Con un record di 7-3 i Bears sono in testa alla Nfc North, troppo spesso egemonia di Aaron Rodgers o dei Minnesota Vikings contraddistinti da giocatori come Jared Allen o Brett Favre e dalla strepitosa difesa dello scorso anno; in aggiunta i sempre scostanti Lions che però dal post 0-16 di qualche anno fa sono rientrati nel giro che conta grazie a Suh, Megatron e dall’ancora oggi leader Matt Stafford, tutte squadre che hanno sovente sovrastato Chicago costringendone seguaci a recenti anni di umiliazioni.

Diciannove vittorie totali nelle ultime 4 stagioni e un abbonamento all’ultimo posto di Division: questo era il bigliettino da visita col quale Matt Nagy si apprestava ad intraprendere la sua prima stagione da head coach nell’Illinois con però tanta esperienza accumulata in quella fucina di talenti che è tuttora Kansas City e che si sta dimostrando determinante per addestrare i suoi giovani offensive players. L’ultima apparizione ai playoff apparteneva al gelido inverno 2010 quando in un clima da tundra siberiana la squadra di Lovie Smith si presentò da leader incontrastata al Championship dopo aver frantumato gli ancora non rodati Seahawks di Carroll perdendo una bellissima sfida d’altri tempi con moltissimi big play difensivi.

Quel che proprio è mancata da parecchio tempo è stata la leadership o una più semplice catena di comando nello spogliatoio, un giocatore che fosse capace con la propria mentalità, forza d’animo e soprattutto bravura in campo di coinvolgere i compagni di squadra ma anche gli esterni al green come i coordinatori dei vari reparti se non proprio il capo allenatore. Khalil Mack risponde ad ognuna di queste caratteristiche. Il suo avvento ha creato un’atmosfera che non si vedeva dai tempi di Brian Urlacher, Lance Briggs e Julius Peppers generando nei milioni di “orsi” una fiducia e una nuova speranza che giornata dopo giornata diventa realtà. Il Soldier Field, ancor oggi splendida Bombonera è, come dice la parola, un “tutti sugli attenti” di fronte al mostruoso fuoriclasse giunto da Oakland. La sua annata rispecchia la nomina con la quale si è presentato a fine estate nello spostamento dell’anno che ha lasciato dalle parti della California rimpianti infiniti: 27 tackles, 8 sacks, 49 yds, 1 intercetto riportato in end zone, 5 fumbles forzati e due recuperati. Semplicemente determinante, sia dal punto di vista tecnico che caratteriale e morale; sembra essere qui di casa da una vita e il modo in cui aizza i supporters determina una carica elettrizzante sia in campo che sulle tribune.

Tra le mura amiche cinque vittorie ed una sola sconfitta di misura al cospetto di Tom Brady, a dimostrazione che l’impianto di Lake Shore Drive non è solamente uno stadio ma ormai un vero e proprio fortino!! E’ qui che ogni settimana il frastuono accompagna le gesta di una squadra che piano piano acquisisce sicurezza, bada bene, anche nella fase d’attacco, nonostante l’assenza di un esperto e ottimo target come Zach Miller, rinnovato ma out dopo il terribile incidente.

Una difesa che subisce 19 punti a partita, 314 yds per game e praticamente invalicabile su terra, col primo e staccato posto a meno di 78 a match. Vick Fangio piazza Mack dietro le certezze Akiem Hicks (4 sack), Jonathan Bullard ed Eddie Goldman in una 3-4 che in pratica non concede nulla ai running back avversari. Roquan Smith, rookie da Georgia si sta dimostrando insieme a Danny Trevathan una macchina di placcaggi, col secondo in rampa per superare quasi le statistiche dello scorso anno. Così come Leonard Floyd ancor ottimo sacker e Lynch, giunto da San Francisco, che aiuta dietro la linea ad alzare il livello di pressione senza riuscire a raggiungere però gli highlights del 2015.

La secondaria lascia qualcosina in più degli insormontabili compagni davanti ma rimane comunque un quartetto che gioca insieme da anni, si conosce a memoria, è agile e potente ma soprattutto compensativo tra tutti gli interpreti nei quali eccelle Kyle Fuller già a 4 intercetti (il doppio del 2017). A ruota Eddie Jackson come free safety al secondo anno e Prince Amukamara, cornerback esperto all’ottavo con già 36 tackles. I due hanno 5 Int combinati di cui due riportati in end zone; si chiude il cerchio con Adrian Amos, strong e re dei placcaggi dalle retrovie. Anche gli RCB Sherrick McManis e Bryce Callahan partecipano insieme a Mack, Lynch e Floyd alla festa del “recupero palla” che vede i Bears dei veri campioni di lega con ben 18 interceptions stagionali.

Se la classifica è oggi soddisfacente il merito è anche dell’attacco che in tutte queste giornate ha dato segni di imprevedibilità con molti giochi di prestigio, cambi di ritmo ed un playbook mai costante con un giocatore che oltre ad essere il regista standard a canone convenzionale è divenuto al secondo anno finalmente quel genio e sregolatezza che tutti attendevano: Mitchell Trubisky. Scelto come secondo assoluto è riuscito ad ottenere la fiducia dei suoi compagni di reparto, che siano gli O-line boys Whitehair, Eric Kush, Leno Jr, Bobby Massie, Coward e l’infortunato Kyle Long oppure i colleghi di segnatura come Howard, Robinson II, Burton o Gabriel. Questo per il coraggio dimostrato nel gettarsi oltre l’ostacolo in più di un occasione andando spesso a sfidare degli armadi a testa bassa durante le sue corse.

Diversamente dai tempi di Jay CUtler, il qb attuale sembra lasciare sul campo ogni briciola di energia e di passione. Con due partite in meno rispetto al passato ha già lanciato 280 yards in più per una media di quasi 250 a partita, il 65,4% di completi, 7,69 per attempts, 20 passing touchdown sui 7 del 2017 ben bilanciati nei due tempi di gioco; sulle corse ancora meglio se possibile: più di 7 iarde a portata per un totale di 363 (da 248 dello scorso anno) e già 25 primi down. Ad aiutarlo c’è sempre Jordan Howard, che visto un gioco offensivo più vario rispetto al passato e alle intuizioni del qb è in ovvio calo per numero di portate ma sempre una garanzia a subire pochi fumbles.

La fase di ricezione presenta ben 5 ottimi bersagli coi quali Trubisky si intende a meraviglia. Il jolly nonché imprescindibile attore protagonista della run pass option Tarik Cohen, imprendibile funambolo anch’egli al secondo anno da North Carolina, sia come backup di JH, play-action, ricevitore da screen pass ma anche capace di “filare” via per più di 70 iarde. E’ stato finora utilizzato per ben 117 target sia su corsa che su lancio. L’infortunio a Miller è servito a scoprire in maniera definitiva il grande talento di Trey Burton, TE chiuso agli Eagles ma che qui si intende a meraviglia col giovane collega che lo cerca con ben 45 tentativi per 12 e mezzo a ricezione. Così come Taylor Gabriel dopo la biennale esperienza al fianco di Ryan e Julio Jones si sta confermando un wide receiver di classe immensa. Uniti a loro la firma di un “giovane veterano” di 25 anni già alla quinta stagione come Allen Robinson II ha dato i frutti sperati sia come esperienza sull’ampio, sui tagli e come numero di yds (457 in 8 partite) Anthony Miller completa il quintetto che va dal suo minimo di 357 yard al massimo di Gabriel con 478.

Ottimo è stato il lavoro dell’offensive coordinator Mark Helfrich, da una vita a studiare schemi offensivi universitari ma come l’head alla prima grande esperienza. Grazie ad un playbook vario e spesso illeggibile i Bears riescono a stare in campo per 31 minuti e mezzo a partita (terzi insieme ai Redskins rispetto al 28° posto del passato) prendendo i terzi down col 43.5% (un sogno rispetto a prima), i quarti con 4 su 7 ma soprattutto a segnare 29 punti a partita!! I 35 touchdown sono bilanciati da tutte le stelle a roster con Howard, Miller e Burton capocannonieri a 5, tra le prime dieci nella lega sia per passing Td (20) che per rushing (10). Non proprio un cecchino Cody Parker con un 70% di realizzazione per filed goals tra i 40 e 50, un 4 su 5 dalla media (30/40) e due extra points falliti. Insomma se sono lassù lo devono anche alla fase d’attacco.

Attenzione a cantare vittoria però: più passa il tempo e più Chicago viene studiata e messa nel mirino specie dalle contenders divisionali che vedendo il loro zoppicante cammino potrebbero arrivare in postseason solo vincendo la North. Per questo motivo risaltano agli occhi i 9 intercetti di cui 4 contro una difesa organizzata da vecchi marpioni come i Patriots e al cospetto di un fuoriclasse come Anthony Harris. E’ questo per ora l’unico neo del 24enne dell’Ohio che riesce spesso però a placcare i giovanili e bollenti spiriti con una matura e oculata gestione dell’ovale coinvolgendo come detto tutti i colleghi prima citati.

L’ottima stagione fin qui potrebbe benissimo proseguire con la vittoria del “girone”, d’altronde Rodgers sembra troppo solo, i Vikings non eccellono in continuità ed i Lions sono sempre i Lions. Ambire al grande ballo sembra chiedere la luna ai giovani Bears ma dopo periodi di magra ci si accontenterebbe di terminare l’annata col Soldier Field sempre caloroso e felice di scandire i nomi dei nuovi eroi, col grande Khalil Mack per primo!

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