Il presente torneo era appena all’alba, non erano trascorsi che venti giorni dal suo inizio, e già si parlava della battaglia per la supremazia losangelena. Dalla sfida tra Rams e Chargers i secondi erano usciti parecchio ridimensionati, incapaci di seguire i fortissimi ritmi imposti dalla fabbrica offensiva organizzata da Sean McVay, abbandonando giusto per un momento i sogni di gloria anche se si sa, mai parlare troppo presto nel football americano. Tuttavia, i segni di quella supremazia c’erano tutti, ed una squadra come i Chargers, già abbondantemente castigata dai numerosissimi infortuni occorsi durante la preparazione primaverile ed estiva, pareva solamente illusoria nel poter appartenere ad una categoria d’élite.

Anthony Lynn, 18 vittorie in quasi due anni da head coach dei Chargers.

Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata già parecchia, ahinoi la stagione Nfl scivola via dannatamente in fretta, e ad un mese esatto dal termine delle ostilità di regular season ritroviamo il team di coach Anthony Lynn ad un bilancio parziale di 8-1 proprio a seguito di quell’incontro con i Rams, ottenendo qualche affermazione sul filo di lana, certo, ma trovando sistematicamente la via giusta per la vittoria, che alla fine dei conti è sempre un fattore più determinante di tutti gli altri. Tale capacità di ripresa ha portato la franchigia ad uno tra i migliori record della classifica complessiva della Afc – un 9-3 alla pari dei consueti Patriots e dei non più fermabili Texans – con il solo limite di giocare nella stessa Division dei Chiefs e di vedersi quindi limitate le possibilità di vincere la Afc West.

I Chargers si sono tuttavia dimostrati essere una delle squadre più complete in circolazione, smentendo parte dei canoni che la Nfl attuale tenderebbe ad applicare. Ricchi di talento e molto bilanciati in attacco, producono quasi 30 punti e 400 yard di media a gara contando su un gioco aereo fortemente migliorato a livello di resa – importante notare che la produzione numerica c’era già prima – che conta su un Philip Rivers in grado di scrivere quella che probabilmente è la sua miglior stagione di sempre, miscelando correttamente il tutto con un backfield che ha visto Melvin Gordon ascendere allo status di superstar indiscussa della Lega, un running back la cui fruttuosità nulla ha di che invidiare ai Gurley e Kamara che la concorrenza propone.

Derwin James, furto con scasso dell’ultimo Draft.

Se un reparto offensivo di questo genere rappresenta il minimo sindacale per sopravvivere oggigiorno, il fatto di poter schierare una difesa molto concreta non è certamente scontato. Il sottovalutato fronte difensivo dei Bolts ha giocato molto bene anche in assenza della colonna Joey Bosa, la profondità delle varie posizioni è stata garantita da una rotazione che ha compreso il positivo Isaac Rochelle, proprio il rimpiazzo dell’ex-Ohio State, ed i tackle Darius Philon e Damion Square – quest’ultimo schierabile anche da end – i quali non hanno fatto sentire troppo l’assenza del titolare Corey Liuget, veterano dapprima fermato dalla policy di Lega per il primo mese di gioco (doping) ed ora costretto a far parte della injured reserve a causa della rottura del tendine del quadricipite. Il reparto presenzia nella top-11 di tutte le categorie difensive più rilevanti, e concede solamente 20 punti a partita evidenziando un ottimo differenziale rispetto alla produzione offensiva, merito, tra gli altri, del jolly pescato alla diciassettesima posizione dello scorso Draft, quel Derwin James ora candidato a divenire il rookie difensivo dell’anno grazie alla versatilità dei suoi contributi e ad un senso della posizione che gli permette di innescare giocate a ripetizione.

Questa difesa era tuttavia già molto forte l’anno passato: la differenza più grande rispetto alle scorse edizioni è rappresentata da un quarterback che a trentasei primavere ha incontrato la sua maturazione definitiva. Rivers ha trascorso vari anni della sua carriera facendosi conoscere per la tendenza a forzare conclusioni sul profondo alla costante ricerca del big play, decisioni che non sempre sono sfociate nel bene della squadra aumentando il livello di frustrazione di un giocatore grintoso, mai arrendevole, competitivo al punto da ritrovarsi costantemente sul punto di esplodere.

A 36 anni Philip Rivers sta giocando il miglior football di carriera.

La transizione tra i due differenti sistemi di gioco di Mike McCoy, il cui ultimo biennio è stato caratterizzato da un totale di nove vittorie, ed Anthony Lynn, di approccio molto più conservativo, ha conseguito qualche dolore nelle fasi iniziali, ma i benefici si stanno vedendo già dalla seconda metà dello scorso campionato, quando i Chargers erano andati a concludere a quota 9-7 un campionato minato dai disastri combinati dagli special team e da precarie gestioni nei finali di partita. Solamente due anni fa Rivers era stato un quarterback in grado di sommare ben ventuno intercetti stagionali, una quota inaccettabile per qualsiasi superstar del ruolo, passando quindi ai dieci del 2017 fino ad arrivare a cesellare ulteriormente il suo personale numero di passaggi consegnati alla difesa, che nelle prime dodici gare di questo torneo sono stati solamente sei.

Questione schematica? Anche, ma non del tutto. Il gioco verticale di McCoy generava indubbiamente un numero percentualmente più alto di pericoli, fatto aggravato dalla necessità di ritrovarsi spesso a rincorrere l’avversario nel punteggio con poco tempo a disposizione, mentre Lynn prende solamente ciò che la difesa tende a concedere, preferendo uno screen o un checkdown sulla linea di scrimmage alla conclusione lunga ad ogni costo. Quelle arrivano in ogni caso, basta non farsi cogliere dalla frenesia. Ed è stato proprio quello l’esercizio più difficoltoso da far applicare al focoso Rivers, persistente nella testarda determinazione del cercare la conclusione che avrebbe potenzialmente cambiato una partita ricavandone solamente turnover in quantità evitabili, fino a trasformarsi definitivamente in un quarterback molto preciso (il 69.7% attuale, se mantenuto, ne rappresenterebbe il career-high), in grado di pazientare e cercare il guadagno medio-piccolo, ma assicurato.

Melvin Gordon è indubbiamente tra i running back più completi della Nfl.

Sotto questo punto di vista il quarterback proveniente da North Carolina State ha ricevuto importanti collaborazioni da un pacchetto di bersagli assai consistente e versatile: Gordon ha sviluppato esplosive doti da ricevitore fuori dal backfield, il backup Austin Ekeler – meno dotato fisicamente ma dall’accelerazione fulminea – può seminare il panico a seguito di qualsiasi ricezione corta, ed il solito Keenan Allen, compagno di mille avventure riversiane, è una sicurezza matematica quando si tratta di cercare qualcuno in grado di convertire un terzo down delicato, potendo ricevere sia all’esterno che nel mezzo con la medesima consistenza. La batteria è completata dalla statura fornita dai due Williams, Tyrell e Mike, ambedue capaci di prese acrobatiche e di battere i defensive back in tutti quei palloni alti che Rivers predilige lanciare in endzone una volta varcata la soglia delle ultime venti yard, laddove non possono che arrivare le sue due torri. Conteggi, questi, che stiamo affrontando senza il tight end Hunter Henry, che avrebbe reso il quadro ancor più felice se non si fosse sfortunatamente rotto il ginocchio in allenamento, costringendo alla richiamata alle armi dell’oramai pensionata leggenda Antonio Gates.

Un altro significativo ingrediente necessario alla buona riuscita di questa ricetta vincente è il kicker Marvin Badgley, che da rookie è riuscito in un’impresa fallita da una miriade di colleghi ben più esperti, stabilizzare gli special team dopo un 2017 molto faticoso per le risorse mentali di squadra. Nell’arco di sole sedici partite dello scorso campionato Los Angeles aveva difatti cambiato ben quattro specialisti senza mai trovare l’agognata continuità, trovandosi ad affrontare l’attualità con il doveroso taglio di Caleb Sturgis, responsabile di un poco fruttifero 69.2% di realizzazioni e di ben sette extra-point falliti. Badgley, matricola proveniente dagli Hurricanes di Miami, gli è subentrato fallendo sinora un unico calcio e fornendo la tranquillità psicologica necessaria per affrontare con serenità i finali tirati, un enorme plus se rapportato a quanto accaduto dodici mesi fa ed a tutte le conseguenze negative che la questione si è portata appresso, comprese quel paio di vittorie in più che avrebbero potuto regalare la postseason già l’anno passato.

Joey Bosa è appena rientrato, pronto per il rush finale.

Dopo dodici gare disputate si può definitvamente asserire che i Chargers abbiano rispettato le previsioni assumendo l’aspetto di squadra da playoff che molti esperti avevano già assegnato loro, d’altro canto l’ossatura era già davvero molto buona ed i principali difetti dello scorso torneo sono stati corretti con successo. Rivers sta attraversando una seconda giovinezza continuando ad inseguire il sogno della sua vita, quel Super Bowl così ardentemente desiderato con quello spirito da indomabile agonista, la difesa ha ritrovato Bosa in un momento assai propizio riformando la devastante coppia d’assi della pass rush allestita in compagnia del moto perpetuo Melvin Ingram, il kicker la mette (finalmente) anche sotto pressione e la squadra è molto ben allenata, gestita con personalità da un coach molto diretto nell’applicazione delle proprie idee e sicuramente capace di porre in atto correzioni importanti tra un tempo e l’altro, come dimostrato in tutte quelle circostanze (compreso il capolavoro di Pittsburgh) dove i Chargers sono stati in svantaggio senza scomporsi, evitando di cadere nel panico, non dimenticando peraltro il 2-0 registrato con Gordon infortunato, un importante segno di non-dipendenza.

Dovevano essere solo la seconda squadra di Los Angeles, quella esiliata in un piccolo stadio più adatto al calcio, dove il pubblico nemico è maggiormente presente rispetto al disinteresse locale, perché ricordiamolo, l’essenza della franchigia trasuda San Diego da tutti i pori, ma purtroppo il cuore è sempre sovrastato dalla legge imposta dai plenipotenziari, i quali interessi economici vengono prima di tutto il resto.

Nonostante le difficoltà logistiche i Chargers hanno fatto sentire la loro presenza, ed intendono recitare un ruolo primario nell’entusiasmante corsa che condurrà al titolo assoluto. Li avevano già liquidati in principio di stagione, meglio non ripetere un errore che potrebbe diventare fatale.

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