Probabilmente per la prima volta da inizio anni ‘90 il termine della regular season a Green Bay è stato visto come una liberazione. Nonostante non fosse questa la prima esperienza di obiettivo fallito e mancato accesso ai playoff, si è arrivati alla fine con molta curiosità per chiudere la vecchia epoca e riaprirne una nuova.

Per i Packers sarà la più lunga offseason della loro storia recente.

I tredici anni con Mike McCarthy sono stati intensi, ricchi di vittorie e di esaltanti prestazioni ma alla fine, agli occhi di molti, che siano tifosi, critici, analisti e soprattutto proprietà, danno un senso di incompiutezza e di rimpianto per aver lasciato per strada forse qualcosa di più sostanzioso. In particolar modo aver giocato e vinto un solo Super Bowl per uno dei più forti giocatori di tutti i tempi sembra un po’ poco. La sensazione, non poco fastidiosa, è che Rodgers agli ordini del vecchio allenatore abbia sprecato i suoi migliori anni, sia a livello tecnico ma soprattutto fisico, andando frequentemente incontro alla ferocia avversaria per un playbook spesso in erosione. Non ci voleva poi molto a capire come le scelte dell’ex capo scontentassero il regista, e non ci riferiamo solo all’ultima e penosa stagione. Arrivato alle 35 primavere e con due seri infortuni alle spalle A-Rod ha concluso l’anno con la promessa da parte della dirigenza di vedersi affiancato per la sua ultima parte di carriera uno staff che lo agevolasse negli schemi.

L’occhio di uno scaltro GM come Brian Gutekunst, in accordo col team president Mark Murphy, ha puntato subito a Matt LaFleur come nuovo head coach. Probabilmente già dal 2016, quando Packers e Falcons si affrontarono due volte (Ottobre e NFC Championship), l’interesse per l’allora giovane allenatore dei quarterbacks divenne istantaneo. Le quasi 900 yds di Atlanta in quegli incontri, il 136.5 rating di Ryan e a fine anno il titolo MVP colpirono non poco le stanze dei bottoni qui a Green Bay. La varietà di schemi ed un’insolita creatività provocarono molta pressione alla difesa cheesehead e questo rimase impresso nella testa del 45enne general manager. Il buon lavoro fatto ai Rams, lasciati per chiamare gli schemi ai Titans, e appunto il ruolo, anche qui da offensive coordinator, in quel di Tennessee, è stato inoltre egregio.

Trentanove anni non sono molti per gestire uno spogliatoio ricco fra l’altro di esperti e attempati marpioni, nonché leader da anni nel Wisconsin, così come accontentare una platea da sempre generosa coi suoi beniamini ma esigente nel primeggiare grazie alla quasi trentennale presenza a roster di due tra i più forti qb di sempre; si parla di 63 giocatori totali e 20 assistenti allenatori sotto la tua responsabilità e sotto il tuo comando. In aggiunta, il palmares da queste parti mette i brividi solo a leggerlo: maggior numero di titoli nella storia della lega, una delle prime franchigie NFL e dal 1992 la terza percentuale vincente tra tutti (.620)!! E’ un rischio, ovvio, ma quel che ha spinto Gutekunst a osare è senza dubbio il feeling che si potrebbe creare tra Rodgers e il suo quasi coetaneo allenatore.

Innanzitutto il rispetto verso chi è all’inizio di una nuova esperienza potrebbe portare il campionissimo californiano a ripartire da capo, con maggior voglia di apprendere un playbook insolito e di qualità che ha provocato tante migliorie in un fenomeno come Matt Ryan. In secondo luogo, la curiosità di scoprire innovazioni giovanili in un ruolo completamente trasformato negli anni e che vede il numero 12 verde oro essere una via di mezzo tra il classico quarterback del passato (Joe Montana) e quello attuale (Russell Wilson), potrebbe galvanizzare Aaron nelle giocate e giovare alla sua carriera dandogli l’opportunità di continuare a dominare fino ai 40, come Brady e Brees.

Ciò che rende grande New England rispetto a Green Bay è proprio l’applicazione di Belichick ad attuare ogni tipo di schema offensivo che ha come principale scopo quello di salvaguardare il suo inarrivabile leader più a lungo possibile. Non bisogna essere dei geni per vedere anno dopo anno le prestazioni e le statistiche di Brady calare ma i risultati di squadra rimanere gli stessi; i tempi della combo con Randy Moss sono un ricordo, si lancia meno sul profondo, ci sono più drop che in passato, minori percentuali sui completi, meno precisione e big play ma soprattutto inferiori tentativi. Però mettere in condizioni un cecchino di tali proporzioni nell’avere altri sistemi alternativi risulta ancora letale. Quel che notiamo infatti è che oltre ad una O-Line da sempre e ovviamente predisposta alla protezione di un simile gioiello, ci sia la velocità di esecuzione di Brady a permettere il successo di ogni drive. Questo è appunto dovuto ad un numero elevatissimo di nuove e varie soluzioni a differenza dei vecchi tempi (più corse, screen pass, fake, end-around, handoff, play-action ecc) utilizzando annualmente una quindicina di target tra ricevitori e running back che permettono al team e al suo qb di regnare ancora ma in maniera diversa rispetto al passato: meno sensazionalismo ma magari più disciplina e maggior tempo mangiato sul cronometro. Chiedere a Chargers e Chiefs…

Rodgers invece ci ha sempre abituato negli anni ad essere un geniale creatore di situazioni, danzando nella tasca e sfidando più volte i defensive end avversari andando incontro ad un estremismo che gli è stato fatale in due seri infortuni. Nessuno deve offendersi se concludiamo dicendo che Brady e i Patriots hanno dominato insieme questa epoca mentre la conquista del Super Bowl e le numerose imprese e rimonte Green Bay le ha ottenute grazie alle magie del suo fuoriclasse. D’altronde se un campionissimo anche di umiltà come TB12 ha detto riferendosi al rivale “se avesse giocato lui a New England avrebbe vinto e frantumato più record di me” vuol dire che la nostra tesi va avvalorata. Ecco il punto è questo: un giovane head coach ricco di idee deve mettere al primo posto della sua nuova esperienza la “gestione Rodgers”, evitandogli questi azzardi e ponendo in condizione anche lui, come il suo amico/nemico, di arrivare in età avanzata allungandogli la carriera.

Tra le mosse decisive per la nuova acquisizione al posto di comando c’è senza dubbio l’intento comune, tra allenatore e dirigenza, di proseguire con Mike Pettine nel ruolo di defensive coordinator. Conferma assolutamente non certa e preventivata quella del 52enne che nell’ultimo match coi Lions non sapeva ancora se potesse essere questa la sua ultima passerella in sideline. Ci sentiamo di comprendere e condividere assolutamente anche questa decisione, visto che l’ex Browns è riuscito a dare una quadra a un reparto spesso in difficoltà ottenendo delle conferme e dando fiducia a nuovi volti sbocciati in rosa. Partendo da zero e nonostante i problemi e gli infortuni patiti, la retroguardia ha dato segnali di unità e premesse positive che gli permettono di continuare il lavoro appena iniziato.

Il nucleo su cui partire è abbastanza giovane con le scelte del 2016 che hanno performato sopra media. Kenny Clark e Dean Lowry, approfittando delle assenze di veterani come Muhammad Wilkerson (caviglia) e Mike Daniels (piede), sono divenuti il volto della defensive line con il primo, scelto come Pro Bowl alternate, che ha battuto i record nei solo tackles (36), nei sacks (6) e nelle pass deflection (3) prima che un infortunio al gomito lo estromettesse dal finale di regular season. Blake Martinez, vera sensazione e prodigio difensivo, è stato invece capace di ripetere quasi 144 tackles nelle ultime due stagioni e Kyler Fackrell, terza round pick, è letteralmente esploso come “sack man”.

Arrivando al draft più recente Jaire Alexander, PFWA All-Rookie Team, ha dimostrato di avere tutti i requisiti per contrastare ogni tipo di wide receivers, come fatto con Julio Jones, Adam Thielen, Robbie Anderson, Brandin Cooks e Larry Fitzgerald. Ha superato lo stesso shock che accorse a Kevin King nel suo esordio del 2017: mentre il primo ha saltato tre incontri per un infortunio all’inguine, il secondo è stato presente in sole sei partite. Con una buona pressione sul quarterback, una coppia così agile nella secondaria non avrebbe da penare nei takeaways.

Il ritorno da allenatore di Pettine dopo un periodo sabbatico sembra aver giovato all’ex head coach di Cleveland, che ha dato a questi giovani una vera identità e uno spirito di gruppo perso nelle ultime annate. Con lui una piccola parte del puzzle è stato ricomposto, in attesa di ulteriori tasselli da finalizzare sia per quel che riguarda lo staff tecnico che i free agent come Clay Matthews e Bashaud Breeland.

E’ basilare anche sapersi organizzare per le acquisizioni al Draft di Aprile dove ad esempio, oltre alla dodicesima scelta propria, si otterrà anche la trentesima dai Saints al primo turno, una di Washington per l’affare Clinton-Dix al quarto e al sesto una da Seattle. Dieci quelle totali e tra le top 112 sono un’eccellente posizione per un volpone come Gutekunst.

Matthews come al solito è stato il più positivo nello spot di edge rusher. Anche lui però è umano e non infinito, ragion per cui iniziare ad immaginare un futuro senza la sua gladiatoria chioma bionda a rincorrere gli avversari potrebbe essere un opzione. Con Nick Perry out per problemi fisici non escludiamo un futuro interesse al first round per tamponare questo settore o quello dei linebacker, con o senza rinnovo per CM#52.

Tutte le strade portano a Clelin Ferrell e Mack Winson. Il primo è stato il DE senza dubbio di maggior talento a Clemson: i suoi 158 placcaggi e 26 sacks parlano per lui anche se la difesa 3-4 non è assolutamente il suo forte, sempre che sia questa la soluzione prossima a Green Bay. Più che le statistiche e i numeri è l’abilità ad adattarsi che lo mettono in cima alle preferenze. Il secondo, LB da Alabama, dopo la stagione da freshman dove non ha in pratica visto il campo, ha iniziato a progredire passando dai 40 tackles e 4 sacks del 2017 ai 63 placcaggi e i due intercetti del 2018, strabiliando per la capacità di coprire sui tight end, caratteristica non di poco conto se si considera la presenza nella NFC North di Trey Burton e Kyle Rudolph. Restando sulla linea – vero e proprio tassello da implementare – interessanti si potrebbero rivelare al sesto e settimo round Jarrell Owens, pass rusher da Oklahoma State, e Joe Giles-Harris, LB da Duke.

Nella secondaria molto attraente al secondo giro diverrebbe la scelta per Jaquan Johnson, safety da Miamy, solido come tackler e nella copertura, che rispecchia in pieno il profilo per sostituire Clinton-Dix e che formerebbe una saracinesca sul profondo di ragazzi terribili coi già citati King, Alexander e Josh Jackson.

L’offensive line siamo sicuri verrà “estratta dall’urna” almeno con due pick, vista la basilare esigenza di ruotare uomini solidi ma soprattutto giovani ed integri fisicamente a protezione del numero 12: al terzo round Michael Deiter da Wisconsin, fucina per la NFL di offensive tackle, farebbe al caso loro, cosi come al quinto Connor McGovern, guardia da Penn State e Byron Cowart al sesto, da Maryland.

Il gioco di corse e quello per i lanci sul breve saranno determinanti alla luce del discorso su cui abbiamo improntato l’articolo: togliere a Rodgers qualche castagna sul fuoco anche con schemi semplici ma utili a muovere cronometro e catena. Da Texas State e Memphis al quarto round troviamo due stereotipi perfetti per la zone run di LaFleur. Il TE Keenen Brown ha performato 577 yards e 5 touchdown in 51 passaggi e Darrell Henderson ha corso per 1909 yds e 22 td: non sfigurerebbe come backup di Aaron Jones.

Il fermento per la lontana ma “già vicina” nuova stagione mette in fibrillazione sin da ora l’intero ambiente Green and Gold. L’epoca Rodgers 2.0 ha tutto per essere ricordata in futuro come positiva sempre che, come rimarcato, la salute e la salvaguardia di un tale fenomeno vengano messe al primo posto, un favore richiesto non solo dai fan dei Packers, ma da tutti gli appassionati NFL.

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