centro.

P4220083L’atmosfera post-catastrofe che si respira all’interno della motor city la rende una vera e propria città fantasma. In 50 anni la popolazione si è dimezzata, e nonostante la recente ripresa della General Motors, la città sembra destinata ad una lenta ed inesorabile fine.

Dave Bing, il sindaco democratico ed ex leggenda dei Detroit Pistons sembra pronto a fare le valige, visto l’imminente arrivo di un commissario, il cui compito sarà di limitare i danni e di risanare un bilancio che ha raggiunto un deficit di 327 milioni di dollari.

Detroit è la città più “nera” al di fuori dell’Africa, con ben 82.7% di cittadini afroamericani. Alcuni di loro, positivamente sorpresi e incuriositi dalla presenza di un turista bianco , si sono fermati a chiacchierare con me e a darmi dritte e aneddoti sulla città in tutta serenità e simpatia. La comunità black mi ha trasmesso senza dubbio empatia ed energia positiva, nonostante gli innumerevoli disagi e problemi che è portata ad affrontare nella giungla urbana di D-Town.

L’ora del match si avvicina, e mettendomi in marcia per raggiungere lo stadio, mi godo la fine di una bella giornata di sole sul caratteristico e piacevole lungofiume. Anche qui, purtroppo sono presenti magazzini smantellati e decadenza, in netto contrasto con l’imponente e rinnovata sede della General Motors, che troneggia sulla skyline cittadina.

P4220125bLa celebre arena,che si affaccia sul Detroit River, mi e’ ormai a pochi passi. Dedicata alla leggenda della boxe Joe Louis, e’ una delle piu’ antiche e storiche di tutto il Nord America. “It’s old but it still works” dicono i Detroiters, ed e’ proprio cosi visto che l’affluenza allo stadio e’ sempre ottima e la visibilità eccellente in ogni posto a sedere.

L’ingresso all’impianto e’ caratterizzato da diversi tunnel e rampe, dove si comincia davvero a respirare un’atmosfera elettrica e a vedere rosso-bianco ovunque.

E’ una partita molto sentita, dato che i Red Wings rischiano, per la prima volta dopo il 1990, di mancare l’ingresso ai playoff. La squadra e’ invecchiata, ha perso lustro e pilastri come Lidstrom, Holmstrom e Rafalski.

Ciò nonostante il calore dei tifosi rimane sempre dello stesso alto livello, e gli attempati ma sempre determinanti Datsyuk e Zetterberg non ci stanno proprio a guardare da casa la post season.

I Coyotes invece, dopo l’ottima annata passata,sono alla ricerca disperata di punti per tentare l’ultimo assalto all’ottavo posto.

Ma il duo russo-svedese fa il bello e il cattivo tempo con la difesa di Phoenix, soprattutto in superiorita’ numerica, e archivia la pratica con un convincente 4-0.

P4220151bDetroit esulta, gioisce e spera che l’incredibile striscia di 21 partecipazioni di fila ai playoff (condita da non poche Stanley Cup) continui.

Il rituale delle partite dei Red Wings a Detroit è un fenomeno pieno di tradizione e passione, che parte dai tunnel d’ingresso e finisce nei bar ritrovo di Fort Street come lo storico Anchor Bar. Tuttavia presenta anche aspetti non trascurabili e poco felici.

Tutti i tifosi presenti erano esclusivamente bianchi, e gli unici afroamericani che ho potuto vedere sono un suonatore di sax e altri due elemosinanti che stanziavano poco al di fuori dello stadio. Inoltre è paradossale come la città e il centro si popolino durante la partita, per poi ritornare desolati subito al termine, con un esodo di macchine impazienti di lasciare Downtown Detroit.

Questo purtroppo conferma che l’hockey rimane pur sempre uno sport di nicchia e non abbordabile per le classi non abbienti. Una luna piena illumina le strade nuovamente deserte di Hockeytown, lasciando una scia di afflizione e nostalgia di un passato che l’aveva vista come città facoltosa e innovatrice,capace di produrre grandi automobili e talentuosi musicisti.

Oggi invece, i cittadini possono sorridere quasi e solo esclusivamente per le grandi gesta di Zetterberg e Datsyuk in casacca Redwings e per quelle di Verlander e Cabrera in casacca Tigers.

Resisti, cara Detroit.

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