1) LA POTENZA DI FUOCO DEI RAMS E’ ADDIRITTURA MIGLIORE DELLO SCORSO ANNO

Un anno fa stavamo parlando dell’effetto-sorpresa, oggi, nonostante le conferme a cui la squadra del giovanissimo Sean McVay avrebbe dovuto fornire, stiamo parlando di una piacevolissima realtà. E’ presto per muovere paragoni illustri, non ci sentiremmo di azzardare alcun che imitando quanto fatto nel fine settimana da Peter Schrager, noto insider Nfl, e non definiremmo l’attuale trio di ricevitori dei Rams come il migliore di ogni epoca, che sembra più che altro una frase ad effetto buttata là per creare effetti mediatici inevitabili. Magari un giorno lo saranno anche, ma prima c’è da eguagliare The Greatest Show On Turf, mica robetta da due soldi.

Senza andare fuori tema, proseguiamo però sui nostri binari: giovane o meno, McVay sta dimostrando di essere uno stratega offensivo di primissima fascia, dopo un mese di campionato L.A. sta segnando ben sei punti di media in più a gara rispetto a quanto fatto nella stagione scorsa – anche qui, calcoli parziali, però significativi – e la cosa curiosa è che il dato è il secondo di tutta la Lega, un segno dell’ulteriore propensione offensiva di una Nfl che sta mettendo oramai in crisi un po’ tutte le difese. McVay ha ridotto a brandelli quella molto titolata – almeno sulla carta – dei Vikings, che mai a questo mondo si pensava potesse elargire un fatturato in tripla cifra a tre differenti wide receiver.

Sean McVay e Jared Goff sono arrivati da sostanziali esordienti nei loro rispettivi ruoli, hanno stretto il loro patto d’acciaio senza destare sospetti e stanno crescendo a velocità vertiginosa, tenendo ritmi da vero e proprio dominio della competizione. Los Angeles viaggia come un treno, imbattuta ed apparentemente piena di quell’esperienza mancante durante i playoff dello scorso campionato, momento nel quale, pur nella negatività della sconfitta, la squadra ha indubbiamente costruito basi importanti per ciò che stiamo vedendo oggi e dovremmo vedere in postseason. Robert Woods è stato una bella scoperta, perché diciamocelo spassionatamente, a Buffalo non è che si riesca a capire un granché riguardo la bontà di un ricevitore, ci vorrebbe anche un buon quarterback. Cooper Kupp è una grandissima pesca di terzo giro del Draft 2017, segno che il coaching staff aveva già le idee chiare, ed oggi ci ritroviamo a chiederci come McVay riesca a creare situazioni di gioco che accoppiano il giovane wide receiver con dei linebacker, tutti battuti da una serie di mismatch atleticamente impossibili. E poi c’è Brandin Cooks, la ciliegina sulla torta di questa stagione, un giocatore che per motivi del tutto inspiegabili fatica a trovare una fissa dimora in Nfl. Ma quel tempo sembra già terminato, ed il suo futuro losangeleno sembra davvero ricco di nuove soddisfazioni.

La difesa, messa alla prova contro attacchi di valore come quelli di Chargers e Vikings, ha concesso parecchio in termini di punti e yard ma, in particolar modo contro Minnesota, quando ci si misura con reparti offensivi altrettanto esplosivi l’importante è non spezzarsi. In fondo, il numero più importante è sempre quello delle sconfitte: finché il dato recita zero e tutta l’inerzia è a favore, non c’è che da star tranquilli.

2) I PATRIOTS STANNO ENTRANDO IN RITMO, COME SEMPRE

Preoccupati per la fine della dinastia? Un pochino sì. Disperati al punto di non saper dove correre ai ripari? No, vorrebbe dire non aver imparato a conoscere bene la squadra di Bill Belichick. Come già accaduto negli anni scorsi, quando sovviene la necessità di uno statement game coi fiocchi i Patriots non deludono veramente mai, quando li si dà per finiti hanno una puntualità quasi perfida nel ribaltare le sentenze negative. Ed oggi, nonostante la classifica racconti una storia apparentemente differente, il netto dominio dei Dolphins chiarisce che forse la squadra di testa non è quella che merita di campeggiarvi, ultimo di una serie di sassolini che Belichick ed i suoi giocatori si sono tolti portando a casa qualche Vince Lombardi Trophy anche in quelle occasioni in cui la più grande macchina da football dei tempi moderni sembrava giunta in dirittura d’arrivo.

Brady frustrato per la mancanza di produttività offensiva, Patriots senza ricevitori di rilievo e disperatamente bisognosi di Edelman, che sarà della compagnia a partire dall’imminente gara contro Indianapolis, e smentita pronta, anche per noi. Invece, le giocate decisive arrivano dalla ricezione e corsa di 55 yard di Cordarelle Patterson, un big play che dalle parti di Foxboro nel 2018 non avevano ancora visto, un’acrobatica presa di concentrazione posta a referto da Philip Dorsett, uno dei progetti di Belichick, Josh Gordon che intanto è rientrato dall’infortunio ed ha quindi la possibilità di acclimatarsi un po’ alla volta e familiarizzare con il playbook. Un bel pacchetto di notizie che, quando arrivano tutte assieme, non possono che fare la felicità di chi le riceve, oltre al fatto che si può vincere anche senza un Gronk da 120 yard.

Questo non deve necessariamente ribaltare di 180 gradi la valutazione sulle prospettive dei Patriots, perché negli anni la Afc East ha abituato alla mediocrità ed alla discontinuità e non sappiamo ancora effettivamente di che pasta siano fatti i Dolphins, questo ce lo dirà senz’altro la loro capacità reattiva dopo questa sonora sconfitta. Jets e Bills, tanto per cambiare, possiamo invece permetterci di non includerli nel discorso. Arriveranno prove più dure per New England, all’orizzonte c’è un tremendo showdown contro i Chiefs, gli stessi che avevano maltrattato Belichick anche senza Mahomes in campo, e c’è un campionato tutto da giocare per dimostrare che, in qualche modo, le lacune possono essere di nuovo nascoste meglio di quanto riescano a fare gli altri. E che si può vincere anche contro le avversità, contro i nuovi infortuni di Burkhead, sostituito da un Sony Michel in grande spolvero, e con i giocatori di utilità che non primeggiano nelle statistiche ma passeggiano spesso e volentieri in meta come James White. Ed una difesa che, dopo aver preso 25 punti a gara, si permette di lasciare il preciso Tannehill quasi all’asciutto.

Se primo passo doveva essere, ha pure fatto parecchio rumore…

3) AI VIKINGS SERVE UNA STERZATA DIFENSIVA

Nel Minnesota c’è indubbiamente aria di crisi, non era questa la maniera in cui Mike Zimmer aveva immaginato di concludere il primo mese di un cammino che prometteva ai Vikings di essere tra i protagonisti assoluti della Nfc. Nonostante la firma di Cousins abbia generato l’ascesa alle primissime posizioni statistiche per il gioco aereo le ultime due uscite hanno svelato parecchi problemi difensivi, per i quali sussistono delle attenuanti se analizzata la prova contro i Bills della settimana scorsa date le ingenerose posizioni di campo regalate dai turnover dell’attacco porpora, ma sui quali gravano come macigni le 556 yard di total offense elargite ai Rams.

Una stagione è differente da quella successiva, per carità, ma ricordiamo che non molto tempo fa Minnesota possedeva un’unità difensiva che aveva concesso la minor quantità di punti nel 2017 subendo solamente 2.5 giocate di media superiori alle 20 yard. I Rams, nella sola nottata di giovedì, ne hanno confezionate sette ivi includendo dei touchdown di 70, 31 e 47 yard, portando la media registrata dai Vikings a 4.25 nelle quattro esibizioni del nuovo campionato, un dato amplificato dai 5 passaggi vincenti di Jared Goff, ma già ben esposto nelle settimane precedenti. Sean McVay e la sua relativa esperienza hanno vinto la partita a scacchi contro la mente difensiva di Mike Zimmer, una frase incredibile da scrivere, ma tant’è.

Il giovane head coach di Los Angeles ha perfidamente trovato ogni mismatch possibile ed immaginabile, sfruttando la capacità di Goff di muovere i safety con minimi movimenti di spalla togliendo l’aiuto profondo al cornerback, che nel frattempo aveva già perso l’uno contro uno. E spesso la costruzione delle tracce ha portato i rapidi ricevitori giallo-blu ad abbinarsi in gare di velocità impari, che hanno coinvolto un Anthony Barr isolato contro giocatori troppo sfuggenti per essere contrastati, spiegando le numerose situazioni in cui non si è vista nemmeno l’ombra di un defensive back vicino all’attaccante di turno.

Non c’è molto tempo per trarre le opportune considerazioni in vista dello scontro-chiave contro Philadelphia, che arriverà dopo la bye week dei Vikings e – pur essendo ancora nelle fasi iniziali del campionato – potrebbe già significare il non potersi permettere passi falsi di alcun genere. Minnesota ha vinto una sola partita dall’inizio dell’anno, il pareggio contro i Packers pesa contro la classifica della Nfc North, ed urge una vittoria che possa ristabilire l’entusiasmo nello spogliatoio.

4) LE DECISIONI PRIMAVERILI DEI BROWNS STANNO PAGANDO I LORO DIVIDENDI

Una squadra che ha sprecato una notevole quantità di munizioni nelle scorse edizioni del Draft sembra essersi ravveduta quest’anno, a seguito dell’ulteriore accumulo di scelte di cui i Browns hanno disposto nelle classiche tre giornate di fine aprile. Sul saper vincere c’è ancora molto di cui discutere nel quartier generale di Cleveland, ma i segnali sono buoni ed i risultati sembra possano arrivare, un pochino alla volta.

Si è discusso molto sulla strategia dei Browns in occasione dell’ultima tornata di scelte, perché come sempre accade le opinioni sono differenti ed ognuno avrebbe preso decisioni diverse da un altro, ma alla fine tutto sembra avere un senso e prendere forma nella maniera corretta, una sentenza che dopo le prime quattro settimane di gioco ci sentiamo di poter scrivere con una certa dose di sicurezza, e grazie all’avvaloramento dato dai fatti. Poche discussioni su Baker Mayfield, si sapeva essere un talento tra i migliori a disposizione nel ruolo di quarterback nonostante la sua selezione al primo posto assoluto abbia destato una buona quantità di sorpresa, certo è che in una partita e mezza l’ex-regista di Oklahoma ha già fatto vedere tante belle cosucce che si sapevano essere nelle sue potenzialità, ed anche se è necessario l’accumulo di esperienza soprattutto nella gestione della presenza nella tasca, non si può dire che l’attacco dei Browns non sia molto più pimpante da quando c’è lui a dirigere le operazioni, basta guardare il numero di big play confezionati nella sola partita disputata ad Oakland.

La vera discussione riguardava la scelta numero quattro, e la necessità di non farsi sfuggire Bradley Chubb, un pass rusher di notevole impatto che avrebbe certamente aumentato il livello di pericolosità di un front seven già bello sovraccarico della presenza di Myles Garrett. Cleveland, che secondo gli insider avrebbe sciolto le proprie riserve interne solo poche ore prima della manifestazione, gli avrebbe poi preferito Denzel Ward per venire incontro alla necessità di migliorare istantaneamente le secondarie, ma anche per aiutare la pass rush aggiungendo un corner in grado di cancellare le tracce dei ricevitori e rendere più lunga la presenza del pallone nelle mani del quarterback, tutto ciò che sarebbe servito a Garrett per aumentare il suo fatturato in termini di sack. A conferma del fatto che i Browns non hanno scommesso troppo lasciando perdere una cosa sicura come Chubb a favore di Ward, abbiamo le giocate d’impatto messe assieme da quest’ultimo, un segno evidente dell’aver centrato le proprie esigenze. Due intercetti, un fumble forzato, uno recuperato, un rendimento fino a questo momento molto soddisfacente in termini di copertura costituiscono tutte le prove a favore del buon operato di John Dorsey e Hue Jackson in fase valutativa.

Da domenica è diventato evidente anche un altro fatto, quello che i Browns hanno scelto il Chubb che a loro faceva più comodo con una delle due selezioni di secondo giro, quel Nick proveniente dal ricco backfield dell’università di Georgia, un altro elemento in grado di alimentare i big play che da quest’anno fanno finalmente parte del repertorio di Cleveland. Con Hyde a prendersi le maggiori responsabilità nelle portate, Chubb sembra bilanciare molto bene il tutto fornendo quella componente esplosiva che ha permesso due touchdown di 63 e 41 yard, due accelerazioni tremende in campo aperto che hanno lasciato senza risposte la già precaria difesa dei Raiders, uno spettacolo visivo ben lontano dall’immobilismo semi-permanente del disastroso 2017.

Con il tempo i Browns impareranno a vincere con maggior costanza. Oggi sono uno spettacolo per gli occhi, e soprattutto sembrano aver investito correttamente sul loro futuro dopo anni di risorse gettate al vento.

5) I FALCONS STANNO COLANDO A PICCO A CAUSA DELLA DIFESA

Al reparto offensivo dei Falcons non si potrebbe chiedere una produzione migliore. Dopo l’infelice uscita di Philadelphia, con la partita d’apertura persa per quell’ultima azione evidenziante l’incapacità di affrontare adeguatamente le ultime 20 yard, l’attacco di Atlanta è letteralmente esploso producendo quasi 450 yard di media nelle successive tre uscite, aggiungendovi poco meno di 35 punti a partita. Matt Ryan, in collaborazione con la fragorosa esplosione di Calvin Ridley, ha lanciato per più di 1.000 yard con un rapporto tra mete ed intercetti di 10 a 1, eppure i Falcons navigano in acque assai poco felici a quota 1-3.

Dato che c’è una spiegazione logica per tutto, le responsabilità del crollo non possono che andare in direzione di una difesa che non riesce a contenere nulla di ciò che gli si para davanti ogni domenica. L’assenza di Deion Jones, Ricardo Allen e Keanu Neal si sente, eccome. Tanti backup senza esperienza equivalgono ad un reparto che deve ritrovare il suo collante ideale, problemi di comunicazione nelle fasi pre-snap e problemi di esecuzione per chi, magari, non ha mai provato con la prima squadra. Ne è esempio l’azione che ha deciso negativamente la sfida contro i Bengals, nella quale la difesa dei Falcons è tornata a giocare a zona: lo schema è stato giocato per tutto il primo tempo permettendo a Dalton di trovare vuoti ovunque e colpire ripetutamente i suoi ricevitori, mentre nel secondo tempo, con una copertura a uomo e maggiori possibilità di pressione sul quarterback, è arrivata la rimonta fino al sorpasso che pareva essere definitivo. La meta di A.J. Green nasce invece dal ritorno alla zona, con tutta l’intenzione di concedere una ricezione ed effettuare un placcaggio prima dell’area di meta con il tempo in procinto di scadere, ma è stato decisivo l’errore di inesperienza del cornerback Isaiah Oliver, una matricola, che distratto dall’osservare Giovani Bernard non è indietreggiato in maniera sufficiente per coprire il numero 18 di Cincinnati, concedendo la meta della staffa con un solo secondo da giocare.

Il fatturato delle ultime tre uscite parla di 460 yard passive a partita, una cifra lontanissima dagli standard di qualsiasi squadra punti al Super Bowl. La difesa non tiene nelle conversioni di terzo down, fattore che genera inevitabile accumulo di stanchezza, e l’80% nelle occasioni in cui l’attacco avversario va a segno una volta entrato nelle ultime 20 yard è una chiara testimonianza della totale assenza di big play difensivi, tutto ciò di cui i Falcons necessiterebbero per controbilanciare un attacco che sembra aver finalmente risolto tanti dei suoi problemi.

6) I BRONCOS SONO CRESCIUTI, MA SEMBRA MANCARE SEMPRE LA STESSA COSA

A Denver il pubblico non è abituato ad attendere, merito della storicamente giudiziosa gestione della franchigia da parte della famiglia Bowlen, nel quale trentennio passato a capo delle operazioni non ha mai posto in atto ricostruzioni di sorta. Possiamo dunque immaginare cosa sia significato terminare il campionato scorso con sole cinque vittorie all’attivo in coincidenza dell’avvento di un nuovo head coach, così poco tempo dopo aver vinto il Super Bowl con una leggenda come Peyton Manning a dirigere gli schemi offensivi. Il lato positivo è che, come sempre, i Broncos si rialzano sempre molto presto dalle batoste, e quest’anno, al di là del loro bilancio, è senza dubbio più roseo di quello scorso.

La squadra ha fatto molti progressi, la difesa è tornata a mordere dopo essere scesa di rendimento a causa delle secche offensive patite nel 2017. Denver ha messo in piedi una partita difensiva di grande efficacia contro Patrick Mahomes e quell’attacco governato da menti aliene, i Chiefs hanno vinto, ma fino a questo momento non avevano mai faticato così tanto per riuscirvi. Di questi tempi 27 punti subiti da Kansas City non sono affatto tanti, ma non ci si fermi ai numeri per giudicare una gara preparata davvero bene: in particolar modo nel primo tempo l’aggressività dei defensive back ha fatto la differenza nelle situazioni di run/pass option, che normalmente fruttano grossi guadagni a Travis Kelce, che nei primi trenta minuti ha patito la fisicità dei safety e la loro rapidità d’intervento; Mahomes non ha fatto quello che ha voluto, spesso ha dovuto improvvisare sotto pressione, e molte delle giocate decisive del secondo tempo sono emerse dal suo indubbio istinto.

La domanda però è troppo intrigante per non riuscire a farsela: avrebbero portato a casa la gara questi Broncos se fossero stati capaci di confezionare dei big play nel quarto periodo? La nostra impressione è nettamente positiva, perlomeno a giudicare dal come lo scenario era stato preparato. Già detto della difesa va sottolineata l’efficienza dell’uno-due di matricole che compone l’attuale backfield, con Royce Freeman a sbattere prepotentemente contro i placcaggi avendo pure la capacità di cambiare direzione e l’inatteso Philip Lindsay – uno dei misteri più grandi del Draft, dal quale non è uscito il suo nome – a fornire la componente più elettrica, un tandem che non ha avuto grossi patemi nel perforare la difesa degli ospiti. E poi c’è l’annosa questione quarterback, e ci si chiede quali siano i limiti nelle richieste che si possono fare a Case Keenum, preso appositamente per dimostrare che quei problemi non ci sono più.

Se il metro di giudizio deve andare al di là di cifre non pessime (21/33, 245 yard, un intercetto), sembra che l’ex-regista dei Vikings non abbia al momento risolto la necessità di avere qualcosa in più di un buon gestore dei possessi offensivi, perché la situazione creatasi contro i Chiefs presupponeva di dover vincere la partita elevando il proprio livello di gioco, e parte dell’enigma-Keenum sta proprio qui. La questione che dirigerà in parte la stagione di Denver pensiamo sia racchiusa nella capacità di Case di generare grandi giocate con la partita sul filo di lana, ed il Monday Night non ha fornito indicazioni in merito. Se poi gli fosse favorevole il sistema offensivo dei Vikings o semplicemente avesse dei ricevitori di maggior talento, questo lo capiremo nel prosieguo del percorso di questi in ogni caso promettenti Broncos.

7) TYLER BOYD E’ L’ARMA NON TANTO SEGRETA DEI BENGALS

Si fa quasi fatica a ricordarsi di lui per gli aspetti positivi, perché Boyd, nei primi due anni di professionismo, si era fatto notare solamente per i tanti problemi fuori dal campo, le cattive abitudini in allenamento e le sgridate rivoltegli da Marvin Lewis per la mancanza di attenzione in tutti quei preziosi dettagli che compongono l’attacco di Cincinnati e ne sono determinanti per il corretto funzionamento.

Un bust fatto e finito? A giudicare da questo principio di 2018 la risposta è un secco no. Tanti sono stati i dubbi che hanno attorniato Andy Dalton e la sua efficienza, la sua inconsistenza nei playoff e nelle gare decisive della regular season, ma va ricordato che il quarterback da TCU ha giocato anche delle partite spettacolari e che queste non sono state poche, e che le motivazioni per il calo nelle sue prestazioni possono essere collegabili – come sempre nel football – anche ad altri fattori. Uno di questi è certamente la presenza di altre opzioni affidabili che non portino il numero 18 sulla schiena, e da questo punto di vista Boyd ha fatto passi da gigante in merito. Spesso la riduzione del roster a 53 elementi vede transazioni che possono lasciare basiti, vedasi ad esempio quanto accaduto a Brandon LaFell, non ritenuto più indispensabile, fatto molto probabilmente collegato alla rinnovata attitudine di Boyd, oggi un ragazzo finora lontano dai guai e concentrato sulla sua professione.

Ne deriva uno slot receiver in grado di fare danni, proprio come nei programmi di quando, nel 2016, Lewis lo scelse come cinquantacinquesimo giocatore assoluto. A volte la connessione tra quarterback e bersaglio è tutta una questione di fiducia reciproca, un fattore che quest’anno si è adeguatamente sviluppato con benefici ben visibili anche per Dalton. Tutte le situazioni in cui Andy normalmente veniva pressato e decideva di uscire dalla tasca rinunciando ad un lancio da lui non giudicato come affidabile sono state sostituite da passaggi completati, e spesso Boyd si trova dall’altra parte dell’arcobaleno. Una statistica molto interessante pubblicata da The Athletic rivela che Dalton, in situazioni di forte pass rush, manda il 40% dei suoi tentativi in direzione di Boyd: il fatto che il wide receiver abbia convertito in prese il 70% abbondante di quanto a lui direzionato, non ha fatto che aumentare la fiducia del quarterback nei suoi confronti.

Se oggi parliamo dei Bengals come un attacco profondamente produttivo rispetto a quanto visto nelle ultime due stagioni e di un Dalton rifiorito, i motivi sono da ricercarsi soprattutto nelle 323 yard che Boyd ha collezionato nelle ultime tre uscite.

8) GLI STEELERS SONO UFFICIALMENTE IN CRISI

L’ambiente era preparato ad affrontare settimanalmente l’argomento-Bell, le voci di disappunto provenienti dallo spogliatoio ed i colpi di testa di Antonio Brown hanno portato ad un lavoro extra in quelli che sono i compiti gestionali di Mike Tomlin, ed immaginiamo che affrontare una stagione con un congegno potenzialmente esplosivo in tasca non sia il modo più sano di portare avanti un campionato.

I risultati delle sempre più numerose distrazioni si stanno manifestando anche nel computo tra vittorie e sconfitte, un 1-2-1 che al momento è valido per condividere il fondo della Afc North con i Browns, una prospettiva drasticamente differente dai progetti di playoff a cui la storica franchigia è normalmente abituata. La squadra ha visto calare nettamente il proprio rendimento nei secondi tempi delle ultime due uscite, occasioni nelle quali Pittsburgh ha concesso una rimonta quasi concretizzata dai Buccaneers ed una netta sconfitta contro i Ravens. Ben Roethlisberger e Antonio Brown non stanno connettendosi tra loro come in passato, lo dimostra la produzione della superstar con il numero 84, corrispondente a circa il 50% di ciò che sarebbe lecito attendersi da lui, e nonostante il buon James Conner si stia dannando per rimpiazzare degnamente Bell, la linea offensiva fatica tremendamente a generare i varchi giusti, un fatto che ha reso il gioco di corse un non fattore in alcune gare. Gestire il primo anno senza Todd Haley a chiamare i giochi dopo lunghissimo tempo deve pur avere un prezzo da pagare, ma la mancanza di bilanciamento e gli eccessivi turnover sembrano essere ad oggi problemi insormontabili.

Oltre a ciò, non aiuta una difesa che sta giocando in maniera molto alterna, capace di limitare alcune delle opportunità avute dai Ravens a tre punti anziché sette e protagonista di qualche saltuario big play, ma comunque reparto non capace di contenere dei guadagni passivi che parlano di dodici mete su passaggio in quattro gare, una media altissima, senza contare yard e punti concessi in totale, statistiche dove Pittsburgh sta letteralmente sprofondando nei quartieri più bassi della Nfl.

Fino ad ora l’attacco non era mai stato un problema, perché anche senza contributi stellari da parte di Brown si è sempre trovata una soluzione alternativa adeguata. Domenica sera il miglior attaccante è stato Chris Boswell, non esattamente una buona notizia se si dispone di così tante alternative.

9) I BEARS STANNO CRESCENDO A VISTA D’OCCHIO

Doverosa premessa: non è difficile pasteggiare sulla difesa dei Buccaneers in questo preciso momento, per cui ciò che stiamo per sostenere potrebbe andar preso, in parte, con le pinze. Tuttavia, la crescita offensiva dei Bears è innegabile, così come lo sono i benefici di cui sta godendo Mitch Trubisky nel lavorare assieme ad un creativo come Matt Nagy che, ricordiamo, proviene dallo stesso ramo di allenatori capeggiato da Andy Reid che sarebbe pur sempre il medesimo da dov’è uscito un certo Doug Pederson, ed i risultati sono in linea di massima noti a tutti.

Ora, la questione è semplice: difesa già buona, ulteriormente migliorata dall’arrivo di Khalil Mack, ed attacco visibile come unico aspetto da migliorare per il salto di qualità. Bene, Tampa o meno, questo attacco migliorato lo è tantissimo, Nagy sta utilizzando la mobilità di Trubisky sfruttandone le capacità atletiche, sta creando enormi squilibri di marcatura a favore di Tarik Cohen e Taylor Gabriel, giocatori sotto dimensionati ma fulminei, una descrizione che ricorda tanto quella di Tyreek Hill, un lusso che in alcune circostanze permette di diversificare l’attacco senza necessariamente spremere troppo Jordan Howard nel suo correre in mezzo ai tackle, con la conseguenza che oggi le difese devono prepararsi per Chicago in maniera più complessa rispetto a quanto facevano prima.

Trubisky, nonostante i sei touchdown pass scagliati contro una difesa nemmeno passabile, non dev’essere frettolosamente retto su un piedistallo ma sta facendo vedere progressi, perché ricordiamo che c’è sempre il peso di una trade-up da sostenere e che i detrattori sono sempre pronti a far notare che quella mossa, probabilmente, è costata un prezzo superiore rispetto al suo reale valore, ma questi sono discorsi a lungo termine che ci interessano oggi relativamente, l’evidenza che ci preme cogliere sta nel quarterback oggi migliore che Mitch è diventato nonostante la scarsa esperienza che il medesimo si trascina dietro anche dal College, un fattore che rende la transizione al professionismo ancora più dura.

C’è molto da lavorare ancora, ma Nagy è seriamente impegnato nel trasformare questa reparto offensivo storicamente propenso al lavoro duro ed ai guadagni sofferti nel freddo del Soldier Field una nuova dimensione di spettacolo e divertimento. Se poi piovono punti e la difesa, non solo con Mack, è già pronta a fare danni almeno dall’anno scorso, tanto meglio.

10) MIKE VRABEL STA COSTRUENDO UN PICCOLO CAPOLAVORO

Durante le prime tre settimane di gioco i Titans sembravano l’esatta copia offensiva di quanto costruito in loco da Mike Mularkey, un attacco basato sulla fisicità delle corse dove il gioco aereo rappresentava una soluzione soltanto secondaria. Domenica, nella sorprendente vittoria contro gli Eagles, Marcus Mariota ha lanciato per ben 344 yard, cifra che egli non avvicinava addirittura dalla regular season del 2015, ottenendo 16 primi down attraverso i passaggi, un dato mai registrato dalla squadra negli ultimi due anni. Stupisce ancor più l’efficienza nelle conclusioni superiori alle 20 yard, stiamo parlando di uno dei reparti offensivi meno prolifici della Lega e di un sistema molto legato ai giochi corti, un dato decisamente contrastante con le 17 ricezioni più lunghe di 10 yard che i Titans hanno messo assieme nella sola partita di domenica.

Mariota, dopo essere apparso involuto per tutto il corso del passato campionato, è alle prese con un fastidioso problema alla mano con relativa perdita di sensibilità, che per quanto stia migliorando non è certo d’aiuto per qualcuno che di mestiere deve lanciare un pallone e sentirne la presa perfettamente aderente. Tuttavia Marcus ha traslato sul campo in maniera adeguata il piano di gioco di Vrabel e LaFleur, il suo offensive coordinator, che ha attaccato le secondarie degli Eagles da subito senza essere prevedibile nel tentare subito di imporre il gioco di corse, trovando pure la collaborazione del giovane Corey Davis in quella che è stata la miglior gara di carriera di un wide receiver più che atteso per risolvere l’assenza del punto di riferimento del gioco offensivo, Delanie Walker, ed il taglio di Rishard Matthews.

Se la giocata di 51 yard confezionata tra Mariota e Davis è stata altamente spettacolare ed inusuale per quanto Tennessee ha abituato a vedere, gli stessi big play sono giunti anche nel momento del bisogno, non un particolare di poco conto, permettendo a Taywan Taylor di convertire un determinante quarto down con ben quindici yard da prendere in overtime, una situazione dalla quale i vecchi Titans sarebbero usciti vincitori nel 5% dei casi. Il dato si sposa molto bene con i 15 punti a partita che la difesa ha concesso di media nelle ultime tre gare, due delle quali giocate contro pesi massimi quali Jacksonville e Philadelphia, avversarie contro le quali è necessario tutto il coraggio che Vrabel ha messo in campo nelle sue decisioni, preferendo rischiare di battere gli Eagles con un’azione secca al supplementare piuttosto che accomodarsi su un pareggio ormai acquisito.

Tennessee è 3-1 contro parecchi pronostici, e le filosofie del suo rookie head coach stanno già fruttando a dovere. Bel lavoro!

 

One thought on “Ten Weekly Lessons Week 4: ordine ristabilito

  1. I Rams sono oggettivamente solidissimi a dire poco. Suh e Donald rappresentano una coppia di DT ineguagliabile nella Nfl. Sul gioco di corse non dico nulla se non…c’è Gurley!!!! Le secondarie difensive non sono irreprensibili, soprattutto pensando alla pressione che subiscono sistematicamente i QB avversari. Resto sempre del parere che al timone ci sia un QB ancora inespresso al suo terzo anno professionistico, però domenica scorsa devo ammettere che per la prima volta gli ho visto fare cose egregie sul lungo, con personalità, precisione e buone scelte. Vedo i Rams quasi sicuramente al Superbowl. Se al posto di Goff ci fosse ad esempio un Wilson o un Manning E., senza ricorrere a mostri sacri come Rodgers o Brady o Brees…allora li darei per fissi vincitori del Superbowl! Attenzione però perché hanno (incluso il giovanissimo coach McVay) poca esperienza di playoff e tutti sappiamo che nei playoff il livello di intensità è ancora maggiore e già l’anno scorso non avevano certo brillato…

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