IL MIRACOLO PITTSBURGH

Per T.J. Watt potrebbe essere un’annata da record a livello di sack.

Qualunque sia l’esito del presente torneo gli Steelers possono esserne decretati dei vincitori morali già da questo preciso istante. Abbiamo ricordato più volte l’assenza delle tre B che furono, Ben, Bell e Brown, relazionandola al potenziale disastro che la prospettiva del presente campionato poteva portare e che invece vede la squadra di Mike Tomlin in possesso di uno dei preziosi gettoni che forniscono l’accesso ai playoff con un solo mese rimasto da disputare. Ed il tutto assume connotati maggiormente incredibili se si pensa al volto dei protagonisti, che al training camp risultavano essere dietro persino alle riserve nell’ordine gerarchico stabilito dalla depth chart offensiva, che di certo non pensava di reperire linfa vitale da un gruppetto oggi composto da Devlin Hodges, Bennie Snell ed un cresciuto James Washington.

Tuttavia quando si fanno i conti è bene valutare ogni singolo aspetto della questione, ed ecco che il ruolo di peso portante dell’operazione non può non essere assegnato ad una difesa risorta dalle ceneri degli anni novanta – epoca che ha una decisa relazione con i giorni d’oggi se non altro per il raggiungimento di certi traguardi statistici – un notevole traguardo se considerata l’enorme fatica spesa da delle recenti edizioni difensive degli Steelers così puntualmente in difficoltà rispetto agli avversari. Oggi non si tratta più di compensare tali lacune con le 500 yard occasionali di Roethlisberger, soprattutto perché la potenza offensiva non è nemmeno paragonabile a quella di due stagioni fa, e la situazione si è letteralmente ribaltata facendo in modo che sia la ritrovata pass rush ad annullare i reparti offensivi avversari consentendo all’attacco di Pittsburgh di sopravvivere senza commettere errori fatali, una ricetta che sta evidentemente fornendo ottimi frutti.

Tanti dei meriti per la dimostrazione di carattere esibita domenica da una squadra sotto per 10-0 contro una rivale emotivamente complessa da gestire come Cleveland vanno difatti attribuiti ad un front seven che ha esposto Baker Mayfield a colpi e turnover, impedendogli di superare le 200 yard e limitandolo ad un passaggio da touchdown e all’intercetto che ha definitivamente chiuso i discorsi. Salgono agli onori della cronaca i nomi di T.J. Watt e Bud Dupree, straordinaria coppia di pass rusher in grado di totalizzare 21 sack in 12 partite, il totale più alto nella stessa misura temporale da qui a undici anni fa, un contributo enorme per un fatturato totale di 43 atterramenti del quarterback, numeri che da queste parti non si registravano dalla feroce difesa di Bill Cowher, quando vi evoluiva gente del calibro di Greg Lloyd e Kevin Greene, due autentici terrori per tutti i registi dell’epoca.

Watt si trova nella stagione della definitiva consacrazione, si è chiaramente trasformato in un giocatore più completo di ciò che era per i notevoli miglioramenti degli istinti da applicare contro le corse. La specialità di casa resta sempre e comunque il sack tanto che i coordinatori offensivi stanno programmando le protezioni prioritarie proprio contro di lui, un segno che quei 12,5 sack – a poche lunghezze dai 16 di James Harrison, record di franchigia in singolo campionato – hanno provocato l’estrazione del blocchetto degli appunti in più di qualche angolo dell’America del football. Dupree è stato altrettanto decisivo nell’arrivare a Mayfield con straordinaria puntualità atterrandolo in due distinte occasioni oltre che provocargli un fumble che ha contribuito al cambio d’inerzia della gara, sottolineando il potere decisivo che questa rinnovata difesa intimidatoria possiede nei confronti di chi si trova il poco piacevole compito di affrontarla.

Ne deriva che gli Steelers posseggono la gestione del loro destino e che per il momento possono continuare a sognare una stagione d’inattesa felicità. Sul loro cammino ci sono ancora quattro impegni, due dei quali molto significativi contro Bills e Ravens, anche se Baltimore, all’ultima giornata di campionato, potrebbe cedere alla tentazione di far riposare i titolari in vista dei playoff. Il primo passo è crederci e poi il resto si vedrà, ma comunque finisca questo campionato Mike Tomlin merita considerazione per il titolo di head coach dell’anno, poco ma sicuro.

IL TRACOLLO DI JACKSONVILLE

E se la soluzione al problema dei Jaguars non fosse nessuna di queste due opzioni?

Proprio nel momento in cui il panorama sembra essere più speranzoso per alcune tra le peggiori franchigie Nfl sta divenendo sin troppo chiara l’esigenza di imminente smantellamento di ciò che rimane oggi dei Jacksonville Jaguars. A testimonianza di come le cose cambino davvero in fretta in Nfl, fresco è ancora il ricordo di quel Championship Afc della quasi-vittoria contro i Patriots, che a giudicare invece dal 9-19 che i Jags hanno mantenuto da quel preciso istante ad oggi si trasforma invece in un durissimo promemoria di quanto in basso sia caduto il morale generale della franchigia dopo aver quasi toccato il cielo con un dito.

In quei playoff in campo c’era Blake Bortles, oggi riserva di Goff a Los Angeles, uno degli errori di valutazione commessi dall’attuale conformazione dirigenziale della squadra che vede Tom Coughlin a capo di ogni dettaglio gestionale, e l’aspetto grottesco della faccenda è che la ricerca della stabilità in regia a conti fatti non è certo finita qui. Nick Foles è 0-4 da starter con questa uniforme addosso e chissà se le cose sarebbero potute andare diversamente se l’ex-quarterback degli Eagles non si fosse infortunato dopo solo pochi lanci di questa nuova esperienza, ma la realtà racconta di una serie di prestazioni a dir poco opache dal momento del suo rientro in campo fino a giungere alla bocciatura nell’intervallo della sfida contro Tampa Bay, gara nella quale l’investimento da 50 milioni di dollari garantiti ha commesso tre turnover nei primi tre drive consecutivi e terminato anzitempo la sua prova con un eloquente 41.7 di rating.

Il problema è che la Minshew-mania non basta, non ci sono sicurezze che il sesto giro da Washington State possa costituire una risposta a lungo termine se non altro perché non sussiste un campione di esemplari sufficientemente esteso per poterlo determinare, oltre al fatto che non bisogna dimenticarsi troppo in fretta che il medesimo Minshew era moralmente uscito a pezzi dalla disfatta londinese contro i Texans, partita oggi vista come l’inizio di un tracollo che ha condotto a quattro esibizioni in fila non solo prive di vittorie, ma soprattutto piene di indizi di mancata competitività nei confronti di un qualsiasi avversario, un’impressione che colloca definitivamente Jacksonville nel novero di squadre che devono seriamente rimboccarsi le maniche per riuscire ad emergere da uno stato di crisi latente.

Per il settore quarterback sono ancora poche le risposte fornite, sarà necessario valutare su lunga distanza la reazione psicologica di Minshew nell’essere tornato al suo posto di riserva per poi essere richiamato al salvataggio della patria, con la facoltà di poter però contare sulla sua capacità di incendiare il pubblico di casa grazie alla sua oramai iconoclastica immagine. E’ necessario valutare il processo di crescita in rapporto a quanto sinora dimostrato,  partendo da una comunque interessante base dove il quarterback ha già provato di essere sufficientemente mobile per evadere dalla tasca e di risultare ben propenso all’improvvisazione trovando soluzioni immaginifiche in situazioni di forte pressione, ma alla fine si torna sempre allo stesso concetto e conta di più quante partite si vincono che non quanti fan si riescono a conquistare con una bandana e dei baffi da hippie.

Di conseguenza le valutazioni urgono, le esigenze in fase di draft cambiano – e qui ha tutto il senso del mondo l’aver mosso Ramsey – Foles passa dall’essere presente e futuro al poter potenzialmente rappresentare una pedina di scambio con un contratto assai scomodo – medesimo simbolismo rappresentato in passato da Bortles – e non ultimo c’è molta disciplina da aggiustare, sia per una difesa contro la quale chiunque può mettere in piedi un’ottima giornata su corsa ed una linea offensiva sin troppo penalizzata, che ha mortificato tanti possibili guadagni senza riuscire a proteggere adeguatamente chiunque si sia schierato con le mani sotto il sedere del centro.

MIAMI, ARRIVANO SEGNALI INCORAGGIANTI

I Dolphins sperano che DeVante Parker sia definitivamente esploso.

Se l’intenzione di coach Flores era quella di variare drasticamente la cultura dei Dolphins non si può dire che gli intenti non si stiano lentamente trasformando in un qualcosa di palpabile con mano. Qualche settimana fa spiccava la sua dichiarazione di guerra al tanking, la quale riportava che Miami era qui per giocarsela e non per vincere il palio della prima scelta assoluta, ed oggi i fatti gli stanno dando pienamente ragione. Difficile trovare un preciso punto di rottura favorevole all’interno di tutto il contesto, quello che tuttavia importa è che la mentalità di squadra sembra essere ferrea nel voler vincere il maggior numero di scontri possibile e nel credere di potersi misurare con tutti, fatto suggellato dalla più recente affermazione casalinga contro Philadelphia.

Ed ora la stessa squadra-materasso che era stata sotterrata di vergogna nelle prime due settimane di attività sommando un passivo di 102-10 ha vinto tre delle ultime cinque uscite piegando oltre agli Eagles anche Jets e Colts, e seppure persistano problematiche impellenti da risolvere proprio attraverso l’ambito draft – per il quale la franchigia disporrà di generose risorse – pare esistano i motivi per poter sperare in un futuro roseo. La più grande differenza tra l’inizio di stagione ed  il punto attuale cui sono giunti i ‘Fins è proprio rappresentato dall’utilità futura che hanno generato le varie trade che hanno coinvolto Tunsil, Stills e Fitzpatrick, tutti assai fruttuosi nel portare contropartite succose da destinare a chi uscirà a breve dal college, e che allo stesso tempo questo non è significato gettare del tutto via l’anno con l’ottica di vincere un numero di gare compreso tra lo zero e l’uno solo per portarsi via il miglior giocatore – o, per meglio dire, quarterback – a disposizione. Questo perché Miami sta dimostrando di poter e voler vincere, proprio come da richieste del loro capo-allenatore, così carico di fiducia da permettersi di allestire un trick play che ha lasciato di stucco non solo Philadelphia, ma la Nfl tutta.

Non guasta che qualche elemento in passato deludente si stia facendo largo con i muscoli per entrare a far parte dei Dolphins del futuro, attenuando la sensazione che la relativa posizione di scelta non sia stata del tutto sperperata per una causa persa. Il riferimento principale non può che essere per DeVante Parker, primo round 2015 con alle spalle una serie di problematiche esterne al campo sostanzialmente infinita, un ricevitore di ottime potenzialità abbinate ad una sommatoria di abitudini non edulcoranti in fase di preparazione alla gara, più volte richiamato per l’atteggiamento poco incline al professionismo. Parker sta sbocciando tardi ma l’importante è che ci riesca, che trascorra l’intera stagione in campo con continuità e che continui a produrre come sta facendo ora che sta vivendo un letterale risveglio a seguito di un novembre superlativo, composto da 102 yard di media a gara e tre touchdown.

Chi lo segue a ruota è Mike Gesicki, il tanto criticato tight end che i progressi li ha invece mostrati in campo mettendo in atto quanto imparato in allenamento, ovvero ampliare il portafoglio personale di tracce per meglio farsi trovare dal quarterback facendo evaporare quella sensazione di frustrazione generata da potenzialità sinora sopite. I numeri non saranno magari eclatanti ma la rigenerazione dell’attacco di Miami passa anche da lui, a segno da due giornate consecutive quando in precedenza nemmeno aveva mai provato la gioia della meta in carriera, dapprima perso nel disastro della gestione-Gase e quindi costretto a costruirsi daccapo per meglio figurare in ambienti Nfl, frutto anche di una solida intesa con un Ryan Fitzpatrick che da quando è tornato titolare ha decisamente alzato il volume della radio.

Magari staranno perdendo qualche posizione importante al draft, ma i Dolphins non hanno perso orgoglio e dignità. E lentamente stanno ritrovando anche l’autostima, con il poco pubblico rimasto a guardarli che torna ad incitarli come veri beniamini. E allora viene proprio da dire che la strada è quella corretta. Bravo Brian.

SEATTLE, I NUOVI MODI PER VINCERE

Rashaad Penny è una delle principali motivazioni dei recenti successi offensivi di Seattle.

Nel trascorrere delle settimane è certamente importante monitorare il bilancio delle singole squadre per poter proiettare con discreta decisione quali possano essere le ambizioni di ciascuna, ma dal nostro punto di vista è altrettanto determinante osservare il come si giunge ad ottenere la vittoria o la sconfitta, perché chi sa effettuare gli aggiustamenti in corsa eliminando determinati limiti si può allora permettere di proporsi in maniera differente in ottica di corsa al titolo.

L’identikit dei Seahawks pareva abbastanza delineato, Russell Wilson li ha trascinati più o meno ovunque nella prima parte della stagione con giocate di fantascientifica difficoltà che l’hanno proiettato nell’Olimpo dei possibili Mvp, la difesa faceva tutto sommato acqua concedendo in maniera troppo generosa, fornendo l’idea che chi avrebbe avuto la sagacia di trovare un solo modo per fermare il numero tre di Seattle avrebbe drasticamente aumentato le relative probabilità di affermazione. Seattle non è più la squadra di prima nel momento in cui stiamo scrivendo, in quanto sta vincendo applicando quasi alla perfezione la famosa formula di Pete Carroll secondo la quale si vince tenendo l’avversario fuori dal campo – quindi privilegio alle corse – e difendendo con aggressività e concretezza.

La prima parte del ragionamento non fa una piega, il backfield principalmente composto da Carson e Penny ha generato 167 yard di media nelle ultime cinque partite, tutte vinte consecutivamente, includendo la storica battaglia nel Monday Night contro San Francisco. La chiave, oltre alla certificata fisicità di Carson, è la ritrovata vena di un Penny che ha fatto fruttare il lavoro eseguito su un fisico che in precedenza non gli aveva totalmente permesso di esprimere tutta la sua agilità, fattore primario per la sua facoltà di creare il big play in qualsiasi momento della gara. Le differenti qualità fisico/atletiche del duo permettono a Carroll di aumentare il coefficiente di difficoltà a carico delle difese per il differente modo in cui le stesse vi si devono approcciare, motivo principale del grande successo ottenuto contro i Vikings con 176 yard sommate tra i due, un risultato ottenuto contro la sesta miglior difesa Nfl nel difendere le corse.

Sulla seconda parte c’è ancora parecchio da lavorare, ma se non altro fioccano i turnover a favore e per il momento questo basta per continuare a vincere anche contro le rivali di spessore. La tendenza difensiva ad elargire il big play è rimasta e probabilmente rimarrà anche sino a fine stagione per la chiara mancanza di giocatori di significativo impatto nelle secondarie – con la sola eccezione di Trey Flowers, in grande crescita – tuttavia è da sottolineare che Seattle ha recuperato dieci palloni nelle ultime tre gare infliggendo due fumble ed un intercetto ad un quarterback quest’anno impeccabile come Kirk Cousins, il che, nonostante si concedano quasi 370 yard a partita, rende ugualmente valido il concetto di concretezza ed aggressività difensiva.

Ed ecco che d’un tratto i Seahawks sono riusciti ad applicare una delle formule più tradizionali del football, una combinazione di sforzi che a loro, per come sono modellati a livello filosofico, veste particolarmente bene. Il bello è che non ci si limita certo a questo, perché in ogni caso la sommatoria delle qualità deve prevedere anche uno dei quarterback più forti di tutto il campionato ed una batteria di ricevitori che può fare danni senza necessariamente avere un contributo fisso da un singolo giocatore, di certo una delle caratteristiche più rilevanti per un attacco multi-dimensionale. Non serve difatti un Lockett sempre produttivo e tanto meglio se la squadra vince ugualmente quando le difese trovano un modo di marcarlo adeguatamente, perché le giocate elettrizzanti giungono in serie e portano i nomi di David Moore, Malik Turner e Jacob Hollister, senza dimenticare l’ottima stagione da rookie di D.K. Metcalf.

Includiamo nel calderone pure la coincidente sconfitta dei 49ers a Baltimore, evento assai fausto per la città dello smeraldo, che si ritrova ora a comandare la Nfc West grazie proprio allo scontro diretto dello scorso 11 novembre, il quale, se mantenuto, vale una settimana di riposo in più una volta iniziati i playoff, il che mette la squadra di Carroll di mettere costantemente timore a chiunque debba affrontarla, gennaio compreso.

DALLAS, SEMBRA NON ESISTERE RIMEDIO

Dak Prescott sta giocando come meglio non potrebbe, ma le potenzialità inespresse dai Cowboys sono semplicemente troppo grandi.

Lo sappiamo, dei Cowboys avevamo già scritto da poco e temiamo di poter essere ridondanti, tuttavia l’argomento è di quelli che stanno seriamente tenendo banco negli Stati Uniti e pertanto non possiamo esimerci dal ritornarvi sopra. Dopo anni di frustranti risultati siamo tornati esattamente al punto di sempre, a Dallas non si vuol saperne di quagliare qualcosa di davvero grande e tutte le indicazioni sembrano inevitabilmente condurre verso la gestione tecnica della faccenda, facendo rodere all’interno dello stomaco di Jerry Jones tutti gli atroci dubbi sulla bontà della personale scelta di continuare a dare fiducia a Jason Garrett.

La squadra si sta mantenendo a galla per puro miracolo, si continua a fare la voce grossa con gli avversari indegni ed è mostruosa la puntualità con cui si perdono le partite più importanti che il calendario propone, nulla di così drasticamente differente dalle aspettative già mortificate nell’ultimo decennio. Il record di 6-6 è appena sufficiente per tenere momentaneamente la testa della mediocre Nfc East – una mediocrità comoda a Dallas perché le permette appunto di restare in cima senza particolare sforzo – e si deve ringraziare l’attitudine di Philadelphia al darsi la zappa sui piedi. La parte più dolorosa di tutto il discorso è tuttavia il fatto che i Cowboys nemmeno sono una squadra penalizzata da chissà quali lacune trattandosi di un team pieno di talento offensivo e costruito su una difesa tutto sommato solida, una marea di potenzialità che la compagine, per un motivo o per l’altro, ha deciso di non sfruttare.

Ed ancora una volta salta all’occhio uno dei trend più negativi di stagione, l’incapacità di concretizzare in punti una massa di yard per la quale non si è secondo a nessuno nella Nfl, frutto dell’ideale sposalizio tra le valide idee tattiche di Kellen Moore e la crescita esponenziale di un Prescott che sta vivendo la miglior stagione professionistica, considerazioni che vanno a sommarsi all’enorme peso dato da questa tangibile sensazione di mancato appagamento. I Cowboys muovono il pallone a volontà, sfruttano molto bene tutte le loro armi, ottengono primi down come se piovesse ma c’è sempre qualcosa che manca in fase esecutiva, sia questo un pallone perso, un field goal mancato, o la mancanza di coraggio nel tentare un quarto down alla mano giocando in maniera troppo conservativa, altro discorso che abbiamo affrontato non molto tempo fa.

Se un aiuto potrebbe giungere da una difesa oggi ottava sia per yard che per punti concessi ma assai carente nel provocare quei turnover che tanto aiuterebbero a sforbiciare la media dei punti di partenza dei drive offensivi – materia nella quale Dallas è ultima di lega – è fin troppo chiara la tendenza dei Cowboys nel perdere la battaglia degli ovali persi per strada, a questo punto individuabile quale chiave di lettura principale per un reparto offensivo che nel giorno del ringraziamento ha ammassato 426 yard per soli 15 punti, perdendo la sesta delle ultime nove gare disputate.

Poi magari accadrà che i Cowboys giocheranno un mese di dicembre di alto livello, ancora non ci è possibile saperlo, e nel caso succedesse arriverebbero comunque a disputarsi una Wild Card in casa a discapito di un bilancio quasi certamente inferiore rispetto ai seed più bassi, una delle controversie che la Nfl prima o poi dovrà pensare di risolvere. Al di là della possibile vittoria della division la questione latente è un’altra, ovvero che la franchigia non detiene più nessuna credibilità verso una possibile partecipazione al Super Bowl ed oggi pare distante anni-luce dalla consistenza di Seattle, San Francisco, Green Bay e New Orleans, ovvero tutto quello che Jerry Jones non desiderava da una stagione che doveva fungere da turning point. Ed invece, ci si ritrova con gli stessi identici problemi di sempre, definitivo segnale che Garrett non può essere la persona giusta per riesumare le epoche di Aikman, Smith ed Irvin, una missione per realizzare la quale Jones ha ormai perso anni di notti tranquille.

GAME REWIND OF THE WEEK: 49ers @ Ravens

Freddo, pioggia, due delle migliori squadre di tutta la Nfl e possibili sfidanti al prossimo Super Bowl, ecco gli ingredienti necessari per una lotta senza quartiere viziata dalle precarie condizioni del campo, con le difese a tener duro e Lamar Jackson ad effettuare mosse da videogioco anche sul fondo scivoloso generando l’accumulo di brutte figure da parte della temuta linea difensiva dei Niners. Una gara degna dei playoff per atmosfera e livello delle compagini, uno spettacolo di grande tensione facilmente definibile come istant classic. Decide uno dei migliori kicker di tutti i tempi da distanza proibitiva viste le condizioni atmosferiche, e magari un domani se ne parlerà come la sfida che avrà anticipato il rematch della prima settimana di febbraio. Stay tuned.

STAT LINE OF THE WEEK: 10 att, 129 yds, 2 TD

Dopo un anno trascorso a guardare per la riabilitazione al devastante infortunio al ginocchio ed un inizio stagione ancora disturbato da problemi fisici che ne hanno allungato l’assenza, finalmente i Redskins possono osservare con gioia quello che Derrius Guice può portare alla causa, confermando quella tendenza al big play tanto decantata in sede di draft e così prevaricante rispetto ai possibili problemi caratteriali del ragazzo. Se tiene, è uno degli affari più clamorosi degli ultimi anni, segno che tutto è possibile anche per una franchigia in letterale stato di disgrazia.

TRICK PLAY OF THE WEEK:

TD CELEBRATION OF THE WEEK:

“If It Isn’t Love” dei New Edition, per la circostanza coreografata da David Moore.

ONE LINERS OF THE WEEK:

  • Fitzmagic is back!
  • Special team dei Saints, are you kidding us?
  • Ryan Tannehill continua a dimostrarsi di essere la persona giusta, nel luogo giusto, al momento giusto.
  • Congratulazioni a Bill O’Brien per la prima vittoria in carriera contro il maestro Belichick.
  • Congratulazioni ai Bengals per la prima vittoria in campionato, mai perdere le speranze.
  • Come sempre, licenziare un capo allenatore ad un mese dal termine del campionato non serve a nulla, quindi  a nostro sindacabile parere lasciare oggi a casa Ron Rivera è una mossa la cui unica utilità è quella di dare un po’ di pepe ai media.

A LOOK AHEAD:

  • San Francisco parte per la trasferta di New Orleans per l’ennesima tostissima gara di questa seconda parte del campionato, due potenze Nfc a confronto per la partita nettamente più entusiasmante delle sette di sera italiane.
  • Il Lamar Jackson show si sposta nel gelo di Orchard Park, con i Bills in cerca della decima vittoria stagionale e di un modo per fermare the human videogame.
  • Patriots contro Chiefs per il rematch dei sogni, intrigante per capire come New England reagirà alla sconfitta contro Houston opponendo la sua straordinaria difesa a Patrick Mahomes. Di sicuro l’attacco di Brady dovrà alzare i giri, e non poco…
  • Una Seattle in forma strepitosa si scontra con i Rams nel Sunday Night nel più classico dei trap-game divisionali. Occhio a non dare nulla per scontato…

See ya!

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