Titolo assolutamente banale, lo so, ma vi invito a tenere presente una cosa: stiamo parlando di Rob Gronkowski, perdersi in patetismi striderebbe con un personaggio che, nonostante l’infinito terrore instillato in campo, probabilmente passerà alla storia più per la sua aria bonaria che per la storica produzione in campo..
Come è possibile passare in neanche cinque secondi da parlare di terrore e totale impotenza degli avversari al suo cospetto a la sua bonarietà ed entusiasmo verso la vita? Questo è Rob Gronkowski, una perenne dicotomia fra un androide creato in laboratorio in grado di rompere tackle a piacimento ed un bambinone incapace di trattenere puerili risatine in conferenza stampa dopo aver messo a segno il touchdown numero sessantanove della propria carriera: la National Football League, l’America e sopratutto noi tifosi avevamo disperato bisogno di un personaggio che, in un’epoca in cui fra bianco e nero troviamo il vuoto cosmico, riuscisse a metterci d’accordo sotto tutti i punti di vista.
Per quanto odiati possano essere i Patriots -è la natura umana, si disprezzano i fortunati a cui apparentemente va sempre tutto per il verso giusto- ad un touchdown del numero 87 anche il più accanito anti-Pats non era in grado di non abbozzare un mezzo sorriso: come si può rimanere indifferenti ad un personaggio in grado di esprimere emozioni così autentiche in un micromondo in cui il novantanove-virgola-tanti-nove percento di quanto detto altro non è che odiosa retorica preconfezionata?
Come?

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Era il 2011, un adolescente ed ancora più naif Mattia si affacciava per la prima volta all’intricato e nevrotico mondo del fantasy football: a fare da co-owner -se non lo avete capito io ci credo giusto un po’ nel fantasy football- alla mia prima squadra c’era mio fratello, da sempre tifoso Patriots. La premessa -valida tutt’oggi- è piuttosto semplice: nessuno dei due aveva la benché minima idea di cosa stesse facendo, pertanto utilizzammo la nostra prima chiamata per la difesa dei 49ers (…) mentre la seconda, imposta veementemente dal cuore Patriots di mio fratello, per Rob Gronkowski, promettente tight end dei New England Patriots.
Nonostante un draft assolutamente ridicolo, quell’anno arrivammo a giocarci la finale -per poi ovviamente perderla a causa di scelte di formazione ancora più scriteriate- grazie ad un buon fiuto nel waiver e, soprattutto, a quel tight end sophomore per il quale mio fratello aveva imposto il suo potere fisico al cospetto del mio desiderio di prendere un runningback: era il 2011 ed un giovane Gronk al secondo anno mise insieme la più grande stagione mai giocata da un tight end stabilendo così, quasi a tempo perso, il record di touchdown ricevuti da un TE in regular season, un impressionante diciassette.
Quel 2011, sciaguratamente, rappresentò l’ultimo anno in cui riuscì a giocare tutte e sedici le partite che formano la regular season: lo strabiliante dominio mostrato per tutta l’annata fece realizzare a dei sempre più disperati difensori che fermarlo “regolarmente” -a quei tempi non esisteva ancora una raffinata sofistica convinta di poter definire quando un tackle fosse regolare e quando no- non era umanamente possibile. L’unico modo per contrastarlo era tanto iperbolico quanto realistico: per farlo cadere a terra un difensore medio doveva mettere a segno il tackle più violento della propria stagione. Esagerato? A prima vista potrebbe sembrare esattamente così, ma purtroppo questa negli anni si è rivelata essere la nuda e cruda realtà dei fatti.

Grazie anche per la quasi vittoria al fantasy del 2011, Gronk.

In un’epoca nella quale “noi” giornalisti passiamo i due terzi del nostro tempo a discutere di fatti che non hanno nemmeno l’indispensabile attributo dell’esistenza per essere definiti tali, c’è chi già dallo scorso anno -periodo in cui aveva un Super Bowl in meno- aveva sollevato la più stupida delle domande possibili: merita di essere inserito nella Hall of Fame?
Non cado in volgarità semplicemente per non stonare con il tono semi-aulico che sto provando ad utilizzare, ma solamente porsi una domanda del genere rende l’idea di quanto a volte l’incombente necessità di mettere nero su bianco qualcosa per riempire il proprio giornale o sito crei dei veri e propri mostri di stupidità: se Rob Gronkowski non è da Hall of Fame, che cos’è l’Hall of Fame? Qual è il senso della sua esistenza?
Puntare il dito contro la sua scarsa longevità non ha assolutamente senso, in quanto fra i tanti giocatori ritiratisi prima dello spegnimento delle trenta candeline troviamo gente come Tony Boselli, Earl Campbell, Terrell Davis, Calvin Johnson, Barry Sanders, Gale Sayers, Patrick Willis e quello che molti considerano il vero GOAT, Jim Brown: tutti loro, il busto dorato di Canton, o già lo hanno o sono veramente vicini.
Può apparire semplicistico ciò che sto per dire, ma molto probabilmente senza Gronkowski non esisterebbero i vari Kelce, Olsen, Graham ed Ertz, anche se forse non ha senso compararli allo sfavillante numero 87, in quanto nessuno di loro è neanche lontanamente paragonabile per quanto riguarda il run blocking, aspetto del gioco che fino a non troppi anni fa rappresentava la quasi totalità delle mansioni riservate al ruolo: la demolizione dei Los Angeles Chargers al Divisional Round degli scorsi playoff penso basti ed avanzi come esempio di quanto Gronk sia dominante in ambi gli aspetti della posizione.
Finiamola di complicare cose semplici in nome di un dibattito tanto sterile quanto ridicolo, Rob Gronkowski è assolutamente da Hall of Fame: se non sarà indotto immediatamente nel 2024 tale istituzione non avrebbe più alcun valore ai miei occhi.

Hola me llamo Roberto… sì… yo soy fiesta.
Il più cinico di noi davanti a tale affermazione potrebbe pensare di trovarsi davanti ad una persona veramente stupida ed infantile, due aggettivi che a prima vista sembrerebbero calzare a pennello al soggetto ma che, dopo uno sguardo più attento, risultano essere i più inappropriati che si potessero scegliere: dietro quel sorrisone a trentadue denti, dietro a quelle risate ed a quella terribile difficoltà di rimanere serio per più di dodici secondi si nasconde una delle menti più brillanti dell’intero panorama NFL.
Volete prove? Il semplice fatto di spendere tutta la propria carriera sotto Bill Belichick è già di per sé una garanzia di acume tattico, ma per rafforzare la mia tesi sposterò per un attimo la mia attenzione sulla sua vita privata: a parte la sua passione -e ci mancherebbe!- per il sesso, è mai finito al centro di scandali? Ha mai creato tensioni in spogliatoio? Se qualcuno ha il coraggio di appellarsi alla breve relazione con la pornoattrice Bibi Jones mi piacerebbe ribadire che il mestiere della pornoattrice, nonostante tutte le stigmatizzazioni, è un lavoro come un altro che dice poco o niente della persona dietro tale professione, e che soprattutto, tale relazione aveva infastidito i piani alti di una società gestita da un quasi ottantenne indagato per istigazione alla prostituzione, pertanto… ci siamo capiti.
Ciò che più impressiona di Gronkowski è come, nonostante l’incredibile amore per la vita notturna e per le feste in generale, sia riuscito a coniugare una vita da grande Gatsby con la punitiva attività professionale senza mai aver avuto cali di rendimento dovuti a tale modo di vivere e che, cosa più importante, debba ancora spendere un centesimo dei soldi guadagnati “in campo”: fino ad oggi Gronkowski è sopravvissuto “solamente” con i soldi degli sponsor, eccezion fatta per una catena comprata la scorsa estate dopo aver ricevuto incentivi basati sulla produzione. Aspettare otto lunghissimi anni per comprarsi un qualcosa che oramai alcuni giocatori del college esibiscono fin dall’adolescenza?
Il suo suggerimento? Un semplice “financially, just keep it simple!”: a prima vista assolutamente banale, ma se pensiamo per un attimo a quanti ex giocatori siano finiti sul lastrico per non aver tenuto tutto “semplice”, buona parte della banalità evapora immediatamente.

Non lasciatevi trarre in inganno da affermazioni, sorrisi e l’irrefrenabile voglia di spaccare qualsiasi cosa gli passi per le mani, Rob Gronkowski ha sempre avuto ed ha tuttora un piano ben preciso, un piano che lo ha portato non solo ad essere un sicuro Hall of Famer, un rivoluzionario la cui importanza storica sarà compresa pienamente solo fra qualche decennio e, soprattutto, lo ha reso uno dei volti più riconoscibili ed amati di tutto lo sport americano.
Qualsiasi sia il tuo futuro, Gronk, spero con tutto il cuore che il tuo fisico ti permetta di vivere una vita senza dolori ed impedimenti, anche se lo ammetto, nonostante questa scelta sia la migliore per la tua salute sul corto, medio e lungo termine, egoisticamente mi mancherà vedere l’antipatico Brady direzionare l’ovale verso quel gigante buono che, arrancando ed annaspando, trasportava senza problemi anche tre difensori contemporaneamente… anche se probabilmente mi mancherà di più sentire ciò che hai da dire al Super Bowl week o in una semplice conferenza stampa post-partita resa must-see TV da una tua uscita tanto divertente quanto genuina.

Lo sport ed il mondo attuale hanno bisogno di genuinità e spensieratezza e tu, Rob, oltre che a tanti touchdown ci davi esattamente ciò e per questo ti siamo grati, anche se spesso i tuoi sorrisi in campo coincidevano con le “lacrime” mie e di molti altri tifosi delle trentuno franchigie che hanno avuto la sfortuna di incrociarti durante quest’ultimo decennio.
Grazie.

6 thoughts on “Grazie di tutto, Gronk

  1. Anche se come tifoso dei Bills l’ho dovuto sopportare almeno due volte per stagione, mi spiace abbia dovuto abbandonare, ma ormai giocava con più bende e fasce di una mummia egizia.
    Grazie per il bell’articolo.

    • Quando è giusto è giusto….ricordati che in data 07/06/218 ho bacchettato un certo Maurizio N. per un suo articolo, scritto veramente male, dal titolo “La Dinastia dei Patriots; si va verso la discesa?”

  2. Non ha senso criticare stile e contenuti di una lettera d’amore, quindi andiamo oltre e restiamo al tecnico:
    giocatore immenso, Gronkowski (nonostante umanamente mi stesse sul caz per la sua goliardia costante), mani da ricevitore d’élite nel corpo di un defensive tackle.
    Ma la sua partylife gli ha dimezzato la carriera, inutile girarci attorno o far finta di niente: ogni atleta sa che il riposo conta più dell’allenamento. Nella ‘sfortuna’ fisica, l’impagabile fortuna di capitare ai Patriots, altrimenti avrebbe fatto la fine di Gonzales.
    Ha cambiato il gioco? Proprio no: ci sono stati prima di lui TE dominanti, nè è per via di Gronkowski che il gioco si è spostato dal correre al lanciare. Tuttavia merita ogni lode per essere stato il migliore di questo secolo, finora, in entrambe le fasi.
    Ora non deve deludermi e lo aspetto a Hollywood insieme al suo gemello diverso Nathan Fillion.

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