1) I CHIEFS HANNO PASSATO IL PRIMO VERO TEST STAGIONALE

Kansas City ha già eseguito questo percorso prima, ed il bisogno di conferme ad alti livelli è stato certamente l’aspetto più evidente nel separare le vecchie edizioni di questa squadra da una reale contender al Super Bowl. Ora che si dispone di un numero congruo di partite giocate per trarre le prime – seppur non definitive – conclusioni, è fin troppo chiaro che il sistema Chiefs stia funzionando a pieni giri dal punto di vista offensivo, Andy Reid sta dirigendo come meglio non potrebbe tutto il suo arsenale di armi sfruttando la creatività che deriva dalle differenti caratteristiche atletiche dei suoi giocatori, e la produzione dell’attacco continua ad essere di un livello talmente superiore da non destare eccessive preoccupazioni per una difesa quantomeno sospetta, ma che mostra timidi segni di crescita.

Il test contro i Jaguars era di quelli veri, e ci suggerisce che i Chiefs sono maturati in una realtà capace di misurarsi anche con la pressione del dover mantenere certi ritmi e certe posizioni di classifica, perché ricordiamo che più passano le settimane, più si resta imbattuti, e più si diventa il bersaglio principale della Lega. La risposta alla sfida portata da Jacksonville e dal tipo di difesa che Mahomes doveva affrontare ci pare sia pervenuta senza mezze misure, e ci suggerisce delle potenzialità a dir poco interessanti. Un punteggio molto largo nonostante una prova non perfetta del quarterback proveniente da Texas Tech, alcuni big play pervenuti dalla difesa – il reparto maggiormente sotto esame – ed una sensazione che mai Kansas City abbia perso l’inerzia della gara contro una delle migliori contendenti che la Conference ha da offrire, sono elementi che sembrano far intuire che si sia passati ad un altro livello rispetto ai recenti flop del passato, e che probabilmente ora certe aspettative potrebbero essere mantenute.

I due primi intercetti della stagione di Mahomes non potranno che essere benefici, gli tolgono di dosso il pensiero e la distrazione di dover inseguire chissà quali insignificanti record costruiti solo per compiacere l’estremo bisogno americano di snocciolare statistiche di tutti i tipi, perché alla fine vincere il Super Bowl conta pur sempre più di tutto il resto. Inoltre gli permettono di studiare i filmati e capire gli errori, e qui ci par di comprendere che il ragazzo sia di svelto apprendimento, cercando di limitare forzature ed errori di misura per il prossimo futuro, selezionando meglio alcune conclusioni. Se, dunque, i Chiefs hanno schiantato una delle migliori difese Nfl con un Mahomes da 62.7 di qb rating vuol dire che la squadra ha trovato altri metodi per vincere, e che non è limitata nelle sue possibilità. Aiutano, e non poco, le grandi giocate difensive effettuate da Dee Ford, finalmente cresciuto secondo le aspettative dell’epoca della sua selezione al Draft, da un Chris Jones responsabile di una meta difensiva (pure di una sciocca espulsione, va detto…) e puntualmente sottovalutato quando si parla di uomini di linea d’impatto, e da un Allen Bailey che comincia ad infilare interessanti strisce consecutive di sack, nonostante il suo apporto non sia effettivamente leggibile attraverso un pugno di statistiche.

La prossima battaglia, uno scontro con dei Patriots nettamente differenti rispetto alle prime giornate, fornirà un’altra prova di maturità che ci dirà di più sul cambiamento di mentalità che questa squadra è riuscita a porre in atto.

2) L’ANNATA NERA DEI KICKER NON SI FERMA

Il ruolo di kicker sta vivendo un periodo storico del tutto particolare. Siamo nella stagione che ha definitivamente consacrato Adam Vinatieri in qualità di futuro appartenente alla Hall Of Fame grazie ad una carriera brillante, vincente, e non ultimo visto il superamento del record ogni epoca di punti segnati nella storia precedentemente detenuto dal mitico Morten Andersen, eppure la posizione di chi è chiamato ad infilare l’ovale in mezzo ai pali raramente è stata così precaria.

Parte delle motivazioni le abbiamo già analizzate nelle scorse settimane e riguardano in parte l’incidenza sul salary cap di qualcuno di questi giocatori, nonostante le tendenze più recenti indichino con estrema chiarezza che il baldo giovanotto in uscita dal College di assicurazioni ne fornisce assai poche, e che trovare il prossimo Tucker o Zeurlein non è affatto un accadimento frequente, oltre al fatto che gli infortuni sembrano giocare un ruolo molto più ampio di quanto non accadesse in passato con inguini e quadricipiti assortiti pronti a saltare da un momento all’altro. I punti fermi, oltre quelli già citati, sono davvero pochissimi e non più giovanissimi, pur contando la notevole longevità che il ruolo permette: Stephen Gostkowski, Matt Bryant e Phil Dawson (ma anche Mason Crosby, nonostante la domenica nera) sono gli altri nomi che vengono in mente quando si tratta di elencare dei giocatori che forniscano determinate sicurezze al giorno d’oggi, e nonostante la presenza di altri kicker sicuramente validi e probabilmente longevi (questo si vedrà più avanti) più di metà della Lega non sembra essersi adeguatamente stabilizzata in una posizione che spesso si trova sulle spalle responsabilità molto pesanti.

Domenica abbiamo assistito all’impietosa debacle del medesimo Crosby, già passato da crisi di rendimento ma mai per questo privo della fiducia dei suoi Packers, del quale è primatista ogni epoca per punti segnati, una prestazione nella quale le cinque conclusioni sbagliate hanno pur sempre determinato una sconfitta per Green Bay in un momento in cui una vittoria scaccia-crisi avrebbe risolto molto problematiche. Greg Joseph ha rischiato grossissimo in una gara come quella tra Browns e Ravens dove i field goal sono stati determinanti, perché oltre al calcio originariamente sbagliato per portare a casa una vittoria poi arrivata comunque dalla sua gamba, nella conclusione decisiva ha fatto bloccare la circolazione sanguigna dei tifosi di Cleveland per almeno tre secondi, ovvero il tempo di capire se quella sbilenca conclusione fosse realmente andata a destinazione. Sospettiamo che i  Browns non siano propriamente tranquilli, e di certo non vogliono affrontare l’argomento della ricerca del terzo kicker stagionale.

Poi chiaro, Graham Gano e Steven Hauschka – quest’ultimo senza dubbio uno dei migliori kicker in circolazione – ci smentiscono parzialmente e vincono due gare importantissime per le loro squadre, ma i dubbi sulla continuità nel ruolo permangono, e le stagioni vissute da giocatori come Caleb Sturgis (già quattro extra-point falliti) ed un Chris Boswell ai limiti del riconoscibile sono lì a dimostrare l’effettiva esistenza del problema.

3) I RAIDERS HANNO TOCCATO (DI NUOVO) IL FONDO

Per la famosa questione dei 10 anni e 100 milioni di dollari per quest’anno la giuria sembra già aver emanato sentenze, ed in molti – crediamo – si stanno chiedendo se valesse davvero la pena licenziare Jack Del Rio solo per assistere ad una partenza di campionato che evidenzia il come i Raiders siano una squadra senza né capo né coda. Non c’è limite al peggio, dicono, ma da quelle parti della Baia sembrano già averne viste di cotte e crude: a conti debitamente eseguiti, se Oakland non fosse riuscita ad imporsi nello pazzo shootout contro Cleveland si sarebbe ancora senza lo straccio di una vittoria, e resta il fatto che, al di là dei numeri, la squadra non sembra particolarmente competitiva, il che ci fornisce un identikit ben peggiore rispetto al già problematico anno passato.

I Raiders di questo preciso momento sono una squadra con tantissimi tappi da reperire per tentare di chiudere tutti i buchi presenti, pena l’inevitabile colata a picco. Sulla linea difensiva abbiamo già disquisito a sufficienza ed è persino inutile ripetere che ci sarebbe bisogno come il pane di una pass rush incisiva quando le decisioni prese hanno portato in direzione esattamente opposta, la linea offensiva ha problemi di infortuni e due rookie che sono stati sostanzialmente abusati dai difensori dei Chargers, e Gruden ha chiamato una partita offensiva inconsueta, dimenticandosi di qualche giocatore importante in fasi essenziali della gara.

Il flash del famoso Super Bowl perso dai Seahawks contro i Patriots non può che venire a mente seppur con le dovute proporzioni, il manuale consiglierebbe pur sempre di dare la palla a Lynch quando ci si trova sulla linea della yarda, giusto perché la Beast Mode aumenta in maniera drastica le possibilità di segnatura. La play-action chiamata ad un Carr sempre più confuso ha portato ad un intercetto in area di meta, e lo svolgimento complessivo dei fatti suggerisce uno squilibrio esagerato tra chiamate di corsa e passaggio, segno che Lynch non è stato dimenticato in una sola ed importante circostanza, come testimoniano le sole 12 azioni di corsa (solo 9 per Marshawn) contro i 33 tentativi di passaggio forzati dal ritrovarsi troppo presto con la gara fuori portata, rendendo più agevole il compito della difesa di Los Angeles. Il bello è che Carr nemmeno ha giocato malissimo, chiudendo con un qb rating di 94, ma gli intercetti stagionali sono già 8, non un buon segno.

Resta infine da risolvere la propensione della difesa a concedere big play: Austin Ekeler ha letteralmente pasteggiato sopra ai linebacker e le secondarie, nonostante il rientro dalla squalifica di Daryl Worley, non riescono a tenere sostanzialmente nessuno. L’assunzione di Gruden avrebbe dovuto cancellare la scorsa annata e tentare di ripristinare il percorso vincente del 2016, ma è chiaro che qui serve una ristrutturazione semi-totale, possibilmente con decisioni manageriali migliori di quanto visto nella scorsa offseason.

4) NONOSTANTE IL SUCCESSO SUI BRONCOS RIMANGONO DUBBI SUI JETS DI TODD BOWLES

Non si fa a tempo a lodare una difesa dei Broncos, che appariva cresciuta rispetto ad un anno fa, ed ecco arrivare puntuale una smentita composta da 219 yard su corsa concesse a Isaiah Crowell, record ogni epoca in singola partita per i Jets, condita da oltre 300 yard a favore del backfield dei bianco-verdi. Tuttavia la posizione di Todd Bowles rimane ancora non del tutto chiara e non crediamo che la pur sonante vittoria contro Denver possa modificare radicalmente le prospettive newyorkesi. La difesa dei Jets aveva molto da dimostrare dopo essere stata etichettata come potenzialmente efficace per tutta la offseason, merito di un nucleo giovane e compatto che sta progredendo di anno in anno facendo tesoro dell’esperienza, tuttavia le prime uscite non avevano fornito indicazioni esattamente positive denotando errori di esecuzione e mancanza di comunicazione, un aspetto che domenica è stato parzialmente risolto.

Bowles è uno specialista difensivo, quindi la maggior responsabilità di questi miglioramenti spetta chiaramente a lui, ma nonostante la clamorosa performance dei running back dei Jets, restano tuttavia dei profondi dubbi sul fatto che l’head coach, assistito dalla prevedibilità delle chiamate del suo offensive coordinator Jeremy Bates, possa davvero essere incisivo sulla crescita di Sam Darnold. Quando l’attacco si accende lo fa senza mezzi termini, 41 punti di media nelle due vittorie contro i 13.6 prodotti quando si perde raffigurano una statistica molto significativa che svela una doppia identità da sciogliere quanto prima, ma un’attenta analisi della situazione deve evidenziare la presenza di big play difensivi – è stato il caso del Monday Night d’apertura vinto contro i Lions – ed appunto dell’exploit su corsa generato contro i Broncos, aspetti che levano polpa alla produzione del gioco aereo. Tali fattori vanno sommati all’inesperienza che fino a questo momento ha generato un discreto rapporto tra errori e successi, con touchdown a lunga gittata più o meno giunti in uguali quantità rispetto agli intercetti che si sarebbero potuti evitare, sia per errori di misura e sia per chiamate non molto consone alla situazione.

Il rookie da Usc ha giocato molto bene contro Denver, ci sono stati da registrare ben tre passaggi da touchdown di cui due completati per un Robbie Anderson imprendibile per tutti, un intercetto causato da una deviazione, un quarterback rating di 98.1, ma una percentuale di completi del 45%, persino inferiore alla già bassa media stagionale del 55% che Darnold ha mantenuto nelle cinque gare sinora giocate. Il giovane regista di potenziale ne ha da vendere, il carattere c’è tutto perché la reazione alle avversità è arrivata tutto sommato puntualmente, insomma c’è molto su cui lavorare per giungere ad ottimi risultati e costruire il franchise qb che qui manca da secoli, ma Darnold non è in una situazione simile a quella di Goff e la chimica esistente tra quest’ultimo ed il suo capo-allenatore non è semplicemente attuabile con Bowles al comando delle operazioni, semplicemente perché le sue tendenze sono anzitutto difensive ed offensivamente conservative.

Oltre a questo la squadra ha sinora deluso parecchio ed il record degli ultimi due anni e spiccioli è di 12-25, il che fa comprendere come Bowles non navighi esattamente in acque tranquille. La fiducia è stata piena, ma un’altra stagione da cinque o sei vittorie decreterà sicuramente il sollevamento dell’ex-defensive coordinator dei Cardinals dalla sua attuale occupazione.

5) SEATTLE STA TROVANDO LA SUA IDENTITA’ OFFENSIVA

I Seahawks si sono inaspettatamente misurati più che adeguatamente contro i temibili Rams, rispondendo colpo su colpo e rischiando di vincere un confronto che non avrebbe dovuto essere alla loro portata. La questione ci sembra riguardare un reparto offensivo che sta lentamente plasmando la sua nuova identità a seguito del periodi di adattamento necessari per affrontare i grandi cambiamenti – un aspetto che ha certamente riguardato anche la difesa – ma è fin troppo chiara la differenza tra l’attacco letteralmente improvvisato e sbandato che Wilson doveva suo malgrado dirigere nelle prime due o tre gare e quello maggiormente messo a punto visto in campo nelle ultime due settimane.

La chiave per focalizzare bene le intenzioni di Pete Carroll riguarda il gioco di corse, cui è richiesta una certa dose di produttività per porre in atto tutte le conseguenze positive del caso. Chris Carson ha offerto la seconda gara consecutiva da oltre 100 yard e Mike Davis ha collaborato con altre 68 e la terza segnatura delle sue ultime due apparizioni, ed il solo fatturato registrato contro Los Angeles parla di quasi 6 yard a portata in combinata. Ciò evidenzia l’essenziale importanza dell’equilibrio offensivo, perché Wilson è passato dai 34.5 tentativi di media delle prime due partite – altrettante sconfitte – ai 24.3 degli scontri più recenti, che hanno evidenziato la vera natura dei Seahawks e portato due vittorie ed una quasi-affermazione contro una delle due migliori squadre di tutta la Lega. La produttività della combo formata da Carson e Davis, alimentata da una linea offensiva lodevole nel creare spazi in mezzo ai vari Donald, Suh e Brockers, ha aperto i giochi in play-action generando big play a ripetizione per Tyler Lockett e spiegando le oltre 15 yard di media per completo che Wilson è riuscito a mantenere in una gara così delicata, nella quale ha sì dovuto improvvisare tirando fuori le consuete magie dal cilindro, ma senza essere forzato a farlo.

Questo ci suggerisce che Seattle non è in totale decadimento per l’improvvisa assenza della Legion Of Boom originale o per il cambio di residenza di Jimmy Graham, sotto c’è una struttura solida che può perlomeno competere in singola partita contro il meglio che la Lega possa offrire, magari correggendo dei significativi errori senza i quali oggi magari vedremmo i Rams non più imbattuti. Si tratta di non farsi eccessivamente prendere dall’adrenalina della situazione, come quando – su un quarto e due con un vantaggio di sette punti – Shaquill Griffin ha rovinato addosso a Robert Woods ancor prima che arrivasse il pallone generando di fatto la meta del pareggio, oppure il non sprecare ottime posizioni di campo commettendo penalità offensive con la gara pronta ad essere vinta, e ritrovarsi a metà campo con un terzo e 23 impossibile da convertire.

6) GLI EAGLES HANNO ANCORA TEMPO PER CORREGGERE LA ROTTA

A Philadelphia si è già pareggiato il totale delle sconfitte della scorsa regular season, ed è chiaro che le prestazioni di squadra non siano vicine alla semi-perfezione vista lo scorso anno, a dimostrazione di quanto sia difficoltoso ripetersi nella Nfl. Essere campioni in carica non garantisce nulla, se non altro nel caso degli Eagles c’è ancora molto tempo per rimediare e soprattutto i problemi non nascono da difetti di talento a roster o da dubbi susseguenti al rientro di Carson Wentz dall’infortunio, ci sono invece molti mea culpa da recitare tutti assieme ed errori da correggere alla prossima occasione utile, una lezione che Phila può dimostrare di aver appreso sin dalla prossima uscita.

Alcuni numeri interessanti dimostrano che una maggiore efficienza nella gestione dei possessi in redzone ed una drastica diminuzione delle penalità potrebbe portare i propri frutti fin da subito. Un anno fa gli Eagles avevano concluso il 65% dei loro possessi nelle ultime 20 yard con una meta, una percentuale che nella porzione di campionato attuale è scesa di ben nove punti-percentuale e che ha toccato il 40% nella singola gara persa in casa contro i Vikings. Le penalità prese costano posizioni di campo troppo importanti, spiegando in parte la mancata efficienza di cui sopra e l’alternanza nel ritmo offensivo, ed anche in questo settore la differenza con il 2017 è abissale, proprio come i risultati attuali nel differenziale tra palloni persi e recuperati, dove i primi stanno costando tantissimi potenziali punti.

Philadelphia può essere quella dello scorso campionato, lo dimostra il secondo tempo disputato contro i Vikings dove gli uomini di Pederson stavano per riuscire a concretizzare una rimonta in una delle gare di Conference più importanti dell’anno, ma perché ciò accada è necessario evitare di perdere palloni all’interno delle 10 yard avversarie come accaduto ad un Jay Ajayi peraltro fuori per la stagione a causa della rottura del crociato anteriore – un bel problema, ma questi sono pur sempre quelli che hanno vinto senza il loro quarterback titolare – oppure concedere un big play dietro l’altro a ricevitori del valore di Thielen, tra cui un gioco di 68 yard ai danni di Jalen Mills.

Ci sarebbero infine da migliorare alcune decisioni sulla conduzione della partita, come il challenge sprecato da Perderson per contestare una chiarissima ricezione di Stephon Diggs, o la decisione di convertire da due punti sul 12-20, aggressiva ma non sempre fruttuosa. Questo dimostra che gli Eagles per risolvere i loro problemi possono cercare tranquillamente in casa, e che la risoluzione non è complessa come indica il 2-3 attualmente in bilancio.

7) I BENGALS SANNO COLPIRE NEI MOMENTI DECISIVI

Tra le più grandi sorprese di questo 2018 non possiamo esimerci dal menzionare i Bengals, che non ritenevamo pronti per frequentare le più alte vette della Afc North viaggiando a quota 4-1 pur senza essere una compagine dominante. La chiave dei successi di Cincinnati sta nel saper eseguire grandi giocate quando più conta, ovvero nei quarti periodi, momenti nei quali la squadra di coach Lewis ha saputo girare l’inerzia delle gare a proprio favore, soprattutto grazia alla costanza difensiva nel recuperare palloni se non addirittura di segnare mete determinanti per delle vittorie spesso ottenute in rimonta.

Certo, questo si chiama anche rischiare grosso, perché non è detto che le coincidenze proseguano su questo binario e le partite, per essere consistentemente vincenti, bisogna saperle mettere via anche prima di giungere alle ultime risorse disponibili, però ad oggi i Bengals hanno generato un turnover in quattro distinte circostanze delle ultime cinque gare, e tre di esse hanno visto un difensore riportare l’ovale in meta decidendo di fatto l’esito della partita. Le imprese sono quelle firmate da Clayton Fejedelem, autore del fumble forzato e conseguentemente riportato in meta ai danni dei Colts; Shawn Williams, abile nel togliere il pallone dalle mani di Joe Flacco consentendo il field goal della tranquillità; Carl Lawson, che ha atterrato Matt Ryan strappandogli l’ovale permettendo l’inizio del drive vincente con cui Cincinnati ha rocambolescamente superato Atlanta ad un secondo dalla fine; si termina infine con Michael Johnson e Sam Hubbard, componenti di una linea difensiva che ha segnato due mete in faccia ai Dolphins contribuendo a cancellare il 17-3 di parziale che Miami aveva costruito fino a terzo quarto inoltrato, innescando il letale parziale di 24-0 con cui i Bengals hanno chiuso la pratica della domenica appena trascorsa.

Le tendenze, possibilmente, vanno poi mantenute. E qui casca a fagiolo l’imminente impegno contro gli Steelers, che dovrebbe fornire maggiori indicazioni della possibile maturità di Cincinnati di fronte agli impegni di un certo tipo, contro una squadra battuta solamente 8 volte nei 24 tentativi dell’era-Lewis, un numero impietoso che ha sempre fatto comprendere piuttosto chiaramente quale fosse il più chiaro ostacolo in grado di demoralizzare con perfida  puntualità le ambizioni dei Bengals. La consistenza di Andy Dalton, A.J. Green e Joe Mixon e qualche altra grande giocata difensiva potrebbero riscrivere la storia più recente e permettere a Cincinnati di allungare il passo sulle dirette concorrenti con un ottimo bilancio divisionale, rafforzando quella necessità di fiducia che i numerosi passi falsi effettuati dai Bengals sono andati vicino ad azzerare in troppe occasioni

8) BREES HA FATTO LA STORIA, ED I SAINTS POSSEGGONO RINNOVATE AMBIZIONI DA SUPER BOWL

Quanto accaduto a Drew Brees lunedì notte non poteva coinvolgere un atleta migliore, con quella storia di sottovalutazione eterna trasformatasi fino a diventare la testimonianza vivente della rinascita di una città. Brees è il passatore di yard più prolifico nella storia Nfl, roba da consegna della giacca dorata senza passare dal consueto primo scrutinio dell’apposita commissione, ma soprattutto, per l’ennesima stagione, è il leader totale di una squadra che dopo una prima gara assai difficoltosa da mandare giù è cresciuta a tal punto da non fermarsi più, infilando una serie di affermazioni che somigliano molto alle strisce positive inanellate durante la sorprendente stagione scorsa.

Nel battere il record Brees ha contemporaneamente confermato la potenza di un attacco mortifero, i Saints hanno segnato 40 o più punti in tre delle cinque uscite affrontate disponendo di una potenza di fuoco di pura eccellenza, che nel più recente Monday Night ha pure ritrovato l’agile potenza del precedentemente squalificato Mark Ingram, tutto ciò che serviva per dichiarare completo un reparto offensivo che da anni fornisce fuochi artificiali a volontà e che sta viaggiando con soddisfacente equilibrio, pur dovendo evidenziare che le difese sinora affrontate non sono state tra le più irresistibili che si potessero incrociare. Le cose andavano già benone anche prima che il puzzle fosse interamente ricomposto, ed ora che New Orleans può nuovamente sfoggiare la sua combo di running back, unitamente a Michael Thomas ed al resto di una batteria sempre magnificamente innestata dalle conclusioni di Brees, c’è davvero motivo di pensare che la squadra di Sean Payton rimanga assai ardua da sovrastare per produzione di yard ed accensioni assortite dello scoreboard.

In queste settimane si sono visti anche i progressi di una difesa che non ha cominciato il proprio cammino con il piede corretto, quando si pensava che si proseguisse a costruire sulle solide fondamenta già erette nel 2017 grazie ai numerosi e giovani protagonisti del reparto, e la situazione ha cominciato a farsi davvero interessante. La cosa coincide con il progressivo affondare dei Falcons, già battuti dai Saints in un’autentica sparatoria western, e con un livello generale di Conference senz’altro più basso del dovuto, con Eagles, Packers, Vikings e la stessa Atlanta alle prese con notevoli handicap nelle distanze da coprire in classifica, lasciando agli onnipotenti Rams ed ai rivali divisionali dei Panthers il ruolo di uniche vere preoccupazioni nella strada che conduce ai piani più alti della Nfl.

La difesa dei Saints non sarà la migliore della Nfl, ma ha intanto cominciato a limitare i danni scendendo sotto le 300 yard passive per la seconda partita consecutiva, un fattore che potrebbe bastare per continuare ad accumulare vittorie in presenza di un reparto offensivo di questa caratura. New Orleans dovrà affrontare a breve molte delle squadre citate sopra e questo ci fornirà un quadro migliore della loro situazione, ma l’impressione è che la squadra possa essere pronta – ad un mese di distanza dalla scoppola rimediata da Fitzpatrick – a recitare un ruolo di primaria importanza nel tentare di presenziare ad un prossimo Super Bowl che costituirebbe il grande coronamento della carriera dell’oggi neo-recordman.

9) I TEXANS PRODUCONO MOLTO MA NON SEGNANO

Per spiegare parte delle ragioni per cui i Texans sono fermi a quota 2-3, è necessario non allontanarsi troppo dalla produzione offensiva. L’analisi del rapporto tra le yard generate da un attacco senza dubbio prolifico e touchdown finalizzati non mente, e racconta molto bene la storia di dove Houston sarebbe e dove si trova adesso con una sostanziale differenza di concretezza. Il reparto guidato da Deshaun Watson è quarto in assoluto per yard totali, settimo per i passaggi e decimo per le corse, posizioni di ranking che normalmente permettono di generare una quantità ben maggiore di mete rispetto alle sole 8 ottenute dai Texans in relazione alla frequenza con cui la squadra giunge nelle ultime 20 yard.

Complice anche una percentuale di conversione di terzi down molto bassa – solo il 38.5% – il trend si è sinistramente ripetuto nello scontro tutto texano contro i Cowboys, partita nella quale Houston ha fatto ingresso in redzone in ben sei occasioni, uscendone con un misero touchdown arrivato da uno shovel pass. Anche stavolta, dunque, super-lavoro per Ka’imi Fairbairn nonostante un congruo numero di big play che sono andati a costruire le 372 yard su passaggio di Watson, ivi includendo anche le magie di DeAndre Hopkins e le galoppate frenetiche di Alfred Blue, tutti sforzi che hanno reso ben 170 yard in più rispetto a quanto offerto da Dallas nonostante la gara sia stata vinta solo grazie ad un field goal in overtime.

Uno degli aspetti più sorprendenti riguarda il fatto che l’inefficienza non è nemmeno causata dalla pressione – i Texans hanno concesso un solo sack a Dallas nonostante l’ennesimo assortimento differente nella composizione della linea offensiva – si tratta più che altro di esecuzione e logica nella chiamate, come dimostrano le numerose occasioni sprecate una volta giunti all’interno delle 5 yard di Dallas, luogo che Houston ha visitato in quattro circostanze ricavandone una meta, un poco accettabile 25% di successo.

In questo modo si possono vincere ugualmente delle partite per 19-16, vero, ma ci vogliono comunque giocate impossibili da parte del proprio miglior ricevitore a consentire il consono posizionamento per il field goal decisivo. I Texans avrebbero potuto segnare comodamente una trentina di punti e chiuderla molto prima, e questo alla lunga potrebbe diventare nocivo nel possibile computo tra vittorie e sconfitte quando il gioco di farà più duro.

10) I GIANTS NON RIESCONO AD USCIRE DALLA MEDIOCRITA’

Da quando vinsero il Super Bowl XLVI battendo per la seconda volta i Patriots nella finalissima, i New York Giants si sono qualificati per i playoff una sola volta nelle ultime sei stagioni. Dopo il 3-13 dello scorso campionato, uno dei peggiori record della loro lunga ed onorata storia, la partenza di 1-4 attualmente in dote non depone a favore di chissà quale ripresa istantanea, lasciando la netta impressione che la squadra sia rimasta nello stesso buco scavato dalla parte conclusiva della breve gestione manovrata da Ben McAdoo, oggi sostituito sulla sideline da Pat Shurmur senza grosse differenze nei risultati portati a casa.

Non tutto dev’essere necessariamente visto così negativamente nonostante il nuovo accumulo di sconfitte non sia d’ausilio per portare il buonumore in uno spogliatoio già caldo di suo grazie alle frequenti uscite mediatiche di Odell Beckham, se non altro la squadra ha difatti mostrato qualche segno di vita rispetto alla totale mediocrità del 2017, lottando per recuperare i passivi, cercando di correggersi, e pure facendo i dovuti conti con un pizzico di sfortuna. Eli Manning alterna di continuo ottime giocate ad altre francamente incomprensibili, Saquon Barkley sta smascherando i critici di domenica in domenica facendo rimangiare loro tutto il vociare sulla necessità primaverile di prendere il quarterback del futuro e di non saltare su un running back con la seconda scelta assoluta dello scorso Draft, il tanto discusso Ereck Flowers, una prima scelta valutata davvero male, è stato tagliato mettendo fine a tutti i discorsi concernenti il basso livello delle sue prestazioni in fase di protezione del quarterback, e Beckham ha finalmente rotto il digiuno di touchdown inventandosi pure passer per un’azione, incidendo positivamente sul tentativo di rimonta su dei Panthers salvati solo dal miracolo di 63 yard scagliato dal piede di Graham Gano.

Sfortuna, certo, che ricorda pure il missile di 61 yard che un allora sconosciuto Jake Elliott infilò tra i pali un anno fa beffando anche all’epoca i Big Blue allo scadere, ma anche tanti rimproveri da fare a se stessi. La meta concessa a Curtis Samuel, una ricezione giunta da uno screen pass apparentemente inoffensivo, ha visto ben quattro difensori – tra cui Landon Collins – sbagliare completamente il placcaggio subendo una meta assai frustrante; gli special team sono talmente messi male da costringere all’utilizzo di Beckham per tentare di combinare qualcosa di serio ed hanno innescato una giocata assurda che ha generato il touchdown del safety Colin Jones – a conti fatti la differenza nel 33-31 con cui i Panthers si sono imposti – e la difesa non ha saputo capitalizzare su un fumble forzato a Newton nel secondo periodo, non riuscendo a ricoprire il pallone se non quando questo si trovava già fuori dal campo.

La produzione offensiva è limitata da tutte quelle situazioni che hanno portato a perdite di terreno, non a caso i Giants sono nei bassifondi di Lega per quanto riguarda i sack subiti ed hanno finora confezionato ben 49 situazioni di yard al passivo in 278 snap possibili – comprendendo nel conteggio anche le 16 penalità accettate dagli avversari – quasi il 18% delle chiamate complessive non è quindi risultato efficace. La difesa non riesce a mettere pressione ai registi che incontra e soprattutto non crea turnover a sufficienza, con l’aggravio dell’aver concesso già quattro prestazioni oltre le 100 yard su corsa nei cinque confronti sinora giocati.

Non è un quadro pessimo come potrebbe sembrare ma di certo non si può sostenere che i Giants abbiano ritrovato la strada che conduce ad un’atmosfera più respirabile. Si profila un’altra stagione ricolma di pazienza.

6 thoughts on “Ten Weekly Lessons Week 5: Chiefs e Rams allungano, Brees frantuma record

    • Pats di sicuro, poi a novembre c’è il Monday Noght messicano contro i Rams, che a questo punto sarà la partita dell’anno.

  1. Sarebbe da sapere quanti di quei 10 anni di contratto di Gruden siano veramente garantiti,ma non se ne può più di ripartire ogni due-tre anni da zero -o quasi- per le demenziali bizze di Davis jr. anche quando sembra di aver messo su qualcosa che possa dare FINALMENTE risultati.

    • Vero Angelo, tra l’altro sembra che nemmeno i 100 milioni siano poi così veritieri, ma questo lo sa solo chi ha fimrato fisicamente quel contratto. I Raiders mi sembrano i miei Redskins, vecchie glorie decadute senza solide fondamenta e senza una direzione. Il bello è che entrambe sfoggiano un membro della famiglia Gruden.

      • Ah,allora bisogna sapere per conto di chi sono in “missione” i Gruden perchè se dai via Crabtree,Patterson,M. King ed anche Tavecchio qualche sospetto viene,se poi c’aggiungi,per di più poco prima dell’avvio di stagione,anche Mack e per due bruscolini (scelte) allora il sospetto diventa certezza 😃.

        • Senza pensare al dentro-fuori di Martavis Bryant, con tutti i drop che ha commesso finora…

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