Il record in pareggio fino alla trasferta di Carolina portava con sé un sapore dolce amaro per i Titans, un po’ come tutto il passato recente della country city ramo palla ovale, dove non si è mai avuta la sensazione né di eccellere ma tanto meno di cadere nel baratro.

La sconfitta di Charlotte, risultato a parte, ha messo in mostra un divario troppo netto tra i due club, un livello mai affrontato finora grazie ad una schedule eccessivamente democratica, che aiuta sovente i team AFC ma che nel caso in questione ha anche permesso a Henry e soci di schivare le corazzate della National, vedendosi di fronte – oltre ai Panthers – Tampa Bay e Atlanta, tutto tranne che schiacciasassi. Christian McCaffrey, oggi il best in business, rasenta l’eccellenza per una squadra ancorata ad una normalità stagnante, così come affrontare a viso aperto una pass rush defense (4 sack e due intercetti) formidabile è in questo momento un compito improbo per i ragazzi di Nashville!

I primati limitrofi al 50% sono difatti prassi per Tennessee nelle ultime quattro stagioni, idem le ordinarie statistiche offensive e difensive, che vanno da un highlight del 14mo posto ad uno step-down del 19mo sui points for e points against.

Le vittorie annuali non hanno convinto il più delle volte, a livello tecnico e inoltre tattico, con chiamate del coaching staff sia per il game-plan che nel in-game sono abbastanza surreali e frustranti.

Il 4-4 con +13 di differenziale parlava di grande equilibrio, confermato pure dagli one-possession-game disputati (4) e chiusi anche qui in parità (2-2), così come i multiple-scores-match, lo stesso in pareggio, coi primi curiosamente avvenuti in gare casalinghe e gli altri on the road. Il football americano d’altronde non mente e le parole del vecchio Bill Parcells “Tu sei quello che la tua classifica dice” per l’ennesima volta vengono confermate dalle caratteristiche di Tennessee nei campionati recenti: una squadra cronicamente scostante da metà graduatoria, incapace di superare la border line di un livello qualitativamente medio. Quest’ultimo aspetto si nota in particolare nei match (uno solo finora) al cospetto di team attrezzati ad abitare i vertici della lega.

Fa riflettere come invece nell’ultima stagione il bilanciamento è stato spezzato, portando un settore vicino alla perfezione (la difesa) e l’altro nell’inefficienza latente (l’attacco), nonostante un prodigio come Matt LaFleur ad avere le redini del playbook. Con Arthur Smith in sideline – ad una trentina di metri dal confermato Dean Pees – a chiamare gli schemi per Mike Vrabel, i risultati sono gli stessi e confermano praticamente quali siano miglioramenti e peggioramenti da queste parti negli ultimi lustri. In pratica alla continua progressione e ferocia di una retroguardia ormai elite assoluta NFL, non è seguita quella del comparto offensivo, i cui attori protagonisti e le chiamate di bordo campo danno spesso sensazioni di prevedibilità e sterilità.

Chi scrive soffre nell’ammettere l’epic fail del draft 2015, nel quale non tanto Winston da prima scelta assoluta, ma Mariota – facile Heisman Trophy Winner – da seconda sembrava offrire enormi garanzie per trasformare un team spesso in rampa di lancio in una realtà conclamata dell’American Football Conference, e prendere il lasciapassare della South, division da tempo sguarnita di hype a seguito delle dipartite di Peyton Manning, Joseph Addai e Reggie Wayne, dopo le quali non c’è mai stata una chiara leadership, causa la salute precaria di Luck, la pochezza di Jacksonville e l’incapacità di crescere in zona Texas!

La storia recente parla più di disfatte che successi per quel che concerne quarterback runner da innalzare al comando del proprio club. Di Russell Wilson e Patrick Mahomes ce ne sono solamente due, così come di scrambler sublimi, a parte Elway, Young e Rodgers, la cronaca scarseggia, mentre di Johnny Manziel, JaMarcus Russell, Geno Smith, Cam Newton e probabilmente Baker Mayfield, oltre appunto a Winston e Mariota, la lista di chi non si è elevato a franchise man nonostante le attese è piena zeppa! Lo stesso Alex Smith, ragazzo impossibile da non amare, non si è mai dimostrato forte a dispetto delle maestose aspettative con le quali si presentò in NFL.

Il “panchinamento” recente di Marcus non è altro che la giusta conseguenza di un bust assodato: il ragazzo, impavido e sempre prodigo di coraggio, al quinto torneo e a 26 anni non può più progredire, e la fiducia oramai limitata verso se stesso, unita ad errori sempre più macroscopici che anneriscono le primordiali qualità, sono semplicemente controproducenti per coach e teammates.

Dare a Tannehill la responsabilità under center porta con sé un doppio concetto.

Il primo è che con l’ex Dolphins a eseguire gli ordini di Arthur Smith si ridimensionano le aspettative su un crack esponenziale del settore, tornando coi piedi per terra e affidando ad un esperto ragioniere dell’ovale le iniziative, consapevoli della sua incapacità ad elevare al top un intero reparto ma altresì consci della sua consistenza e continuità psicologica; soprattutto sulla carta gli errori saranno limitati, così come big play e quarterback rushes, assenti negli schemi ma non disdegnate in situazioni al limite, dando ad Henry ogni incombenza su terra ma magari coinvolgendo di più la fase ricettiva, penosa prima della sua investitura. Il runningback al quarto anno da Alabama sforna numeri alti in modo non costante ma è proiettato a superare le 1000 yards per il secondo campionato consecutivo.

L’altro significato ci riconduce a inizio anno, quando il contratto annuale di Ryan (2 milioni), successivo ad una delle tante trade che invaderanno poi Miami di numerose scelte future al Draft, in questo caso Chandler Cox (7mo giro 2019) e un quarto round pick 2020, stava a rappresentare un piano B relativo all’eventuale ennesimo flop di Mariota: come a dire fallisci ancora, ti rimpiazziamo in mid season con uno dei migliori backup in giro e dignitoso nelle statistiche di 5 campionati (a parte il vizietto dell’intercetto) prima di rompersi e il prossimo anno ci muoviamo tabula rasa, col 26enne da Oregon College UFA e senza più il fardello dei suoi 21 milioni di base salariale.

A parte la festa iniziale di Cleveland, contro un team un po’ troppo sopravvalutato da tutti, e dove il buon Marcus aveva illuso col 133.3 di qb rating, assieme a Brown e Delaine Walker (ora ai box) come target, il settore avanzato ha infatti sempre faticato col vecchio regista da mentore, segnando meno di 8 punti in 4 match, senza contare la W di Atlanta, anch’essa generosa ad aprire le maglie. Un wide receiver da attack-mode non si è inoltre mai palesato e le medie di Humphries e Sharpe erano tra le peggiori dell’intera lega, malgrado Jonnu Smith, Corey Davis e lo stesso AJ siano un minaccioso e giovane trio dinamico abile nel run after catch.

Con Tannehill, inutile nascondersi, il gioco offensivo è progredito, aiutato magari anche dalla non eccelsa qualità degli opponenti – con l’eccezione di Carolina – e dai turnover, ma le statistiche dei quarterback con almeno 60 tentativi di passaggio lo hanno posto nella top ten rank per passer rating (113.1-quarto), percentuale di completi (73.1%-terzo), yards per attempt (8.32-settimo) e adjusted yards per attempt (8.45-ottavo). Con lui al timone 20+ punti performati in tre uscite, compresa la trasferta coi terribili Panthers (331 yard e 27/39), a differenza dei 7 combinati nelle precedenti due! Rispetto al vecchio titolare inoltre la freddezza nel condurre touchdown drive nel quarto periodo e a convertire le opportunità da red zone confermano che la scelta è dovuta anche alla capacità di portare a termine il proprio compito nei momenti più delicati, sacrificando magari qualche snap iniziale dove le difese nemiche sono ancora fresche.

La retroguardia mantiene invece pregevoli record, assestandosi tra le prime per punti subiti e in ottima posizione per takeaways e sack effettuati, nonostante le assenze di Jeffery Simmons, rientrato alla grande dal match coi Chargers, atteso ora ad una fatale progressione, e rinunciando sovente a cardini del calibro di Jayon Brown e Adoree’ Jackson. Il talento di questo reparto raggiunge livelli top, creando spesso extra spot offensivi per l’attacco, grazie a un formidabile nickel package, composto ulteriormente da Harold Landry, Jurrell Casey (inattivo domenica passata), Cameron Wake, Rashaan Evans, Malcolm Butler (polso rotto a Carolina purtroppo), Kenny Vaccaro, Kevin Byard e Logan Ryan: tanta roba!

Quest’ultimo sta semplicemente disputando un prima parte di stagione da MVP: lo slot corner primeggia per intercetti, passes defensed, forced fumble, placcaggi e sack! Solamente un giocatore nella storia della lega ha concluso l’anno con 6 Int e 7 Sk ed è stato il grande Dave Duerson dei mitici Bears anni 80, mentre sono stati cinque a terminare con 5 – 5 e 100 tackles. Ryan è in corsa per raggiungere questi traguardi e il Defensive Player of The Year ha oggi un legittimo candidato.

L’offensive line non rasenta la perfezione, ma piccoli miglioramenti con Tannehill dietro Ben Jones (ora out per concussion) si sono visti eccome, con Rodger Saffold (anch’egli in protocollo), Jack Conklin e Taylor Lewan a subire under pressure in misura minima nelle ultime uscite, lasciando la guardia destra come unico lato debole, a causa delle continue crisi di Nate Davis, sovrastato dai Carl Nassib di turno e lontano dalla crescita esponenziale da tutti ipotizzata; il qb, prima di affrontare una pass rush machine domenica scorsa, è difatti andato sotto pressione soltanto nel 31% dei suoi dropbacks, divenendo il decimo regista più protetto fra tutti (statistiche PFF), a differenza del 35.1% nelle prime sei weeks.

Cody Parker si era rivelato un cecchino nei field goals dopo la rinuncia a Cairo Santos, e i drammi di Chicago parevano superati; ora è finito sui waiver pure lui per far spazio al rientrante Succop, riattivato dalla injured reserve ma disastroso a Charlotte.

La South ha 4 team non eccellenti ma anche difficili da affrontare ed è l’unica division prima della Week 9 con tutte le compagini al 50% o più di vittorie e senza un differenziale punti negativo, tenendo ironia della sorte gli ex leader Colts col margine più basso (plus 7). Sono infatti loro i closer per eccellenza del raggruppamento, capaci di vincere spesso con un solo possesso di vantaggio, dimostrando sì tempra ma anche una “democrazia” eccessiva anche contro rivali non proprio temibili (vedere la L coi rimaneggiati Steelers). Houston ha aumentato i giri offensivi arrivando oggi ad avere a mani basse l’attacco più esplosivo del girone, perdendo però i servigi prima dell’ex Clowney e poi di JJ Watt, fuori per la stagione, destando adesso più di un sospetto su una retroguardia fino a ieri impenetrabile. I Jaguars stanno rialzando la china dopo un anno sabbatico ma non sembrano nemmeno lontani parenti della “Sacksonville Island” che fu.

Per tutto ciò e a giro di boa effettuato, escludendo Chiefs e Saints, partite sulla carta inaccessibili per Tennessee, rimangono ancora quattro gare divisionali da vincere a tutti i costi insieme alla trasferta di Oakland, per mantenere accesa la fiammella playoff e concludere l’ennesima annata con un record vicino alla media, senza infamia e senza lode, quello oltre al quale i Titans non riescono a distanziarsi, almeno fino a quando non troveranno anche loro un direttore d’orchestra che permetta il netto e definitivo salto di qualità!

2 thoughts on “La cronica discontinuità di Tennessee

  1. Ottimo articolo, complimenti.
    Purtroppo è difficile non condividere quello che dici: i Titans sono in perenne caccia di continuità, soprattutto offensiva. Personalmente contavo molto in Mariota, ma alla lunga i suoi troppi errori dimostrano che è uno di quei Qb discreti ma che non riescono ad emergere, magari in grado di mettere assieme una bella stagione che fa pensare al fenomeno, ma che poi non si confermano e cadono rovinosamente. La difesa mi pare invece molto buona e spero sia elemento che verrà rafforzato in futuro. Poi sì: con un Qb ottimo tutto cambia per qualsiasi squadra. Difficile fare previsioni per il resto della stagione, i Titans potrebbero crollare del tutto o perfino centrare i p.o.(nel 2017 ce la fecero e poi eliminarono i ben più attrezzati Chiefs), ma, in entrambi i casi, rimarrebbero una squadra nel mezzo.

  2. Grazie Tarpley.. vedrai pure Tagovailoa, Fields e soprattutto Jalen Hurts avranno gli stessi problemi del ns Marcus, sul quale puntavo forte (più stazza di Murray e meno presunzione di Mayfield).. fatalità Minshew, sottostimato, si sta difendendo meglio semplicemente xchè più calmo e old style, in po’ come Jake Fromm da Georgia.. purtroppo sponsor e ragazzini che giocano a Madden spingono x questa nuova tipologia di Qb che (statistiche alla mano) fanno carriera 1 su 15…

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