1) NON VEDIAMO L’ORA DI ASSISTERE AL REMATCH TRA STEELERS E PATRIOTS

Quello andato in scena nella fascia serale della domenica italiana è stato un match entusiasmante, diverso dai capitoli precedenti di questa particolare saga della Afc e che getta delle ottime premesse per una rivincita che ci auguriamo possa essere il tema portante del futuro Championship di quella Conference.

La partita tra New England e Pittsburgh è stata molto godibile per il suo ricco svolgimento, e al di là del risultato abbiamo potuto trarre delle importanti conclusioni in ottica futura. I Patriots hanno vinto e si sono ripresi il seed numero uno ed il conseguente vantaggio del campo per tutta la post season a due settimane dal termine del campionato regolare, ma la vicinanza nel punteggio indica chiaramente il come gli Steelers abbiano significativamente ridotto le distanze rispetto all’anno scorso, e che possano giocarsela anche in assenza del loro uomo-chiave, Antonio Brown, grazie ad una batteria di ricevitori dal talento assai profondo.

L’infortunio di Brown è ora l’incognita principale nel proiettare a gennaio inoltrato l’ipotetico rematch, che se dovesse mantenere le dinamiche di incertezza della gara di domenica garantendo lo stesso tipo di spettacolo tecnico, con il plus della posta in palio esponenzialmente più alta, andrebbe a costituire un circolo di rara attesa per un big match che oggi non è più scontato come lo era ieri. Il fattore equilibrio è importante, perché da un lato l’attacco di Pittsburgh ha guadagnato quella stabilità che tanto ricercava ad inizio anno grazie al graduale reintegrarsi di Martavis Bryant e all’accumulo di esperienza di JuJu Smith-Schuster tornando ad essere una macchina da guerra, dall’altra la difesa di Matt Patricia è senza dubbio migliorata ma resta il problema dei big play concessi, un fattore che ha rischiato di incidere negativamente sulla gara di domenica, senza dimenticare che poi c’è sempre da ingabbiare in qualche modo Le’Veon Bell, impresa tutt’altro che agevole.

La sensazione di incertezza è tanta e rappresenta la parte più gustosa della torta, perché se Pittsburgh può essere ancora più difficile da domare con Brown in salute i conti vanno fatti anche con le vene di ghiaccio di Brady e l’impossibilità di marcare Gronkowski (il principale aggiustamento da farsi nell’eventualità), e tutto può accadere anche sul filo di lana, come abbiamo appena avuto modo di vedere. I Patriots non sono dominanti com’erano e gli Steelers sono vicini ad essere l’antidoto. Per questo preghiamo a mani giunte affinché la gara che assegnerà il titolo della Afc possa essere questa.

2) L’ATTACCO DEI TITANS HA SMESSO DI FUNZIONARE NEL MOMENTO SBAGLIATO

Il reparto offensivo dei Titans non ha mai dato un’idea vicina al concetto di costanza, nonostante in più di qualche circostanza l’editto di Mike Mularkey e del suo stile fisico avesse permesso alla squadra di vincere alcuni episodi di questa stagione in maniera addirittura travolgente. Oggi ci troviamo invece nel bel mezzo di una crisi cominciata con la batosta patita contro gli Steelers in un Thursday Night di un mese fa, e seppure siano giunte in seguito due vittorie consecutive contro Indianapolis e Houston il modo di giocare offensivo non ha del tutto convinto.

E’ inevitabile che la concentrazione dei media si fissi sulla figura più importante, quindi su Marcus Mariota, e vada ad analizzare da vicino quali possano essere le relazioni tra i mancati progressi offensivi ed il rendimento della squadra nelle ultime quattro settimane. Cinque partite su quattordici in piena pulizia da intercetti non rappresentano certo una statistica incoraggiante, e da quella famigerata gara contro Pittsburgh il conto è di otto in cinque partite, un totale che va parzialmente a giustificare la mancanza di mordente di un attacco che in fase di passaggio ha semplicemente perso troppi palloni ed ha sviluppato la tendenza a funzionare davvero solamente di fronte all’efficienza di un backfield che non ha ancora un protagonista ben definito, altro problema che si sta facendo sentire fortemente.

I numeri raccontano sempre e solo una parte della storia, ma non ci si può affidare certo al caso spiegando l’infallibilità della squadra di fronte alla realizzazione di una determinata intenzione offensiva, e quando Mularkey è riuscito a tradurre in esecuzione i sui piani su carta, correndo per almeno 150 yard in singola partita, i Titans non hanno mai perso. Una parte delle problematiche, come detto, va in direzione dell’indecisione del coaching staff nel dare definitivamente il bastone del comando a Derrick Henry, che statisticamente ha prodotto meglio di DeMarco Murray ma ancora non riesce a replicarne le positive capacità in ricezione fuori dal backfield, probabilmente uno dei motivi per cui l’ex-Alabama non è ancora riuscito a fare definitivamente breccia nel cuore dei suoi allenatori.

Ne deriva che la Tennessee che abbiamo osservato all’opera quest’anno è una squadra che ancora non riesce a tradurre sul campo le idee conservative del proprio allenatore con la continuità richiesta, anche perché è difficile additare qualcosa ad una difesa che domenica ha concesso più di venti punti per la prima volta nell’ultimo mese. La situazione non è simpatica perché nel frattempo la squadra ha perso inerzia nei confronti della corsa ai playoff, i Jaguars hanno preso le distanze dimostrandosi molto più compatti mentre a Nashville rimangono tanti dubbi. Il momento di dissolverli è proprio questo, il treno sta scappando e non aspetta nessuno, e le cose sono già abbastanza complicate dovendo affrontare Rams e Jags per chiudere il percorso, uno svantaggio non indifferente per chi deve assolutamente sperare nei passi falsi di Bills e Ravens e deve contemporaneamente vincere un paio di partite che non sembrano alla sua portata.

3) IL NUOVO CORSO DEI 49ERS E’ INIZIATO CON UNA STAGIONE DI ANTICIPO

Converrete con noi che difficilmente si possano abbinare queste due differenti versioni dei 49ers pur trovandosi a parlare della stessa identica edizione – con l’eccezione del quarterback – che ha cominciato in maniera del tutto deprimente il presente torneo. E’ naturale che il nome di Jimmy Garoppolo tenga banco, il suo inserimento a roster ha portato linfa vitale all’ambiente e fornito un giovane di talento su cui poggiare le sicurezze del futuro, e la bella notizia è che l’ascesa dei Niners non sembra passare solamente dalla sua nuova identità posta alla regia dell’attacco, e che la graduale definizione della nuova guardia difensiva sta cominciando a maturare i primi frutti prima del previsto.

La fiducia che permea l’ambiente in questo preciso momento è un qualcosa che si può toccare con mano e di assai utile a costruire per l’anno venturo anziché starsene lì inermi ad accumulare sconfitte lasciando perdere la stagione una volta per tutte (ne sanno qualcosa Browns e Giants), e volando sull’entusiasmo di una striscia di tre vittorie consecutive che pareva irrealizzabile anche nei migliori sogni di Kyle Shanahan. Parliamo di una squadra cresciuta sotto gli occhi di tutti durante un cammino non facile, divenuto frustrante per il numero di sconfitte accumulate con scarti nel punteggio assai ridotti e che ha dovuto attendere il propizio scontro con i Giants – quindi oltre metà campionato – per poter assaporare il gusto del successo per la prima volta, facendo intuire che mancava sempre qualche tassello importante per iniziare ad intavolare discorsi un po’ più speranzosi per il futuro.

La contemporaneità dell’arrivo in California di Garoppolo e della serrata degli spazi difensivi concessi su corsa sono due piacevoli coincidenze da mettere in atto nel medesimo momento, ed i risultati si sono visti. Jimmy G è la nuova faccia della franchigia ed ha tutti i mezzi per poter avere successo – è diventato tra l’altro il primo quarterback dei Niners a lanciare per più di 300 yard in gare consecutive dai tempi di Jeff Garcia – con lui sanno crescendo piccole certezze come Marquise Goodwin, molto ricercato e sempre più in grado di contribuire con sostanza allo spostamento delle catene, e le scelte pensate per la difesa, ovvero i vari Reuben Foster, Solomon Thomas e DeForest Buckner, sono pezzi di un front seven che ha serie possibilità di tornare ad incidere positivamente. L’unico aspetto negativo è rappresentato dal fatto di dover passare una lunga pausa tra una stagione e l’altra, ritmi e sinergie vanno mantenuti anche a bocce ferme, ma se i 49ers dovessero ripartire da queste premesse, dato che hanno costruito ancora una volta il loro roster con intelligenza e lungimiranza, potremmo ritrovarceli da protagonisti molto prima del previsto.

4) LO STATEMENT DEI RAMS E’ ARRIVATO FORTE E CHIARO

Ammettiamo di essere ancora piacevolmente sorpresi dai traguardi ottenuti dai Rams sotto le direttive di un head coach alla sua prima esperienza in tale carica, la trasformazione di questa squadra è una delle storie con la esse maiuscola della presente stagione e la sua consistenza su lunga durata è ora sigillata dalla sonante vittoria riportata contro il nemico divisionale numero uno, i Seattle Seahawks, ovvero il test definitivo da passare per gridare al resto della Nfl la propria dichiarazione di battaglia – o statement – in vista dei playoff.

Prestazioni da autentico Superman analoghe a quella fatta registrare domenica da Todd Gurley depongono ulteriormente a sfavore di Jeff Fisher e della precedente costituzione del coaching staff, conscio di possedere una perla di rara bellezza tra le mani e colpevole di non aver trovato un singolo modo di far rendere il giocatore come avrebbe potuto. Gurley rappresenta l’attestazione definitiva della multi-dimensionalità dei Rams, che possono ferire in tanti modi come testimoniato dal loro primo posto oramai fisso per punti segnati in stagione, permettendosi il lusso di utilizzare la superstar dall’università di Georgia come desiderano senza veder calare il suo impatto nelle cifre, con il lusso di poter seppellire i sempre pericolosi Seahawks sotto una quarantina abbondante di punti con Goff fermo a 21 passaggi tentati.

La demolizione di Seattle è la risposta più adatta che McVay ed i suoi ragazzi potessero offrire a chiunque credesse che l’inizio folgorante di Los Angeles fosse destinato a non durare una volta cominciata la parte veramente dura del calendario, togliendo con una pesante manata l’asterisco già fornito nella puntata precedente di questa sfida dai Seahawks, iscritti nel più che ristretto cerchio di difese in grado di limitare fortemente i Rams. Ancora una volta un punteggio ed un elenco di statistiche non possono bastare per descrivere con precisione un evento, serve anche il contorno, ed esso è rappresentato da una posta in palio che avrebbe potuto riavvicinare Seattle alla vetta della Nfc West con due scontri diretti su due a proprio favore, nonché dal luogo, uno dei più inviolabili di tutta la Nfl.

Se i Rams, in quella che per loro era a tutti gli effetti la partita dell’anno, con tutta quella pressione addosso, sono riusciti a maltrattare gli ‘Hawks a casa loro, a zittire il loro rumorosissimo pubblico, a dominare in maniera spettacolare nel momento della verità, allora non vediamo l’ora di scoprire che cosa riusciranno a fare una volta cominciata la postseason, per la quale sono attesi come grandi protagonisti con giusta cognizione di causa.

5) LA GIURIA DEGLI EAGLES STA ANCORA DELIBERANDO

Nonostante gli Eagles fossero attesi al varco come nessun’altra squadra durante l’arco di questa settimana, si sapeva che l’impegno contro i Giants non avrebbe rappresentato la più idonea delle occasioni per stilare dei giudizi di grande affidabilità sull’inserimento di Nick Foles al posto dell’infortunato Carson Wentz. Abbiamo sottolineato la settimana scorsa il come, nella sfortuna, Philadelphia abbia invece la fortuna di ritrovarsi tra le mani un backup di esperienza e tutto sommato dotato anche di un certo grado di affidabilità, nonostante il sistema offensivo giocato sotto Chip Kelly fosse nettamente diverso e le gite fuori porta compiute da Foles nel mezzo delle sue due permanenze a Philly non avessero esattamente entusiasmato il grande pubblico.

Alla fine dei conti domenica Foles ha fatto ciò che doveva contro una delle peggiori difese Nfl, ovvero segnare a ripetizione trasponendo l’esecuzione offensiva dall’allenamento alla partita e fugando i primi dubbi. L’adattamento non può che essere andato bene, non c’erano d’altro canto grossi punti di domanda che potessero inserirsi a deporre a favore di una difesa come quella dei Giants, che ha concesso quasi 5.500 yard di total offense in quattordici esibizioni e che aveva caratterialmente mollato già diverse settimane fa, con la conseguenza di assistere ad una prestazione semi-automatica da parte del quarterback di riserva in verde, la quale ha se non altro dimostrato di non doversi forzatamente concentrare su Alshon Jeffery per uscirne vivo e bravo a stabilire una precoce relazione offensiva con tutto il resto dell’attacco, come dimostrato dalle felici connessioni con Agholor, Ertz, ed un Burton ultimamente molto presente in endzone.

Per trarre delle conclusioni più precise sarà opportuno attendere con tutta probabilità i playoff, perché il prossimo impegno contro i Raiders non rappresenta un’occasione troppo competitiva a questo punto della stagione, e la chiusura di regular season contro i Cowboys a giochi già fatti potrebbe rivelarsi solamente un’esibizione limitata per i titolari, lasciando alla postseason il compito di deliberare definitivamente sul vero futuro degli Eagles senza Carson Wentz a bordo. Solo in quel momento scopriremo come reagirà Foles sotto vera pressione, se la capacità di coinvolgere tutti i ricevitori resterà inalterata dall’affrontare una qualsiasi tra le migliori difese Nfl, e se il quarterback riuscirà a non commettere errori fatali. Quindi non è cambiato nulla rispetto ad una settimana fa, ancora non sappiamo con precisione quanto valgono gli Eagles di Nick Foles, ci preoccuperemo piuttosto di non far replicare alla difesa una prestazione negativa come quella di domenica, andata a concedere il season high (434 yard) ad un Eli Manning quest’anno non certo impeccabile.

6) BLAKE BORTLES STA RENDENDO I JAGUARS ANCORA PIU’ PERICOLOSI

Sommando le precedenti indicazioni tratte dalle gare dei Jaguars emergeva un profilo molto interessante, composto da una difesa tosta, capace di mettere pressione con più giocatori e francobollare il miglior ricevitore avversario ed un attacco in grado di gestire il cronometro grazie all’irruenza delle corse di Leonard Fournette. Su queste pagine abbiamo spesso rimarcato la nostra avversione per Blake Bortles ed il riconoscimento dei suoi effettivi limiti, ma ci pare corretto, dopo averlo tenuto sotto osservazione per tre settimane per disporre di un campione di gare più ampio, sottolineare come il quarterback abbia compiuto dei progressi significativi a stagione in corso.

Chiaro, non stiamo parlando d’improvvisa élite perché la merce è quella che effettivamente è ed i contesti difensivi contro i quali Bortles ha giocato non sono esattamente tra i migliori a disposizione, ma le ultime tre partite hanno sancito che si possono concludere più partite in fila senza necessariamente commettere danni irreparabili ed evitando di gettare tutto il peso delle responsabilità sulle spalle di un Fournette che da diverso tempo gioca in condizioni fisiche non perfette. Bortles, grazie anche ad una protezione ottimale da parte di una linea che ha concesso solo due sack nelle ultime tre apparizioni, sta centrando numeri di grande consistenza e creando numerosi big play attraverso ricevitori insospettabili (basta vedere quanto realizzato da Cole e Westbrook di recente), con e senza il suo running back di riferimento, che peraltro ha fortemente inciso sulle sorti di una gara solamente una volta durante l’ultimo mese di gioco proprio a causa delle sue piccole grane fisiche.

Ed è proprio questo il contesto in cui si chiedeva a Bortles di rispondere presente, quello di della sempre possibile emergenza in un gioco violento nel quale nessuno arriva al 100% a metà della stagione, con il quarterback ad infilare tre prestazioni consecutive sopra i 100 punti di rating proprio in concomitanza della discesa di qualità nelle prestazioni su corsa, sancendo la possibilità di sopravvivere in determinate circostanze anche con un apporto limitato – o del tutto assente, come nel caso di domenica – da parte di un Fournette che necessita di riposo e cure. Nelle ultime tre gare Bortles ha lanciato per 301 yard di media con 7 passaggi da touchdown e nessun intercetto a carico, d’accordo che tra i campioni presi in esame ci sono Colts e Texans, ma stiamo pur sempre parlando dello stesso giocatore che aveva perso il posto di titolare durante lo scorso training camp. E la cosa, messa in questi termini non può che destare stupore ed evidenziare che per l’arrivo di quel minimo di maturazione richiesta potremmo essere a buon punto.

7) L’ELIMINAZIONE DEI PACKERS DAI PLAYOFF NON RIGUARDA IL SOLO AARON RODGERS

Giudicando dai soli numeri sarebbe inopportuno sostenere che il ritorno di Aaron Rodgers in campo non ha portato ai risultati sperati, perché è necessario giudicare il contesto, che cosa è stato fatto durante la sua assenza, e tutto l’andamento dell’anno. Rodgers, autore di tre passaggi da touchdown e pure di altrettanti intercetti, ha giocato la sua prima partita degli ultimi due mesi cercando per quanto possibile di scrollarsi la ruggine di dosso fornendo una prevedibile prestazione composta di alti e di bassi, mostrando la sua solita classe tecnica pur non risultando del tutto impeccabile in alcune situazioni, con un ritmo che non si può certo pretendere di ritrovare con immediatezza a maggior ragione con tutti i colpi ricevuti domenica dalla difesa dei Panthers.

Sette partite ed un record di 3-4 con Hundley titolare e dei meccanismi offensivi che si sono messi a girare comprensibilmente lentamente ma in maniera in ogni caso soddisfacente rappresentano un più che buon resoconto rispetto alle previsioni, tuttavia il complesso dell’andamento stagionale non può aver solo a che vedere con l’assenza della superstar indiscussa di squadra ed il riesame di questo campionato dovrà portare McCarthy a guardare soprattutto altrove. L’unica responsabilità che ci sentiremmo di affibbiare al coach dei Packers, ed è relativa alla sola gara di domenica, è quella di aver strutturato il piano di gioco tornando troppo in fretta ad una proporzione squilibrata a favore dei passaggi, mettendo sotto pressione Rodgers e dimenticandosi dell’interessante tandem di running back che ha scoperto di avere durante l’assenza del suo regista titolare, con Jamaal Williams ed Aaron Jones chiamati in causa solamente 13 volte contro i 45 passaggi chiamati.

La difesa di Dom Capers, un argomento spesso scottante in questi ultimi anni, nonostante la presenza di singoli elementi di sicuro talento non ha invece migliorato le già buie prestazioni complessive dello scorso anno, un fattore che può essere tranquillamente inserito tra le motivazioni di questa prima assenza dalla postseason dal 2008. Green Bay si trova attualmente negli ultimi dieci posti della Lega per yard concesse singolarmente su passaggio e corsa nonché per yard complessive, e questo mancato progresso si mischia pericolosamente a due altri aspetti, la mancanza di comunicazione in determinate situazioni e l’assenza di personale completamente adatto agli scopi. Il primo fattore è alla base di numerose giocate facili concesse agli avversari per la mancanza di un safety in copertura o per fraintendimenti tra compagni riguardanti il tipo di marcatura da applicare, il secondo vede l’urgenza di implementare il roster con un middle linebacker in grado di giocare adeguatamente le fasi di passaggio, dato che Blake Martinez, Jake Ryan e Joe Thomas posseggono tratti fisici ed atletici più adatti a contrastare le corse.

8) LA NFC SOUTH DECIDERA’ LA GRIGLIA DEFINITIVA DEI PLAYOFF

Anche se le settimane trascorrono impietosamente dando un numero di opportunità sempre inferiore a chi rincorre, la situazione dei playoff nella Nfc non è ancora del tutto ben delineata, ed il clima di incertezza che accompagnerà le ultime due partite di regular season porta ulteriore elettricità ad un finale da gustare tutto d’un fiato. Destino e conformazione del calendario hanno svolto il loro egregio dovere, e per sapere chi ce la farà e come sarà la distribuzione definitiva della parte medio-bassa del tabellone dei playoff sarà obbligatoriamente necessario passare per le tremende sfide incrociate della Nfc South, la Division che deciderà più di ogni altra cosa il destino di sei squadre.

Nella nottata di lunedì il calcio allo scadere mancato da Patrick Murray ha deciso non solo la sfida tra Atlanta e Tampa Bay, ma ha automaticamente eliminato dalla corsa i Green Bay Packers, emettendo un primo giudizio definitivo. Situazione e casualità di incroci sono ora i fattori che possono rimettere per l’ennesima volta tutta la situazione in discussione, perché grazie a questa vittoria i Falcons sono ancora vivi non solo per i playoff, ma pure per vincere la Division e ribaltare i vari seed. Questo perché ad attendere Atlanta ci sono gli infuocati impegni in trasferta contro New Orleans ed in casa contro Carolina, non solo concorrenti divisionali ma pure attuali detentrici dei seed numero quattro e cinque, una situazione che costringerà, in caso di vittoria dei Falcons questa prossima domenica, ad una diciassettesima giornata di non riposo per moltissimi titolari delle squadre coinvolte e ad un playoff sostanzialmente anticipato di una settimana.

Come sempre, la bellezza di questo rush finale è rappresentata dal fatto che possono accadere decine di eventi differenti e che non si sa esattamente come il tutto andrà a finire. La situazione della Nfc South verà seguita da vicinissimo dalle tre compagini della Nfc ancora in vita, ovvero Detroit, Dallas e Seattle, tutte matematicamente escluse dalla possibilità di vincere la propria Division e quindi costrette a sperare nei capitomboli altrui per riuscire a sgraffignare il posto numero sei, oggi per l’appunto detenuto da Atlanta. La strada è più agevole sia per i Panthers che per i Saints, ad ambedue basta una sola affermazione nei prossimi due impegni per ottenere la qualificazione alla postseason senza grossi patemi, tuttavia in gioco c’è sempre la supremazia divisionale e la possibilità di giocare una partita di playoff in casa, per cui la Wild Card, ad oggi, potrebbe svolgersi indifferentemente in ognuno dei tre impianti di gioco delle rispettive concorrenti della Nfc South.

E’ o non è il periodo sportivo più bello dell’anno?

9) ANDY REID HA PRESO LA DECISIONE GIUSTA

I Chiefs hanno miracolosamente rimesso in piedi la loro stagione al momento opportuno, interrompendo una serie di risultati negativi che pareva divenuta inarrestabile ma soprattutto incomprensibile dopo una partenza-razzo fatta anche di vittime illustri. La causa principale della debacle era stata individuata nel netto calo delle prestazioni offensive, con molto del peso addossato sulle spalle di un Alex Smith d’un tratto più insicuro ed erroneo, ma con una parte della responsabilità da dirigere verso la mancata produttività del gioco di corse, annichilito dopo essere stato fatto esplodere dal rookie-sensazione Kareem Hunt.

Le ultime due gare vedevano Kansas City con le spalle al muro ed il pericolo di gettare al vento la stagione, ma le indicazioni conseguite alla doppia vittoria contro Oakland e Los Angeles, le stesse squadre clamorosamente rimesse in gioco dalla lunga crisi dei Chiefs, sono tornate ad essere molto incoraggianti per le prospettive della squadra allenata da Andy Reid, anche se tornare a fidarsi dopo una striscia negativa del genere è quanto di più difficile si possa riuscire a pensare. La franchigia è tornata a vincere e ad esprimere creatività offensiva, e ricercando tra le motivazioni dell’improvvisa ripresa c’è senz’altro da segnalare la decisione presa da Reid prima del kickoff della tredicesima settimana, quando il medesimo ha fatto un passo indietro rinunciando a chiamare personalmente gli schemi offensivi delegando il compito all’offensive coordinator Matt Nagy.

Più che una piacevole coincidenza la cosa sembrerebbe prendere i tratti di una nuova tendenza come suggerito dall’ampia diversità di statistiche riportate tra un momento e l’altro, nelle due gare precedenti all’avvento di Nagy l’attacco aveva segnato solamente 19 punti mettendo assieme 599 yard totali, mentre le ultime due uscite – le più importanti della stagione – hanno fatto registrare 57 punti e quasi 900 yard di total offense, numeri che somigliano molto di più a quelli di inizio anno. Kareem Hunt è tornato a produrre a suon di mete e yard generate sia correndo che ricevendo, merito anche di una linea offensiva che ha svolto un lavoro eccellente nelle ultime due settimane vincendo tutte le battaglie più importanti occorse in trincea, Alex Smith è di conseguenza tornato ad essere un quarterback capace di essere preciso sia nel non commettere turnover che nel tenere alte le percentuali di completi ed i big play sono nuovamente d’attualità, con Tyreek Hill ancora protagonista di giocate elettriche.

Buone nuove giungono anche da una difesa che ha notevolmente alzato il volume della radio, aumentando esponenzialmente una pass rush di cui si cercavano disperatamente notizie e che ha visto rinsavire Marcus Peters, passato dalla crisi di nervi di New York all’ampia dimostrazione di talento di domenica contro i Chargers, dove si è rivisto il fantastico playmaker difensivo che può decidere da solo una partita se nella possibilità di tenere la testa a posto. Se ora i Chiefs possano tornare d’attualità nel panorama-playoff che conta di più ancora non lo sappiamo perché abbiamo imparato a conoscere la loro propensione ad affossarsi da sé, ma se dovessero riavvicinarsi ai ritmi offensivi del principio di campionato la postseason della Afc potrebbe prendere una piega ancora più incerta e divertente.

10) MARVIN LEWIS LASCIA UN RICORDO DI LONGEVITA’ AI BENGALS, MA NON LE VITTORIE CHE CONTANO

La notizia non è ancora stata ufficializzata, ma appena prima del kickoff delle prime partite domenicali tutti i notiziari americani hanno diffuso la notizia dell’esistenza di un comune accordo di divorzio tra Marvin Lewis ed i Bengals, ed il restio atteggiamento dei giocatori nell’affrontare ciò che resta di una stagione a dir poco disastrosa, cominciata male e proseguita nel peggiore dei modi, potrebbe esserne la testimonianza definitiva. Ci sembra una conseguenza piuttosto logica dopo tredici onorati anni di servizio dove Lewis ha certamente ottenuto risultati molto positivi trascinando la franchigia fuori dal periodo nero trascorso negli anni novanta dopo il Super Bowl raggiunto sotto le direttive di Sam Wyche, ma dove lo stress di non vincere nulla di importante ha cominciato a mietere le sue vittime.

Lewis lascia un ottimo ricordo ai Bengals per longevità e capacità di entrare nella testa dei ragazzi con estrema positività, rivestendo il ruolo di insegnante di vita prima ancora di quello di allenatore di football. Dall’inizio del suo mandato, ovvero la stagione 2003, ha portato Cincinnati per sette stagioni – di cui cinque consecutive – ai playoff centrando sistematicamente le scelte a livello di personale da cui farsi affiancare, vale la pena ricordare coordinatori come Mike Zimmer, Jay Gruden e Hue Jackson tra i suoi collaboratori di maggior successo, una storia la cui bellezza è cinicamente rovinata dall’impossibilità di vincere una sola partita di postseason, il peso più insostenibile che i Bengals si sono portati dietro in tutti questi anni di progressi ma di totale mancanza di successi veri.

Dopo quattordici anni ed un’asticella che non tende ad alzarsi di un millimetro il cambiamento è la decisione migliore per entrambe le parti coinvolte, è umano e perfettamente comprensibile arrivare a capire che in determinate circostanze forse meglio di così non si può fare, e darsi altre opportunità reciproche anziché sbattere la testa sempre addosso allo stesso muro senza riuscire a spostarlo di un minimo. A Lewis va il merito di aver saputo traghettare la squadra da un’era Palmer partita con i migliori auspici ma rovinata dagli infortuni sino all’avvento del discusso Andy Dalton, sotto il quale sono arrivate nove vittorie di media in regular season, una cifra che la Cincinnati dei vari Blake, Kitna, Klingler non sognava nemmeno nelle notti più speciali. Il suo legame con la franchigia è questo, ma è anche quello delle sette partite di Wild Card perse, della sistematica capacità dei Bengals di trasformarsi in negativo sotto la pressione del clima-playoff, del non essere mai riusciti a misurarsi con il top della competizione.

L’opinione è che la bilancia possa pendere da una parte o dall’altra a seconda dei fattori presi in considerazione, il che rende particolarmente difficoltoso un giudizio definitivo sul suo operato, dal nostro punto di vista ci sono parecchie positività, su tutte la capacità di far rendere dei ragazzi particolarmente in difficoltà a livello caratteriale, ma alla fine le carriere tendono ad essere giudicate più per i traguardi che non per l’umanità. E questo ci fa pensare che una via di mezzo sia la soluzione in grado di sbrogliare la matassa.

One thought on “Ten Weekly Lessons – Week 15

  1. Secondo me al Championship della AFC ci sarà Jacksonville. Hanno una difesa troppo dominante.

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