Quattro tappe nelle viscere dell’AFC South, Cenerentola tra le division NFL, per anni – implicitamente, segretamente, subdolamente- considerata una serie minore.

Scavare in profondità, analizzando punti di forza e debolezza delle franchigie del Sud, quello dove il football è religione, quello dove – enfatizzando ad iperbole, utilizzando i versi di una canzone- è l’unica cosa che – almeno nelle little towns– che conta.

In little towns like mine, that’s all they’ve got
Newspaper clippings fill the coffee shops
The old men will always think they know it all
Young girls will dream about the boys of fall

Kenny Chesney “Boys of Fall”

Evoluzione dei tempi, magia della vita, imposizione da lieto fine, sportivamente – senza ombra di dubbio- capacità dei vari front offices, comunque la vediate, anche Cenerentola ha i suoi quindici minuti di gloria, e – prendendo in prestito ancora una volta i versi di una canzone- “sebbene questa cosa non sarà quella che ci realizzerà o distruggerà, tutti quanti la guarderemo in TV il giorno che succederà”

“And know that fifteen minutes of fame
This thing ain’t gonna be what makes us or breaks us but
We’ll all be watching the TV the day that it comes”

Florida Georgia Line feat. Tim McGraw “May we all”

Ma è tempo di partire, un itinerario ben delineato, da Houston a Indianapolis giù fino a Nashville inseguendo la golden hour del sole della Florida, destinazione Jacksonville. Cinture allacciate, velocità massima consentita 60 mph.

Godiamoci il paesaggio.

La mission principale è essere imparziali, unbiased direbbero gli anglofoni, scrivere cercando di mantenere un certo rigore professionale, deontologico, senza scadere nel partigianato più volgare, fazioso, capace di infastidire nella perdurante volontà di difendere l’indifendibile.

Siamo umani e inseguire l’oggettività con il cuore palpitante e gli occhi luccicanti d’amore rischia di essere insensato, controproducente.

Dio e l’Amore, l’Amore e Dio – possibilmente facce di un’uguale medaglia- operano in vie misteriose e la nostra condizione, misera e vulnerabile, ci impediscono fortunatamente di porvi limiti all’operato.

Tutto ciò per dirvi che si, apprezzo Houston.

Mento.

Amo i Texans. Quel Toro blue, bianco e rosso con la lone star texana a scrutare l’orizzonte ruba il mio cuore ad ogni sguardo.

OFFENSE

La novità più grande è – senza sarcasmo- la nomina di Tim Kelly nel ruolo di offensive coordinator. Liberi, liberissimi di non crederci ma questa è una lieta nuova per una squadra che negli ultimi anni ha molto faticato nella endzone e ha dovuto convivere con la peggiore offensive line della Lega. Il giovane coach, in forza a Houston dal 2014, promette di dare stabilità ad un reparto competitivo sulla carta che, per motivi di varia natura, non è mai riuscito ad esprimere il vero potenziale.

L’intera offseason è stata caratterizzata dal mantra – atteso solamente in parte- per cui il compito principale fosse, rafforzare la linea offensiva. Lo schermo a protezione di quel playmaker, game wrecker, million-to-one shot che è Deshaun Watson, quarterback di talento cristallino, face of the franchise, che lo scorso anno è stato sack-ato un numero infinito di volte, ci ha quasi rimesso costole e polmoni, ma stoicamente ed eroicamente, è riuscito a guidare la squadra ad un wild card game insperato dopo la partenza 0-3.

DeAndre Hopkins, Will Fuller, Keke Coutee, Vyncint Smith, Jordan Akins, Jordan Thomas, Lamar Miller, Duke Johnson.

Potenziale inespresso, si diceva inizialmente.

Una lista di nomi a supporto dell’assunto iniziale. Se di DeAndre “Nuke” Hopkins sappiamo tutto, vita morte e soprattutto miracoli quali sono i suoi funambolici catch, degli altri siamo ancora in attesa di scrivere le pagine migliori.

Will Fuller, in forze, è un’arma di distruzione di massa cui spesso si inceppa – leggi infortuni- il detonatore. Keke Coutee – autore lo scorso anno di due match incredibili contro i rivali di Indianapolis- è uno slot receiver eccellente seppur fragile. Vyncint Smith da profondità alla chart del reparto ricevitori, dotato di atletismo, velocità e buone mani. La posizione di tight end – mai un vero punto di forza dalle parti dell’NRG Stadium– vede in atto una rivoluzione – iniziata lo scorso anno- che dovrebbe portare all’esplosione dei due Jordan – non si può non amare questo nome, anche  e soprattutto quando è cognome- sopra citati. Nel caso, più Thomas che Akins.

Workhorses del backfield, per la prima volta dopo anni, Houston si ritrova con due elementi buoni, livello medio alto. Lamar Miller – che touchdown lo scorso anno eh? Quello di 97 yards- entra nel suo ultimo anno di contratto e ha tutto da guadagnare portando a termine una buona annata. Duke Johnson, appena arrivato da Cleveland, ha motivi di rivalsa e orgoglio da salvare dopo le poco brillanti stagioni ai Browns. Non sarà un fenomeno ma è sempre un passo, a big leap, in avanti rispetto ad Alfred Blue.

Mantra dell’offseason atteso solamente in parte, modesti gli arrivi di Tytus Howard e Max Scharping, tackle offensivi di livello medio che hanno tutto da dimostrare – come qualsiasi altro rookie nella Lega- ma che, almeno, portano una ventata di freschezza e speranza ad una diga che non è mai stata tale.

DEFENSE

L’avete sentito un milione di volte ma non c’è niente di più vero: sono le difese a far vincere le partite. E se non ci credete andate a riguardarvi quel masterpiece footballistico che è stato il match dello scorso anno tra Rams e Chiefs. Punteggio mostruoso dove, in ultimo, hanno vinto quelli con la difesa migliore. E non erano quelli di Kansas City.

Quindi, assunto vero, tanto più reale dalle parti del Reliant Park dove per anni ci si è aggrappati ai giganti della DLine per far splendere qualche raggio di sole ed esplodere qualche fuoco d’artificio. Fireworks.

JJ Watt, Whitney Mercilus, Bernardrick McKinney, Dylan Cole, DJ Reader, Justin Reid.

Manca qualcuno. Senza punto di domanda. Ci torneremo nell’ultimo paragrafo.

Nonostante le partenze di Kareem Jackson e Tyrann Mathieu la difesa di Houston può tranquillamente rientrare in un’ipotetica Top5. L’arte della guerra di Romeo Crennel, leggi defensive playbook, è un manuale non del tutto – ancora- scoperto. Infinite sono le soluzioni e le intuizioni di quel genio della zona, dell’uomo e del blitz.

Il Draft ha portato in dote un ragazzone -round 5, n.161 da Texas Charles Omenihu dotato di un grande fisico e discrete doti atletiche che può dare profondità e turnover alla posizione di DE, saldamente nelle mani di JJ.

UN UOMO SOLO AL COMANDO

Lo diceva Marchionne, chi comanda è solo. Una frase ad effetto, carica di significato, assunto iperbolico e motivazionale, realtà dalle parti ti Houston. Bill O’Brien è l’uomo solo al comando, due GM eliminati poco più di due anni. Vicissitudini umane e personali, visioni diverse.

BOB condottiero navigato, scuola Patriots, discepolo del Santo pagano Bill Belichick entra nella sesta stagione con i Texans andando all-in, senza bluffs, pronto ad uno showdown dai toni drammatici, si propone quale deus ex machina della seconda generazione della franchigia, orfana del fondatore Bob McNair scomparso lo scorso anno.

Draft 2014, prima scelta assoluta Jadeveon Clowney, prima pick dell’era O’Brien. Riprendiamo brevemente quella finestra aperta parlando della difesa.

2019, altalenarsi di anni buoni e meno buoni, un’incisività mai trasformata in dominio assoluto, la notizia è che i Texans – leggi l’uomo solo al comando- sono pronti a scambiare Clowney per una contropartita adeguata, sottointeso Offensive Tackle di ottimo livello.

PREVISIONI

Il record 11-5 della stagione scorsa è stato uno dei risultati positivi più brutti di sempre. La qualità del gioco espressa dai texani non è stata delle migliori, una buona dose di fortuna ha aiutato la franchigia a laurearsi campione della division.

Individuo i Texans ancora un passo avanti rispetto ai diretti avversari. Con un 10-6 si vince la AFC South.

 

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