Quando una determinata squadra effettua decisioni forti come quelle esercitate in questa offseason dai Rams, si sta caricando sulle spalle una grossa quantità di pressione. Il problema presentato dalla Nfl per ovvie ragioni, è quello di una stagione inattiva molto lunga che verrà tra breve vivacizzata dal Draft per poi attendere con trepidazione i primi confronti ufficiosi d’agosto, per cui, non essendoci molto altro di cui parlare – se non di Gisele che smentisce di possedere un ascendente sull’esatto momento del ritiro di Tom Brady – Los Angeles sarà spesso e volentieri bersagliata dalla parola Dream Team senza poter offrire delle controprove sul campo, fornendo alla franchigia la prima vera prova in vista del prossima campionato, quella della sopportazione mediatica.

I Rams, nella persona di Les Snead, il general manager a capo di tutte le transazioni che ne riguardano il roster, hanno evidentemente eseguito un’altra mossa prevista dal loro piano a lunga scadenza. Dopo anni di accumulo di scelte alte (hanno pasteggiato fino a pochi anni fa grazie al noto affare RGIII), di sviluppo del giovane talento a disposizione, mettendoci nel mezzo un trasloco che ha fatto innamorare assai poche persone ed un’improvvisa risalita intrapresa sotto le direttive di un capo allenatore giovanissimo, Snead ha deciso che è giunto il momento di puntare grosso ed arricchire la squadra di talento già affermato, con l’obiettivo di colmare alcune delle lacune che dividono i Rams dall’ambizione al giocare il prossimo Super Bowl.

Per arrivare ad una migliore comprensione delle motivazioni di queste mosse, è necessario però capirne i presupposti. I Rams del 2017 erano partiti senza grosse pretese o almeno questa era l’idea diffusa dai media in previsione della stagione scorsa per una serie di ragionamenti generati dalla verde età di McVay e dagli scarsi risultati degli ultimi anni, senza dimenticare l’esordio di un Jared Goff non esattamente a proprio agio in un’annata da rookie avara di prestazioni particolarmente positive. Esattamente un anno fa Sean McVay, a soli 31 anni, muoveva i primi passi del proprio insediamento rivestendo un ruolo che per molti era troppo importante per un ragazzo così giovane, tuttavia era sicuro che qualcosa di buono sarebbe accaduto, fatto in seguito enormemente avvalorato dal record di 11-5 con cui Los Angeles si è sorprendentemente aggiudicata la Nfc West soprattutto grazie agli enormi progressi offensivi che hanno trasformato un reparto moribondo in un’autentica macchina da punti.

Si riparte da qui, nel senso che il salto da squadra perdente da dieci campionati consecutivi a protagonista di primissimo piano nella Nfc è un ottenimento di notevole rilievo considerato il contesto, ma McVay non sembra una persona che si accontenta di aver trasformato la cultura di una franchigia, c’è sempre un traguardo più alto del precedente da raggiungere, ed è quello per cui i Rams si sono attrezzati in questo preciso istante. Di una stagione assai positiva sotto tutti i punti di vista, rimane tuttavia un pizzico di delusione per l’eliminazione casalinga subita in occasione della Wild Card per mano degli Atlanta Falcons, e nasce da qui l’esigenza di dimostrare a tutti che l’attuale edizione dei Rams è qui per restare, e non per apparire sporadicamente in postseason.

Mano alle risorse, dunque, nel senso che contrariamente al recente passato la squadra ha trascorso questa prima parte di pausa stagionale dispensando scelte qua e là ottenendo in cambio i pezzi che secondo Snead determineranno l’ulteriore salto di qualità. Già priva del secondo giro di quest’anno per lo scambio che aveva coinvolto Sammy Watkins lo scorso agosto, Los Angeles si è privata di altre cinque selezioni 2018 (ricevendone in cambio altre, va detto, seppur basse), tra le quali spiccano il primo giro spedito a New England per Brandin Cooks, come pure il secondo giro 2019, parte della merce che ha consentito di arrivare a Marcus Peters.

Un attacco già molto potente, passato dal trentaduesimo posto al primo per produzione di punti nel giro di un solo anno, disporrà di un’arma versatile come Cooks, che nelle teorie di McVay sostituirà Watkins e tutta la produzione che l’ex-ricevitore di Clemson non è stato in grado di fornire, realizzando peraltro il bisogno intrinseco di ammettere che lo scambio effettuato con i Bills è stato un mezzo fallimento. Tuttavia, gli apporti più significativi provengono dalla difesa, già forte del coordinamento dell’esperto Wade Phillips e che ora si vede istantaneamente migliorata tanto sul fronte quanto nelle retrovie, seppure le risultanze dei vari movimenti di mercato abbiano lasciato un mezzo vuoto nel settore linebacker, il vero potenziale punto dolente della questione.

Anche qui siamo nel pieno campo del se e dei ma, e le considerazioni vanno eseguite con la dovuta attenzione. Quindi, se Marcus Peters, in un altro ambiente, riuscirà a confermare un rendimento da top corner di tutto il panorama attuale aggiungendovi la sempre utile propensione all’intercetto tenendo nel contempo la testa a posto, e se Aqib Talib si dovesse ripresentare in modalità francobollo in marcatura nonostante i 32 anni di età, potremmo sostenere la tesi della secondaria assai difficile da violare centrando l’obiettivo di limitare attacchi come quello di Philadelphia, che avrà recuperato Wentz, e di Atlanta, la responsabile dell’eliminazione, e di tutti i reparti offensivi più attrezzati delle concorrenti della Nfc, ivi compresi i nuovi 49ers di Garoppolo, la sfida divisionale più interessante in proiezione futura.

Pensare inoltre alla coppia che presiederà il cuore della linea difensiva incute senz’altro timore, Aaron Donald arriva da un’annata spettacolare dove gli accoppiamenti creati da Phillips hanno spesso isolato il defensive tackle permettendogli di essere devastante (11 sack in 14 partite e quintali di pressione apportata), l’aggiunta del problematico ma determinante Ndamukong Suh non può che aumentare esponenzialmente le possibilità di mettere in disordine la tasca sia dell’uno che dell’altro, creando profonde emicranie ad ogni coordinatore di linea offensiva che i Rams affronteranno. Suh, spesso accusato di sporcizie assortite e di egocentrismo, dovrà mettersi in testa di porre un enorme talento fisico a disposizione del gruppo tenendo il carattere a freno, fornendo così un contributo atto a migliorare il rendimento del reparto nella difesa contro le corse e nelle yard concesse per azione, un passaggio obbligato per cercare di giocarsela ad alti livelli. E, non dimentichiamo, che lo schieramento frontale prevede pur sempre un certo Michael Brockers…

Analizzando il quadro generale, viene da pensare che l’attacco possa tranquillamente ripetere l’exploit del 2017 contando sui costanti progressi di Goff, sulla presenza di un Gurley oggi tramutatosi nel vice-Mvp di Lega, l’inattesa consistenza mostrata da Woods e la solidità in protezione della linea offensiva, mentre la difesa ha perso inerzia in termini di pass rush, immolandola alla causa del cap e delle varie trade. La 3-4 di Phillips vede all’attualità negli spot di edge rusher un giocatore di situazione come Matt Longacre, che ha raccolto azioni senz’altro positive ma in una partecipazione in campo assai limitata, e l’acerbo Samson Ebukam, un secondo anno che ha giocato meglio difendendo le corse che non portando pressione, pertanto, essendo venuto a mancare l’apporto di Robert Quinn e di Alec Ogletree, entrambi detentori di stipendi molto importanti, la loro sostituzione dovrà prescindere da un Draft dalle munizioni limitate, dato che la situazione attuale vede Los Angeles in possesso di otto selezioni complessive, nessuna delle quali precedente alla chiamata numero 87, un terzo round.

Il talento c’è tutto, dunque, ma nel football americano l’essenzialità è data dalla coesistenza tra i membri del gruppo nella ricerca della raggiungimento di un traguardo univoco. La parola Dream Team era già stata pronunciata a vanvera nella primavera del 2011, quando Vince Young dipinse in quell’inappropriato modo la somma di talenti che i Philadelphia Eagles avevano appena collezionato promettendo furore e scintille. All’epoca i vari Asomugha, Brown, Rodgers-Cromartie, Jenkins, Babin e Mathis non erano riusciti ad aiutare una squadra crollata già in ottobre sotto i colpi della pressione mediatica, alimentando le susseguenti frecciate dei giornalisti creando i presupposti per una figuraccia memorabile.

McVay quella pressione ha invece dimostrato di saperla gestire molto bene, essendosi già sobbarcato responsabilità che in questo settore non si affrontano nella prima parte dei trenta. La missione primaria è quindi quella di creare un gruppo coeso tenendo a bada i caratterini, e se il giochino dovesse riuscire saranno ben poche le squadre in grado di fermare questi intriganti Rams.

Appuntamento a settembre, per i primi verdetti che contano davvero.

One thought on “I Rams ed i pericoli del Dream Team

  1. Secondo me in un anno I Rams sono riusciti a trasformare l’attacco in una macchina da guerra devastante e allo stesso tempo distruggere la propria difesa. Suh ? Mah? Talib? Mah? 3/4 schema difensivo con Donald, Brockers, Quinn a disposizione mah? Ricordo 2 anni fa la loro linea con lo schema 43 Donald Brockers Quinn Fairley e Long con blitz anche di safety cornerback e linebackers. Era tutta un’altra storia, allora quello che non andava era il Qb Bradford sempre rotto e la mancanza di un OC decente. Ora voglio vedere come faranno a rinnovare Donald, Brockers Goff e Gurley. Hanno buttato nel cesso 8 anni di lavoro straordinario fatto al draft… ..

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