Quando si parla dei Pittsburgh Steelers, una domanda – fra le tante – sorge immediatamente e svetta sovrana: com’è possibile?
Com’è possibile che Pittsburgh non sia mai riuscita a sfruttare pienamente uno degli arsenali offensivi più profondi e forti di sempre? Com’è possibile che la squadra che poteva vantare le “quattro B” non abbia raggiunto nemmeno un Super Bowl?
Sfortunatamente per loro, quei tempi sembrano appartenere ad un’era geologica diversa, in quanto a roster di “B” ne è rimasta solamente una, ed a marzo spegnerà 38 candeline: come da tradizione negli ultimi quindici anni, gli Steelers ripartiranno ancora una volta da Roethlisberger e poco, relativamente parlando, altro.
Il roster rimane talentuoso, perlomeno sopra la media, però la sensazione generale è che il 2019 rappresenti l’anno zero di un nuovo ciclo che per forza di cose non sembra destinato ad una vita longeva.

Mostrata la porta alle “dive” Brown e Bell, Pittsburgh in un colpo solo si è trovata costretta a rinunciare ai due più importanti playmaker dell’ultimo lustro – ed oltre –, pertanto capire l’origine delle incertezze che circondano Big Ben diventa tremendamente più semplice: se il 2018 è servito a dimostrarci che l’attacco degli Steelers è in grado a sopravvivere alla mancanza di Le’Veon Bell grazie alla rivelazione Conner, nel 2019 il reparto dovrà dar prova di potersela cavare altrettanto bene senza Brown, ricevitore che con Roethlisberger formò un sodalizio in grado di affiancarsi a coppie del calibro Brady-Gronkowski o Manning-Harrison se si parla del miglior duo quarterback-receiver di tutti i tempi.
Penuria di potenza di fuoco a parte, di motivi per prevedere con certezza una netta regressione di Roethlisberger non ne abbiamo, in quanto viene dall’unica stagione in carriera nella quale è stato capace di lanciare per più di 5000 yards, non esattamente un segno di declino: ciò che Big Ben dovrà dimostrare, però, sarà anche di essere veramente un buon leader, in quanto la vicenda Brown ha sì fatto passare l’attuale ricevitore dei Raiders come possibile – facciamo pure probabile – schizofrenico, ma ha palesato pure comportamenti costantemente riprovevoli del proprio quarterback, come per esempio affidarsi continuamente alla radio per esprimere la propria frustrazione verso specifici compagni di squadra.
Affinché un team nel quale uno dei leader dello spogliatoio ha la mia età riscuota successo, sarà indispensabile che Roethlisberger elimini questi atteggiamenti incredibilmente tediosi ed immaturi, tentando con più convinzione di lavare veramente i panni in casa.

Il backfield, ufficialmente orfano di Bell, sarà guidato dall’ottimo James Conner, giocatore che in una sola stagione ha dimostrato di essere in grado di non far rimpiangere troppo un mostro sacro come Le’Veon Bell; alle sue spalle troveremo l’interesse coppia formata da Jaylen Samuels ed il rookie Benny Snell Jr., giocatori che non potranno sicuramente ambire alla maglia da titolare ma che potenzialmente potrebbero giocare un buon numero di snaps mentre il buon Conner rifiata.
Il reparto attorno al quale aleggia maggiore curiosità è ovviamente il receiving corp, in quanto chiunque da mesi si sta interrogando su come – e se – l’attacco di Pittsburgh riuscirà a sopperire all’addio di quella fonte costante di emicranie e ricezioni chiamata Antonio Brown: ovviamente il go-to-guy sarà JuJu Smith-Schuster, giocatore assolutamente pronto per questo ruolo in quanto lo scorso anno si è espresso su livelli molto più alti rispetto a quelli dell’indolenzito ricevitore dei Raiders, ma che per forza di cose è posto davanti ad una nuova sfida in quanto non ci sarà più il numero 84 a tenere in apprensione reparti difensivi che ora potranno dedicare anima e corpo a contrastarlo.

Diventa dunque fondamentale monitorare il processo di crescita di giocatori come James Washington e Diontae Johnson, giovani rispettivamente al secondo ed al primo anno fra i professionisti ai quali sarà chiesto di contribuire fin da subito: attenzione che Washington sembra avere tutte le carte in regola per poter diventare solido vassallo di JuJu. Al momento il ruolo di receiver numero due sembra essere ancora saldamente in mano all’esperto Donte Moncrief, veterano dall’indiscusso potenziale ma mai pienamente in grado di esprimerlo a causa di costanti infortuni, che dovrà guardarsi le spalle da Eli Rogers e Ryan Switzer, anche se quest’ultimo viene impiegato maggiormente nella slot.
Per quanto riguarda i tight end, l’addio dell’imponente Jesse James – approdato a Detroit – apre le porte al veterano Vance McDonald, giocatore espressosi ad alti livelli solamente a sprazzi: considerando quanto Roethlisberger apprezzi poter contare su un buon tight end, sarà fondamentale che McDonald riesca ad elevare il livelllo delle proprie giocate quel tanto che basta per guadagnarsi la totale fiducia del numero sette.
La linea d’attacco rimane pressoché identica a quella degli scorsi anni, con l’unica differenza proveniente dallo spot di tackle destro, dove Matt Feiler sembra il favorito per occupare il posto liberatosi dopo la partenza di Marcus Gilbert verso Arizona: pertanto, ancora una volta a dare lo snap troveremo Maurkice Pouncey, affiancato dalla miglior coppia di guardie della lega formata da Ramon Foster e David DeCastro, con l’ex soldato Alejandro Villanueva a proteggere il blind side di Big Ben.

Dopo interi decenni passati a terrorizzare la lega con una delle difese più arcigne e violente della storia, nell’ultimo lustro la lunghissima tradizione difensiva di Pittsburgh è stata ripetutamente offesa da incompetenza ed una disarmante inadeguatezza della maggior parte dei suoi protagonisti, soprattutto per quanto riguarda la secondaria: ciò, parzialmente, sembra essere destinato ad un drastico cambiamento già da quest’autunno, in quanto dopo anni passati a sacrificare scelte nei round che contano del draft per rimpolpare l’intero reparto, Pittsburgh sembra poter finalmente contare su un front seven di assoluto livello.
Tutto ovviamente inizia dalla costante Heyward, giocatore tanto sottovalutato dai media quanto rispettato e temuto dai colleghi e costantemente in grado di sabotare i piani degli offensive coordinator avversari con una brillantezza sul pass rush atipica per un D-tackle; a completare la linea difensiva troviamo ancora una volta Javon Hargrave e Stephon Tuitt: il primo, reduce da un buonissimo 2018, cercherà di confermare quanto di buono fatto vedere lo scorso anno, mentre il secondo dovrà dare continuità alle proprie giocate in modo da ribadire di aver meritato il lauto rinnovo contrattuale firmato qualche anno fa.
Le vere novità, però, arrivano dai linebacker, in quanto in questo reparto troviamo la principale acquisizione dell’ultima offseason, o meglio, dell’ultimo draft, Devin Bush: nel momento in cui un front office è disposto a sacrificare due scelte, una al secondo round e l’altra al terzo, per garantirsi l’opportunità di mettere le mani su uno specifico giocatore, intendere quanto quella squadra punti su tale individuo è parecchio semplice. Le aspettative sono ovviamente alte, ma Bush sembra in grado di dare all’intero reparto quella stabilità che manca dalla sciagurata notte in cui la carriera di Ryan Shazier è stata compromessa: la sua velocità gli permetterà di stare in campo durante tutti e tre i down e nonostante preoccupazioni circa la sua stazza sarà in grado di dimostrare di poter eccellere senza problemi nella NFL moderna, rincorrendo senza eccessive difficoltà running back e tight end avversari.
A giocarsi la maglia da titolare a suo fianco troveremo uno fra Vince Williams ed il neo-arrivato Mark Barron, ex scelta al primo round mai in grado di dare continuità alle sue giocate nonostante la sporadica big play, mentre a portare pressione al quarterback troveremo il sempre più in crescita T.J. Watt e l’enigmatico Bud Dupree, giocatore mai in grado di giustificare totalmente il fatto di essere stato scelto al primo round del draft.

Il reparto in cui tuttavia sarà necessario il più repentino dei cambi di rotta è senza dubbio la secondaria, melting pot fra giovani di buone speranze e veterani in cerca di un ultimo contratto prima di appendere il casco al chiodo: per quanto riguarda i cornerback, da una parte troveremo il rinato Haden, giocatore che in due anni a Pittsburgh è riuscito a ritrovare uno stato di forma che ci aiuti a ricordare come mai per un paio di anni, tempo fa, era considerato fra i migliori interpreti della posizione da fior di analisti, mentre dall’altro per il momento la maglia da titolare sembra in mano a Steven Nelson, neo-arrivato dopo aver passato le prime quattro stagioni fra i professionisti a Kansas City, anche se dovrà guardarsi le spalle da un Artie Burns consapevole di avere fra le mani l’ultima opportunità per prolungare la propria permanenza in Pennsylvania, anche se ciò appare sempre meno probabile in quanto il front office ha recentemente deciso di non avvalersi della fifth-year option, mettendolo di fatto davanti ad un complicato bivio.
Dopo una prima stagione decisamente complicata, Terrell Edmunds dovrà cercare immediato riscatto e dimostrare che Pittsburgh non ha compiuto l’ennesimo errore al draft, così come l’ex scelta al secondo round Sean Davis, come Burns arrivato ad un punto della carriera in cui il margine d’errore è veramente minimo.
Nel ruolo di slot cornerback con ogni probabilità troveremo lo spericolato Mike Hilton, uno dei migliori CB in circolazione quando si tratta di portare pressione al quarterback avversario.

La situazione negli special teams non è particolarmente chiara, in quanto nonostante il quinquennale firmato prima dell’inizio della scorsa stagione, Chris Boswell è reduce da un 2018 assolutamente orribile, concluso con un misero 65% di piazzati convertiti – comodamente peggior dato nella lega per un kicker con almeno 20 tentativi – e ben cinque extra point sbagliati su 48 tentati: il fatto che sia ancora a roster significa che con ogni probabilità Pittsburgh gli concederà un’altra occasione, che molto facilmente però potrebbe essere l’ultima.
Il punter sarà ancora una volta Jordan Berry, mentre a gestire i ritorni troveremo molto probabilmente Ryan Switzer.

Per la prima volta da anni, Pittsburgh non si affaccia alla nuova stagione come chiara favorita per il trono della AFC North, tantomeno come anti-Patriots: il ridotto carico di pressioni potrebbe giovare ad una squadra che negli ultimi anni è stata sempre in prima linea per quanto riguardava drammi o mal di pancia trasformatisi in vere e proprie gastriti, anche se chiaramente ridurre le aspettative è ben più complesso che alzarle, soprattutto in un’organizzazione abituata a vincere come quella di cui stiamo parlando.
Coach Tomlin, anche lui apparentemente ad un bivio, è ben consapevole di non essere stato in grado di gestire uno degli attacchi più sensazionali del ventunesimo secolo, e pertanto la pazienza nei suoi confronti potrebbe essere ai minimi storici: nonostante quanto detto, un posto ai playoff sembra totalmente essere alla loro portata, anche perché a mio avviso il calo di prestazioni dell’attacco sarà compensato dalle giocate di una difesa che in Devin Bush troverà fin da subito un leader in grado di far rendere al meglio chi gli sta attorno.
Certo, posso immaginare che per un tifoso sarà parecchio complesso “accontentarsi” di un misero posticino ai playoff dopo anni passati a credere di avere tutte le carte in regola per affibbiarsi il titolo di anti-Patriots, ma – giusto per concludere con una banalità – avete ben presente che le cose belle, sciaguratamente, durino sempre troppo poco e pure in questo caso siamo veramente vicini ad arrivare a chiederci impotenti cosa non sia andato per il verso giusto a Pittsburgh nella seconda decade del nuovo millennio.

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.