Ho volutamente aspettato: non è stato facile rispettare tale attesa così come non è stato facile tenere a bada una moltitudine di idee che aleggiavano nella mia testa e che, unite al mio bisogno fisiologico di scrivere, mi hanno costretto più e più volte a tenere a debita distanza il computer per evitare di sfogare sulla mia stanca tastiera mesi di gioia sportiva e frustrazione personale.
Sia chiaro, uscire vincitori da dieci partite su dodici giocate è tanto impressionante quanto inutile, poiché vincerne sedici non volle dire niente per la versione 2007 dei Patriots, ma quanto fatto finora da Lamar Jackson merita sicuramente almeno un migliaio di parole; come accennato poco fa, ho dovuto – e voluto – per forza di cose aspettare lo scontro fra pesi massimi con i San Francisco 49ers prima di poter lanciarmi nel panegirico a cui state per assistere: mi permettete di parlare un po’ della rivoluzione messa in moto dai Ravens e, soprattutto, da Lamar Jackson?

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“You changed the game, man.”

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Intendiamoci, per quanto esaltante si stia rivelando essere il 2019 di Baltimore per il momento tale esaltazione è assolutamente fine a sé stessa, in quanto solo il Lombardi è in grado di conferire significato ad una stagione, ma facciamo un passo indietro: come molti di voi già sanno, “strizzo l’occhio” – non fosse per l’intento di essere oggettivo in quanto “giornalista” utilizzerei termini ben più incisivi – a Baltimore da anni, molti anni, ed ho avuto l’immensa fortuna di assistere alla cavalcata Super Bowl del 2012. Bella storia, anzi, più che storia mi sentirei di usare il termine sceneggiatura, in quanto stiamo sempre parlando dell’ultima corsa di Ray Lewis, Flacco che finalmente riesce a mettere a tacere i meno universalmente conosciuti ma già ben presenti haters e del miracolo di Mile High, sto parlando di memorie che mi accompagneranno per il resto dei miei giorni e che, avendole vissute da sedicenne senza la benché minima ombra del cinismo sul quale è fondata la mia esistenza, probabilmente mi hanno regalato momenti di gioia pura difficilmente eguagliabili: nonostante ciò, però, non ho avuto modo di divertirmi come in questi mesi.
Cari lettori, includere il concetto “divertimento” nelle dinamiche e negli equilibri di questa versione dei Baltimore Ravens è essenziale, in quanto non so se avete notato ma ‘sti ragazzacci stanno perennemente ballando, saltellando e ridendo: una frazione decisamente troppo significativa degli highlights contro i Rams ci presenta Baltimore replicare fino alla noia in end zone lo stesso identico ballo, poi ovviamente esportato pure a bordo campo ed in spogliatoio.
Immagino che vincere in questa NFL faccia decisamente bene al morale, ma a mio avviso dietro questa rinfrancante brezza di gioia troviamo senza ombra di dubbio lo zampino di Lamar Jackson, leader troppo giovane per essere definito tale ma che con un’umiltà solitamente estranea ad un ragazzo della sua età è riuscito a erigersi come leader di uno spogliatoio composto in equa misura da millennials e veterani con percorsi di vita ed esperienze tali per cui dovrebbero guardare con distaccata diffidenza questo giovanotto: Jackson, però, di prototipico non ha assolutamente nulla.
Guardate la reazione di Marshal Yanda, iper veterano con un probabile futuro a Canton, alla notizia che giocheranno il quarto down: come direbbe un ricevitore della stessa division, it’s contagious bruh.

Ogni maledetta estate, nel bel mezzo del drammatico digiuno da football, circa trentadue squadre tentano di saziarci con annunci spesso e volentieri fuorvianti ed a posteriori privi di significato, pertanto l’aggettivo “rivoluzionario” scelto ed utilizzato da John Harbaugh a luglio per parlare dell’attacco dei Ravens è stato da me liquidato con una semplice e sbrigativa scrollata di spalla: le premesse, signori, non erano buone in quanto più report avevano parlato di un Jackson colta alla sprovvista e stupito dalle radicali modifiche attuate ad un playbook che solamente qualche mese prima li aveva condotti ai playoff ma che, una volta dentro, li aveva visti soccombere in modo così imbarazzante da spingere esasperate orde di tifosi ad invocare a gran voce Flacco. Seriamente, c’era gente che consapevolmente urlava le parole “Joe” e “Flacco”.
Tutto ciò solamente una decina di mesi fa.
Sempre vari report, questa volta direttamente dal training camp, ci avevano raccontato di qualcosa veramente senza precedenti, di formazioni con tre tight end ed un fullback, di gente costantemente in movimento prima dello snap, di read option, triple option, power run del quarterback, insomma, un allegro revival di quel 2012 che tramite Wilson, RGIII e Cam sembrava aver reso “dual-threat quarterback” il termine più terrificante dell’intero mondo NFL – tranquilli, tale scettro è ancora saldamente in mano a “pass interference” – fino a che la carriera di Griffin da titolare è terminata pochi mesi dopo, quella di Cam è giunta ad un bivio a forza di infortuni e quella di Wilson lo ha visto sì aver successo ma in modi oggettivamente più tradizionali: la convinzione era – e nonostante tutto è ancora – che un quarterback possa aver successo in NFL solamente se in grado di svilupparsi come pocket passer. Ragionamento intellettualmente pigro, in quanto immagino sia facile osservare gli esempi offertici da Brady e Brees, prototipici ed impareggiabili pocket passer, constatare il loro successo ed affermare che replicare il loro operato costituisca il miglior modo per vincere.
A posteriori, quanti quarterback potenzialmente speciali sono stati sacrificati in nome di una norma che di fatto non esiste?
Ciò che rende speciale Jackson e quanto fatto finora dai Ravens è senz’altro il fatto che il successo raccolto finora derivi in primo luogo dall’aver permesso al numero 8 di essere sempre e comunque sé stesso, sia in campo che fuori: costruire un attacco così rivoluzionario non è sicuramente facile e Baltimore per rendere possibile il tutto è arrivata addirittura a chiedere aiuto allo staff tecnico di Louisville, l’università nella quale la sua stella si è definitivamente consolidata.

Ha indubbiamente aiutato anche l’acquisizione di Greg Roman, il principale artefice del successo di Kaepernick e di Tyrod Taylor ai Bills, allenatore fino a questo punto della sua carriera criminalmente sottovalutato che spero non ceda alle lusinghe di qualche squadra rimasta folgorata dal suo operato ed accetti un posto da head coach per poi essere silurato l’anno dopo e, egoisticamente, rimanga a Baltimore. Come potete vedere, per rendere possibile questo impensabile salto di qualità e modo di interpretare il football americano, Baltimore si è lanciata in un all-in senza precedenti, devolvendo ogni singola scelta al draft ed in free agency alla costruzione di un attacco fatto su misura per Jackson e fondato principalmente su fisicità e duttilità: tutto ciò è magnificamente incarnato dai tight end, fiore all’occhiello del reparto offensivo dei Ravens, in quanto spesso e volentieri in campo troviamo contemporaneamente Boyle, lo specialista nel bloccare, Andrews, il go-to-target di Jackson e Hurst, l’imprevedibile ibrido in grado di svolgere ad un livello paurosamente alto ognuna delle precedenti mansioni… e non dimentichiamoci del contributo di Patrick Ricard, fullback all’occasione defensive tackle che zitto zitto si è trasformato in uno dei migliori interpreti di un ruolo che secondo le logiche evoluzionistiche vigenti fino a qualche mese fa stava per scomparire.
Le origini del successo di Jackson derivano dunque da un incredibile lavoro del front office che circa dodici mesi fa ha compiuto un vero e proprio atto di fede e devoluto la propria esistenza a mettere quanto più possibile a proprio agio Lamar Jackson, che dal canto suo li ha ripagati con una pressoché miracolosa qualificazione ai playoff ed un 2019 che molto probabilmente gli varrà l’MVP.

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Chapter 2👿

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MVP?
Permettetemi di spiegare.
Per quanto mi faccia accapponare la pelle la mancanza di un MVP a nome di Russell Wilson, non si può non assegnare tale premio ad un giocatore in grado di battere lo stesso Wilson, Brady, Watson, Goff e Garoppolo in poco più di un mese e, tranne contro San Francisco, utilizzare il termine “battere” suonerebbe offensivamente riduttivo poiché tutte queste vittorie sono arrivate con margini larghi, incredibilmente larghi.
A soli ventidue anni – un anno in meno di chi sta scrivendo, giusto per sentirmi ancora peggio con me stesso – Jackson ha reso lui e la sua squadra must see TV, in quanto alzi la mano chi ogni lunedì non incappa sui vari social in almeno un highlight di Jackson, e francamente ciò non credevo fosse possibile per una squadra che fino allo scorso anno aveva una legittima opportunità di portarsi a casa il poco ambito premio di squadra più noiosa e brutta da guardare della lega.
Nonostante assistere alle demolizioni di Houston e Los Angeles, entrambe liquidate con scarti superiori ai trenta punti, sia stato ovviamente soddisfacente, la partita di domenica contro San Francisco ha risposto a tutti gli interrogativi che perduravano nel mio inconscio: in condizioni meteorologiche impossibili, in una giornata nella quale ripetuti lanci mancati hanno più volte scandito la parola fine ad un promettente drive e contro un’avversaria in grado di rispondere colpo su colpo ad ogni sfuriata offensiva, Jackson a sei minuti dal termine dei tempi regolamentari è riuscito a mettere insieme un game winning drive unico nel suo genere poiché in grado di consumare tutto il tempo residuo nonostante le “misere” trentaquattro yards guadagnate.
Teoricamente un ragazzo della sua età in una situazione analoga molto probabilmente tenterebbe di strafare, di vincerla da solo, ma come già ribadito mezza dozzina di volte, Jackson non è un ventiduenne come gli altri: totalmente disinteressato alle proprie statistiche o alla propria gloria personale, con un’impressionante dose di sicurezza nei propri mezzi e nei compagni di squadra – Tucker in particolare – è riuscito apparentemente senza alcuna difficoltà a fare esattamente quello che doveva fare per vincere una partita segnata fino a quel punto da frustrazione ed atipici errori.
Come direbbero da qualche parte nel Massachusetts, Jackson ha semplicemente fatto il proprio lavoro, ovverosia quello di vincere partite rivoluzionando in modo tutto suo un gioco la cui tanto cantata evoluzione lo condannerebbe a priori a soccombere.

La stagione è ancora infinitamente lunga, la griglia dei playoff è ancora in grado di cambiare conformazione decine e decine di volte e noi tutti abbiamo ben presente che una volta arrivati a gennaio l’esperienza spesso e volentieri diventi il fattore più importante in assoluto, ma cari lettori, godetevi quanto più possibile – salvo abbia appena fatto patire le pene dell’inferno alla vostra squadra del cuore – ciò che questo mancato running back sta consistentemente mettendo in scena domenica dopo domenica: frantumerà il record di yards corse da parte di un quarterback a forza di spezzare caviglie grazie ad un’agilità raramente vista in questa disciplina, così come frantumerà lo spirito della vostra squadra del cuore alternando a tali corse lanci sorprendentemente troppo precisi per uno a cui nemmeno due anni fa veniva ripetutamente chiesto di lasciar perdere le aspirazioni da quarterback e dedicarsi a tempo pieno a ricevere l’ovale, non lo snap.
Anche se non ha ancora fatto niente, per ora possiamo universalmente affermare not bad for a running back.

6 thoughts on “La rivoluzione Jacksoniana

  1. Dual threat per Baltimore significa 2/3 runningback contemporaneamente in campo. Il football di corsa è quanto di più classico e old school esista da che inventarono il gioco, sicchè “rivoluzione” è un termine pesantemente inadeguato.
    L’anno prossimo, comunque vada, e fermo restando che Harbaugh merita un monumento, si vedrà se Jackson vale veramente quanto pare in potenziale o è il solito “one year wonder” come tanti ne sono passati (persino Crap-ernick è arrivato a un superbowl scavallando): i defensive coordinator non sono (tutti) fessi e con tutti i filmati a disposizione metteranno pezze a destra e sinistra.
    L’attacco vende i biglietti, ma Baltimore è 10-2 per la difesa e contro San Francisco l’ha vinta il kicker (come spesso capita ai playoff).

  2. Ma era proprio il caso di ricordarmi quel divisional ghiacciato di 7 stagioni fa? Me lo rivedo ancora quel passaggio finale….

  3. Nick condivido il tuo pensiero… Non c’è nessuna rivoluzione a Baltimore: una grande difesa e run-run-run come ai vecchi tempi …. Mattia è solo un giovane falco entusiasta….
    Però su un paio di cose ha ragione lui: vedere i Ravens è divertente e Jackson è umile (basta vedere quando si attribuisce colpe su giochi non riusciti o non riusciti al meglio) ….per questo non sarà solo un one-year-wonder…..
    E comunque gennaio si avvicina (purtroppo)

  4. Forse al SBowl o anche prima trova qualcuno che gli ha preso le misure. Come fecero Kubiak e i suoi Broncos con Cam N al SBowl 50.

  5. Resto della mia idea espressa fin dal giorno del draft di Lamar ai Ravens: non è un franchise Qb e ha una infinità di difetti al momento. Certo è il suo anno, e Harbaugh gli ha tagliato su misura l’intera offense con schemi perfetti per sfruttarne le qualità. L’attacco di Baltimore corre, corre, corre e corre. Mischia le carte benissimo, fa correre il suo Qb come halfback aggiunto e vince. Hanno ragione loro. La difesa è una garanzia da sempre, l’attacco sta girando a mille seppur utilizzando un ventaglio infinite di opzioni che però si riconducono ad una parola sola: corsa.
    Lamar è migliorato in questi due anni di sicuro. Legge bene molte situazioni, corre ancora meglio e lancia anche decentemente. Ma non è un grande Qb e temo non lo sarà mai. Tutto il sistema dei Ravens ha virato su lui, adattandosi a lui, sfruttandone le qualità e cercando di nasconderne i difetti. Quest’anno Baltimore gira a mille e Mattia fa bene ad esaltarsi dopo anni soporiferi di Flacco, perché l’attacco osa, macina e segna a raffica. Ai playoffs nulla sarà precluso. Jackson però non è assolutamente neanche vicino ai migliori 10-15 pari ruolo della Nfl. Se dovesse lanciare in percentuale normale (adesso non lo fa di sicuro….) il suo braccio grezzo e la sua visione limitata sarebbero evidenti. Infatti non glielo fanno fare…..

  6. Mah.. Vi chiedo se le avete viste le vittorie di quest’anno di Baltimore. La difesa è buona, ma le partite le abbiamo vinte con l’attacco. Anzi la difesa era meglio l’anno scorso ma correre più di 200 yds a partita aiuta a non subire pts.Sono d’accordo anch’io sui limiti di Lamar e prima o poi questi limiti verranno a galla, mai mi scorderò lo shootout dell’anno scorso coi Chargers, ma non sarebbe corretto rifarsi al qb visto l’anno scorso. Ha fatto progressi mastodontici sul passaggio e in questo momento non è che è tra i primo 15/10, è semplicemente l’mvp in pectore. Poi anch’io prima di lui prenderei qualcun altro ma i vostri giudizi mi paiono ingiustamente ingenerosi. Sarà da vedere quanto resisterà sano, visti tutti i rischi che si prende. Spero solo non succeda quest’anno.

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