I Corvi, in onore di Edgar Allan Poe, sono una delle squadre più vincenti e longeve della Nfl se si fa una proporzione tra la loro giovane età, le partecipazioni usuali e continuative ai playoff ed il numero di Super Bowl vinti. Questo almeno partendo dal 2000 fino al 2014. Parliamo di 10 apparizioni in postseason, 4 Division Championships e due vittorie al Grande Ballo!!

Nei primi anni di vita infatti (1996) – e bypassando i vecchi Colts anni addietro – quando la buon’anima di Art Modell trasferì i Browns a Baltimore come expansion team ereditarono un roster mediocre da ultimo posto nella vecchia AFC Central. Successivamente però i Ravens riuscirono a “pizzicare” nel draft al primo giro due leggendari campioni che sistemarono il team nelle due fasi di protezione del gioco: la linea offensiva e la regia di quella difensiva. Parliamo del gigante buono Jonathan Ogden e Ray Lewis. Due facce dissimili ma della stessa medaglia; il primo, come quarto assoluto, sempre cordiale e sorridente, ottenne mostruosi risultati come offensive tackle partecipando ben 11 volte al Pro Bowl prima di ritirarsi a fine 2007 e diventare anni avanti un hall of famer; il secondo, cattivo dentro e fuori il campo, è stato – e forse lo è ancora oggi da ritirato – il volto, il simbolo e l’immagine che la squadra ha saputo rappresentare nel mondo professionistico e sportivo americano: LA FEROCIA DIFENSIVA!!

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Ray Anthony, nato in Florida nel ‘75 si iniziò al football sin da bimbo accompagnando le frequenti partite con la palla ovale a lotte sul ring di wrestling. Questo sviluppò in lui l’animo da guerriero indomito, l’amore per il contatto fisico ma anche una rapidità e velocità superlativa che accompagnerà le sue gesta “dietro” la linea difensiva, nonostante la super stazza di 185 cm per 110 Kg!! Tutto questo unito alla sua indole cattiva dovuta ad un’infanzia tormentata dall’abbandono del padre (col quale si riconcilierà nel 2008) creerà un mix di rabbia e forza interiore che ne faranno un dominatore assoluto!! Atleta devastante, caratterialmente regnante su compagni e rivali ma dotato di un’intelligente e sovrumana capacità di leggere quasi tutti gli schemi offensivi avversari, senza neanche avvalersi dell’auricolare collegato alla panchina; questo grazie anche alle lunghe film-session con le quali si preparerà prima di ogni incontro (come nel 2009 contro i Chargers sul 4’ e 2 giocato da Darren Sproles)! I suoi blitz, piazzare tackle, sack o persino intercetti ne fecero un arguto e abile regista difensivo. Abilità e stile che verranno tramandati ai posteri oggi dominanti con altre casacche anche se con “diversi” stili psicologici, come il mite e silenzioso Von Miller o il ruggente Luke Kuechly.

Leader sin da rookie dove colpì gli allenatori che lo ebbero in dote per la maniacale preparazione fisica, già nell’anno successivo il suo approdo nel Maryland (97), preso come ventiseiesimo a causa della non proprio consona struttura da top middle linebacker, Lewis venne convocato per il primo dei suoi 13 Pro Bowl grazie fra l’altro a 185 tackles; anno che verrà ricordato per il placcaggio con una mano del velocista Eric Metcalf dopo averlo inseguito per decine di yards!! Il preludio ad un palmares infinito, fatto di record e numeri inimmaginabili!! Coloro che giocarono al suo fianco divennero dei veri e propri “adepti” imitandone i metodi duri ma fraterni secondo i quali “si dava la vita per il compagno di reparto e per recuperare qualche inch. E’ grazie a lui se Baltimore è diventata una delle più forti, aggressive, arcigne e spietate difese del ventesimo secolo, sia con l’originaria 4-3 degli esordi che con la 3-4 successiva.

Due anni dopo finalmente i Ravens per la prima volta chiusero con un record in pareggio (8-8), ma l’anno in questione fu ricordato per la “nottataccia” che coinvolse Lewis nella serata del Super Bowl di fine Gennaio 2000 ad Atlanta che lo vide coinvolto in una mega rissa in cui Jacinth Baker e Richard Lollar furono accoltellati a morte. Dopo un tira e molla venne condannato a 12 mesi con la condizionale e multato di 250.000 dollari dalla NFL. La macchia fu indelebile nella carriera ma soprattutto nella vita di Lewis.

La redenzione in campo avvenne l’anno seguente (2000/2001) quando, nominato Defensive Player of the Year, aiutò Baltimore a raggiungere per la prima volta nella sua storia la postseason; col quarto seeding ed un record di 12-4 trionfarono al “Ray Jay” di Tampa contro i Giants vincendo il loro primo Super Bowl, con RL nominato MVP della finale! Dominarono New York e ancor prima Oakland (anche grazie l’infortunio di Rich Gannon), Tennessee e Denver. A differenza di regular season mai sul velluto e spesso zoppicanti, fatte anche di qualificazioni all’ultimo respiro, incontrare “Brickwall”e soci ai playoff non è mai stato facile per nessuno, per i quasi impenetrabili Steelers di Troy Polamalu come per i Titans di Eddie George (che secondo la leggenda comune si ritirò prematuramente per non trovarsi più di fronte Ray Lewis), per i Pats di Brady/Belichick come per Manning e i Colts!! Questo a dimostrazione di come la squadra sia stata sempre strutturata a vincere le partite battagliando in ogni dove, lottando e combattendo per guadagnare e difendere yards allo stesso modo contro qualunque avversario. Il tutto puntando per i primi anni sul giovane ed invalicabile Lewis e ad inizio del decennio successivo su un gruppo di seguaci di reparto che appresero “dal maestro” i trucchi e le malizie. Nei playoff quando la tensione cresce e l’ovale “pesa” queste caratteristiche sono funzionali al risultato; nella stagione regolare non disponendo mai di super profili d’attacco che potessero risolvere “in autonomia” gli incontri si è dovuto spesso penare più del solito anche contro formazioni inferiori.

E l’esempio lampante viene proprio dalla squadra del primo trionfo, allenata da Brian Billick. Una franchigia seminale il cui stile di gioco, l’organizzazione in campo e le caratteristiche tecniche verranno riprese dai Ravens degli anni a venire fino ai giorni nostri: una difesa dominante, col vecchio ma ancora sugli scudi Rod Woodson nella secondaria ed il grande Sam Adams come DT, un attacco capace di muovere tempo e catena senza protagonisti “funambolici” ma con Big Ogden a fare da scudo, un giocatore offensivo nella fase finale di una carriera strabiliante (Shannon Sharpe), un quarterback – in questo caso due – a svolgere gli ordini prestabiliti (Tony Banks e Trent Dilfer) ed un ottimo gioco di corse del rookie Jamal Lewis e dell’esperto Priest Holmes (2.500 yds in due). Batterono i record difensivi dei Bears di metà anni 80 mantenendo i rivali a 165 punti totali. Furono dei playoff dominati dall’inizio alla fine; anche qui come per il secondo Super Bowl che verrà anni dopo partirono dalla Wild Card prima di battere nel divisional i rivali e favoriti Titans. E qui avvenne uno dei tanti gesti storici di Lewis che forse fu la miccia che fece esplodere dentro i Corvi la convinzione di arrivare fino in fondo: strappare il pallone dalle “manone” di Eddie George e riportarlo in touchdown. Come a dimostrare la prevalenza e l’egemonia difensiva alla quale tutti avrebbero dovuto in seguito sottostare. Per non parlare della lunga corsa filo sideline con Tiki Barber nella “finalissima” di Tampa prima di scagliarlo fuori dal campo. Anche qui una “sfida alla pari” con un velocissimo runningback.

I cinque anni a venire, fino al 2005, saranno caratterizzati da numerosi infortuni che penalizzeranno il rendimento di Lewis (anche se il “Defensive Player of the Year” e il record di tackles nel ‘03 e ‘01 non glielo toglierà nessuno) e di conseguenza di tutto il team che non ripeterà la favolosa stagione precedente perdendo anche numerosi giocatori nelle sessioni di mercato. Ciò comunque non impedirà altri “viaggi” in postseason.

E’ con l’arrivo di Steve McNair dai nemici Titans che nel 2006 i Corvi e Lewis tenteranno l’assalto ad un nuovo Super Bowl! Col record di 13-3 nell’ormai sopraggiunta AFC North, quello di punti e yards subiti, intercetti, il numero 2 nel draw e finalmente con un regista offensivo di spessore le convinzioni sul “repeat” a distanza breve erano reali. Nonostante l’ennesima stagione monstre di Ray Lewis incocciarono sugli Indianapolis Colts di Peyton Manning e vennero eliminati in una partita da numerosi field goals.

Dopo la penosa stagione 2007 due scintille riaccesero le speranze Ravens: il rookie coach John Harbaugh al posto del dimissionario Billick ed il rookie giocatore Joe Flacco, che diverrà l’unico franchise quarterback nella storia della franchigia. “Mantenendo” i dogmi sul predominio difensivo il capo allenatore creò lo spirito di “tutti per uno” in entrambe le fasi di gioco, dando al giovane e da subito glaciale Joe le redini del playbook, la fiducia in ogni snap, la possibilità di prendere scelte in autonomia e a concedergli la libertà di liberare il “gettito” dal suo braccio bionico compiendo negli anni (e tuttora) un numero altissimo di big play. Gli verranno affiancati nel tempo ricevitori di grandissima esperienza come Anquan Boldin, Steve Smith Sr, Mike Wallace, Jeremy Maclin (quest’ultimo con scarsi risultati) e Michael Crabtree ed una cerniera invalicabile a coprirlo, con fra gli altri Marshal Yanda (ancor oggi una delle migliori guardie), Ben Grubbs e Michael Oher, la cui bellissima storia venne raccontata in “The blind side”. Ad aiutare Joe indispensabile fu la capacità di Harbaugh di mescolare negli anni e al suo fianco giovani cresciuti a roster con esperti e affidabili attaccanti (i due TE Ed Dickson e Dennis Pitta, i FB Vonta Leach e McClain, il RB Willis McGahee). Insieme ottennero 5 consecutive apparizioni in postseason culminate col secondo Super Bowl nel 2012 partendo come nel primo dalla wild card. Batterono nell’ordine i Colts di Andrew Luck, i primi Broncos di Manning (con 2 OT), i Patriots di Brady e nell’ultimo step in quel di New Orleans i Niners contornati anch’essi da grandissimi difensori come Bowman, Aldon Smith e Patrick Willis. Non male se si aggiunge il terribile infortunio al tricipite che mise quasi fine in anticipo alla carriera di Lewis; indomito come sempre e con un tutore particolare rientrò in tempo per presenziare accanto alla propria retroguardia. Dopo aver raggiunto il tanto agognato secondo anello RL comunicherà ai compagni la fine della sua “gloria”!! I seguaci che sotto la sua “protezione” in quegli anni magici domineranno la scena difensiva furono il mitico Ed Reed, il tuttora insuperabile Terrell Suggs, Bernard Pollard e Haloti Ngata.

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Flacco divenne MVP della finale dimostrando (come gli anni precedenti) una freddezza da veterano nelle situazioni più difficili!! Tra i ragazzi che uscirono fuori da questa meravigliosa epoca menzione d’onore spetta all’affidabile kicker Justin Tucker (tutt’ora al suo posto), i ricevitori Torrey Smith (che dedicò i suoi TD al fratello prematuramente scomparso) e Jacoby Jones (eroe del Super Bowl) ed i RB Bernard Pierce e soprattutto Ray Rice, piccolo ma fulmineo, capace di generare una potenza incredibile guadagnando yards dopo il primo contatto e abile a “rubare” campo anche con ricezioni a medio raggio. Quel che gli accadrà in futuro, una storiaccia fatta di violenze alla compagna, lo estrometterà non solo dal mondo Ravens ma dall’intera NFL. Anch’essi, senza patemi ed eccessive responsabilità sull’indisciplina giovanile, riuscirono senza rimproveri e con molte carezze del coach e dei leader di spogliatoio a sviluppare alternative di gioco al “wide throw” di Flacco.

Alla luce di questo si spiega il calo degli ultimi anni (50% di record) e gli innumerevoli intercetti di Joe Cool (dovuti spesso a pietosi drops); una linea offensiva spesso zoppicante ma soprattutto l’incapacità di un gioco di corse impeccabile come nelle due epoche (2000/2012) e l’assenza di schemi su screen pass o lanci di corto raggio per “alleggerire” il quarterback da decisioni estreme e affrettate. Aggiungiamo che dopo il faraonico contratto le pressioni e critiche da parte dei media ed analisti sono aumentate nelle ultime 5 stagioni!! L’attacco nero viola ha scricchiolato da tutte le parti complici anche gli infortuni a ginocchio e schiena di JF. Il supporting cast dal 2014 in poi è stato quanto meno deleterio per il numero 5, con un parco corridori e ricevitori insufficienti (Perriman e Moore su tutti). Ciò ha ovviamente incrinato anche il sostegno della fase difensiva costretta ad un lavoro improbo e a rimanere spesso in campo anche per ¾ di gara!!

Da questa stagione si è cominciato a guardare avanti sino a selezionare al draft Lamar Jackson – per molti l’erede di Vick – e ad acquisire Robert Griffin III come backup, due qb moderni e meno convenzionali di Flacco, a dimostrazione quasi di voler “allargare” i propri orizzonti in questo settore, come ad esempio vedere due “registi” d’attacco schierati contemporaneamente. Si è ricominciata a vedere un po’ di luce col primo RB convincente da molti anni: Alex Collins, uscito dalla practice squad e reduce da una “breakout season” con 973 Yds in 212 portate e 6 TD con 4.6 di media. Il suo perfetto backup è Javorius Allen con Micheal Crabtree (dopo il taglio di Maclin) esperto guest star nel parco ricezione col quale è iniziato subito un ottimo feeling. Yanda stesso sembra essersi ripreso bene dall’infortunio nella offensive line.

Ovviamente Baltimore=Ray Lewis=Difesa!!

E difatti ancor oggi la linea annovera un pass rusher da brivido come Brandon Williams affiancato da ragazzacci affidabili come Henry, Wormley e Pierce (con recenti problemi ad un piede). L’ultimo rimasto della vecchia guardia è Terrell Suggs, accompagnato dai due giovani Tyus Bowser e Patrick Onwuasor. CJ Mosley si è guadagnato il Pro Bowl con 132 tackles mentre nella secondaria c’è stata rivoluzione con le firme della safety Tony Jefferson e di Brandon Carr che fanno da chioccia alla sedicesima scelta 2017 Marlon Humphrey in una difesa che ha confezionato lo scorso anno 22 intercetti (migliori in NFL), ma che ha fallito l’ultima e decisiva partita coi derelitti Bengals fallendo così l’accesso ai playoff. Ad oggi il record è di 3-2 frutto di vittorie esaltanti ad alto punteggio contro Bills e gli storici rivali Steelers ma anche di una frustrante prestazione offensiva contro i Browns (quelli nuovi però). Quel che conta è ricominciare a vedere una luce in fondo al tunnel dopo anni di anonimato. Le statistiche in attacco vedono i Ravens a 305 yards per game di passing con un quint’ultimo 60% e con ben 232 tentativi, segno che gli schemi sul gioco di corsa lasciano ancora a desiderare (un penoso 25° posto per yds a partita) costringendo il QB a forzare come nel recente passato! Il ringiovanimento del roster ha tolto un po’ di malumore e la gente si accontenterebbe anche di un’annata di transizione. Ciò che i fans chiedono è di rivivere un giorno i fasti che hanno accompagnato una franchigia trentennale entrata nella storia come una delle retroguardie più dominanti di sempre, in nome del grande Ray Lewis.

La vita è bella perché ognuno è libero di esprimere le proprie opinioni. Chi Vi scrive, da metà anni 80 “fulminato” da questo gioco grazie alle vecchie differite su Canale 5 del mitico Rino Tommasi, ha avuto la fortuna di vedere e studiare grandissimi difensori che hanno calcato campi di football. Lawrence Taylor, Richard Dent, Darrell Green, Howie Long, Ronnie Lott, John Randle, Reggie White, Bruce Smith (defensive end della più forte squadra di sempre a non aver mai vinto il Super Bowl, i Bills tra il ‘90 e ‘93), Junior Seau, Deion Sanders, Derrick Thomas, Aenas Williams, Champ Bailey, Warren Sapp, Julius Peppers, DeMarcus Ware, Brian Urlacher, la “Revis Island” fino ad arrivare alla Legion of Boom, JJ Watt e Aaron Donald. Sono alcuni dei tanti idoli personali che dominano e hanno dominato gli attacchi avversi. Quel che fa di Ray Lewis forse il più grande degli ultimi 40 anni è la versatilità ad interpretare il suo ruolo: mai visto un middle riuscire a coprire i terzi o quarti down sul tight-end, sul wide receiver o sugli screen-pass fatti a running back o full back; arretrare, avanzare, bloccare e correre in velocità, questo è stato #RL52.

Diciassette anni di mito e di un Impero indelebile che fanno di lui e della difesa di Baltimore un vero e proprio stile di vita, una fede, uno scrigno da custodire nel cuore. La “squirrell dance” ed i suoi memorabili discorsi pre e dopo gara hanno fatto breccia verso chiunque ami il football e si riveda nelle gesta di questi gladiatori dal cuore d’oro e da una sportività estrema rispetto ad altri sport. La consapevolezza di non vederlo più in campo negli ultimi tempi ci ha fatto venir voglia di ripetere la frase che lo ha accompagnato per tutta la vita: “Whatever you want to do, go do it”!!

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