Per lunghi anni la cultura interna ai Washington Redskins ha condotto solamente a risultati mediocri e del tutto privi della continuità necessaria per la sopravvivenza delle ambizioni di qualsiasi franchigia professionistica. Solo di recente la struttura manageriale della squadra è riuscita a raccogliere più o meno tutti i cocci relativi a disastri che perdurano oramai dagli anni novanta, un lavoro di recupero lungo e faticoso, che per logici motivi non può regalare i suoi frutti con immediatezza, a maggior ragione data la presenza di uno dei proprietari meno lungimiranti di tutto il panorama Nfl, Dan Snyder, un tipo di owner persino dannosoa causa del suo voler ottenere tutto e subito pagando laute somme, una tesi che nella National Football League non starebbe in piedi nemmeno se sorretta da colonne di cemento armato.

Dwayne Haskins è la nuova speranza dei Redskins per il ruolo di quarterback.

Il fan medio dei Redskins dovrebbe essere felice di ciò che è accaduto quindici giorni fa nello splendido palcoscenico di Nashville, quando Dwayne Haskins, già etichettato come la prossima grande speranza della Capitale, è inaspettatamente caduto tra le braccia della franchigia. Evento, questo, che tutti gli esperti di Draft, hanno senza dubbio giudicato come positivo, anzitutto perché ha permesso a Washington di coprire un ruolo senza più un futuro a seguito della catastrofe infermieristica occorsa durante la scorsa stagione ad Alex Smith e Colt McCoy, con Case Keenum a rappresentare solo una soluzione transitoria, ed in secondo luogo perché l’operazione non ha avuto costi supplementari, vale a dire scelte presenti o future sacrificate per salire di posizione e scavalcare una possibile franchigia concorrente, una pratica sempre più diffusa vista la disperata necessità di quarterback che sostanzialmente ogni anno viene manifestata da più di qualche contendente.

Haskins raffigura negli ideali un’immagine che a tempo debito era già stata ampiamente rappresentata da Robert Griffin III – costato peraltro un’autentica miniera d’oro in termini di scelte – ed è visto come un possibile salvatore della patria che farà ogni cosa nelle sue possibilità per vendicarsi della mancanza di rispetto dei Giants nei suoi confronti per avergli preferito Daniel Jones. E non è lui l’unica prima scelta, perché i Redskins sono saltati nuovamente all’interno del primo round per portarsi via Montez Sweat, un pass rusher da top five abbassatosi nella considerazione generale per qualche sospetto cardiaco di troppo, generando il conseguente elogio in tanti dei consueti articoli post-manifestazione che determinano promossi e bocciati basandosi tuttavia su pure presunzioni.

Jay Gruden ha alle spalle una sola stagione su cinque con la qualificazione alla postseason. Il tempo corre…

Nonostante questo la fan base capitolina, già adeguatamente scottata da anni di futili promesse, è cauta, tiepida, perché ha imparato sulla sua stessa pelle che reagire troppo euforicamente a delle mosse di mercato che avvengono a bocce ancora abbondantemente ferme serve solamente a procurarsi un maggior dolore in seguito, quando si farà vivo il persistente timore che la propria squadra del cuore – seguendo l’andamento medio delle stagioni passate sotto l’egemonia di Snyder –  si trovi esclusa dai playoff esibendo la solita annata né carne né pesce contando sì su una qualità gestionale senza dubbio migliorata, ma senza poter competere con chi alza puntualmente trofei ad ogni campionato. Questo non significa che l’esito della nuova stagione tecnicamente condotta da Jay Gruden avrà un esito preannunciato, nel football americano non si può mai sapere, ma vuol semplicemente dire che le attese vanno adeguatamente calibrate e che ci vorrà ancora pazienza per capire se questa franchigia sia veramente pronta a levarsi dalle secche in cui si è incagliata per un numero oramai insopportabile di circostanze, alienandosi un pubblico che non ha mancato di far pervenire i propri sentimenti lasciando troppo spesso vuoti tanti dei seggiolini che compongono il Fed-Ex Field, un chiaro segnale di avversione verso l’illusorio e poco competente modo di pensare che Snyder ha imposto in loco sin dal momento del suo insediamento.

Non vuol essere un quadro negativo o eccessivamente pessimistico, tuttavia il passato richiede di soppesare la situazione in maniera adeguata se non altro relazionando le ventotto stagioni trascorse dall’ultimo Super Bowl vinto e le sole sei conquiste dei playoff ottenute nella medesima frazione temporale – nessuna delle quali consecutiva – una statistica che denota assenza di fondamenta e programmazione a lungo termine, due fattori che sono stati tenuti in considerazione solo di recente, con delle soddisfacenti selezioni di talento proveniente dal College ed una gestione maggiormente oculata della free agency.

Il prossimo traguardo è l’ottenere con costanza dei risultati sul campo finalmente conformi alla tradizione di una delle squadre più storiche di tutta la Lega.

Non si può difatti sostenere che i Redskins non abbiano recentemente lavorato bene in sede di Draft, procedimento attraverso il quale hanno ricostruito da zero una linea difensiva oggi giovane, consistente e futuribile grazie alle presenza di Jonathan Allen, l’appena rinnovato Matt Ioannidis ed il tackle Da’Ron Payne, nonché una cospicua porzione della tanto sfortunata linea offensiva, letteralmente falciata dagli infortuni da oramai due campionati, che nonostante le sicurezze date da Trent Williams, in ogni caso avanti con l’età sportiva, Brandon Scherff e Morgan Moses ha necessità di una maggiore profondità – problema parzialmente risolto dalle selezioni di Wes Martin e Ross Pierschbacher – ma soprattutto di una maggiore stabilità per permettere al reparto di legarsi in maniera adeguata.

Tra i maggiori motivi di entusiasmo rientra inoltre Derrius Guice, ritenuto uno steal del Draft 2018 ma reduce dal recupero dalla rottura del crociato anteriore, evento che non gli ha consentito di provare il suo valore nemmeno per uno snap, andando a costituire un potenzialmente intrigante tandem in compagnia di Adrian Peterson, proprio il giocatore firmato per riempire il vuoto lasciato dal rookie prima della partenza della scorsa stagione. Il backfield costituirà un’opportuna unità di misura per i possibili successi di un attacco da esso molto dipendente, data la relazione tra il numero di vittorie rapportate alla produttività dei running back, un fattore essenziale per creare le variabili in occasione dei secondi down ed evitare terzi e lunghi, un programma andato non sempre secondo le previsioni permettendo alle difese di applicare le contromisure di rito. E qui emergono tutti i limiti di una rete di passaggi plagiata dalla discontinuità dei suoi protagonisti, che nell’era Gruden passa dalla retrocessione di RGIII e le annose indecisioni dirigenziali su Kirk Cousins, arrivando all’approdo dello sfortunatissimo Alex Smith, con il solo Griffin – fino a che è rimasto integro fisicamente – in grado di accendere la miccia di un’esplosività rimasta perlopiù inespressa.

Landon Collins è l’unico grosso nome della free agency dei Redskins. Un tempo non sarebbe stato il solo…

Se la difesa vede le quotazioni in netta ascesa per la già citata solidificazione del fronte a tre, per l’arrivo di Landon Collins, e per la curiosità di capire che cosa ci si ritrova per le mani con un Reuben Foster assolto dalle vecchie accuse e di conseguenza perdonato anche da Roger Goodell, l’attacco è il settore invece chiamato ai progressi più evidenti. Che cosa sia lecito attendersi da Keenum non sapremmo, in quanto il giocatore stesso ha condotto le sue ultime due squadre a risultati radicalmente differenti giocando con sistemi offensivi diversi e soprattutto con compagni di peculiarità non equiparabili, di sicuro l’esperienza per portare a termine un campionato decente c’è tutta, ma un ruolo determinante nel quadro è destinato a giocarlo il ruolo di wide receiver, il grosso neo dell’attuale conformazione, penalizzato dalla totale assenza di un giocatore realmente comprovato – men che meno di un wide receiver primario di grande talento – e che vede Josh Doctson probabilmente alla frutta, data la mancata estensione del quinto anno del suo originario accordo da matricola, più che giustificato per il mancato sviluppo di un giocatore ad oggi privo di un qualsiasi tipo di impatto per il reparto.

In questo contesto, Haskins è la grande variabile, più che la grande speranza. Jay Gruden ha cinque anni di esperienza sulla sideline dei Redskins ed una sola qualificazione ai playoff, per cui il futuro della squadra diventa assai complesso da predire, perché bisognerebbe conoscere il grado di pazienza che proprietà e dirigenza potranno mantenere nell’ipotesi di un’altra stagione priva di postseason, e come le stesse interpretano i margini di crescita che la franchigia sembra poter percorrere in questo suo momento di riabilitazione culturale. Molti articoli americani disquisiscono sulla compatibilità tecnica tra le peculiarità del nuovo regista e la filosofia offensiva di Gruden, ma dato per scontato che l’ex-Ohio State non sarà in campo alla prima settimana di campionato, ci si chiede semmai se ci sarà il tempo necessario per vedere i due all’opera assieme, oppure se Haskins sia un naturale prolungamento della permanenza dell’head coach, che per sfruttare appieno la sua ultima occasione dovrebbe quantomeno poter usufruire della possibilità di sviluppare correttamente il talento del giovane quarterback, un compito che non si risolve certo con la fretta, per quanto Haskins sia già mentalmente ed istintivamente preparato al salto secondo le analisi proposte da un ragguardevole numero di siti.

Il Fed-Ex Field ha fatto intravedere troppo spesso il colore dei suoi seggiolini nel 2018…

La presa, sulla carta, pare davvero di quelle buone, tuttavia c’è il classico molto lavoro da svolgere prima di giungere ad affrettate conclusioni. La direzione è giusta? Sembrerebbe di sì, ma così appariva anche un paio di stagioni fa. La cultura è cambiata? Indubbiamente, resta da stabilire quanto tempo ci vorrà per virare completamente la direzione di una nave che ha solcato i mari Nfl in mezzo alla nebbia più totale.

Per capire se Haskins e Sweat siano davvero i salvatori della patria e rappresentino l’innesco automatico di un futuro migliore, la sentenza non può che rimandata tra qualche stagione, quando il campo avrà avuto la possibilità di emettere sentenze adeguate alle speranze di un nucleo di fan mai così sentimentalmente staccato dalla propria squadra del cuore.

 

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