1) IL CASO ELLIOTT FA ACQUA DA TUTTE LE PARTI

Dovunque si volga la questione la situazione è comunque spiacevole e controversa. Non ci addentriamo nemmeno all’interno dei complessi e numerosi passaggi che hanno creato la situazione di stallo attuale, lasciando grossi punti di domanda su una sospensione di cui non si conosce ancora la sorte definitiva, vorremmo piuttosto trattare la questione da un punto di vista etico e morale, evidenziando tutte e contraddizioni del caso.

Lato A: la figura che ne fa la Nfl. Non di certo elegante, ma d’altro canto se il caso Deflategate è stato gestito in maniera così superficiale un motivo ci dev’essere. La Nfl, nella persona del suo commissioner, ha sancito un’altra sospensione per un fatto sul quale non ci sono accuse ufficiali a carico del giocatore in questione ma solo sospetti per un’indagine che dev’essere completata. Chiaro, se Elliott ha fatto cavolate – ed ha pure dei precedenti – va punito in maniera esemplare, ma il fatto che il contratto collettivo dia alla Lega la possibilità di sospendere senza prove definitive a carico da parte delle autorità competenti lascia certamente una scomoda sensazione di amaro e rivedibile coerenza. Non ha senso che durante un campionato una squadra non sappia con certezza se potrà utilizzare o meno un giocatore (determinante peraltro) di settimana in settimana, perché tale squadra ha il diritto di organizzarsi trovando le alternative senza alterare il piano di gioco in tempi così ristretti. Non ha senso tutto questo tira e molla tra corti federali ed avvocati a campionato in corso, perché si rischia seriamente di recare danno da una parte o dall’altra, e di venire meno a principi di equità, sminuendo tutti i messaggi sociali che la Nfl promuove (ad hoc).

Lato B: la figura che ne fa Jerry Jones. Ovvero una delle spalle più sicure per il rinnovo del mandato di Roger Goodell, così come lo era Robert Kraft prima del caso-Brady, elettori di spessore che d’un tratto vengono a mancare. Fossimo noi in Jones ci saremmo risparmiati certe uscite assai poco coerenti, dichiarando alla stampa l’assoluta certezza della mancanza di colpevolezza di parte di Elliott cercando di costruirsi un’aura vittimistica attorno giusto un paio di settimane dopo aver minacciato il licenziamento di ogni Cowboy che avesse pensato di restare seduto durante l’esecuzione dell’inno americano. Jones, da buon proprietario contraddistinto dalla giusta dose di avidità, così agendo ha mandato solo un messaggio chiaro, quello di essere disposto a cambiare faccia in base alle proprie convenienze. Se Elliott si fosse inginocchiato durante l’inno sarebbe disoccupato, però difenderlo a spada tratta – anche qui, senza certezze se non la parola del giocatore – solo perché la sua presenza in campo dà maggiori certezze di provare la corsa al Super Bowl, è ammesso.

Viva la coerenza…

2) LA STRISCIA VINCENTE DEI SAINTS NON PUO’ PIU’ ESSERE IGNORATA

Avete presente quella sensazione di sospetto che aleggia attorno a determinate squadre che hanno teoricamente troppi difetti per erigersi allo status di contender? Ecco, a nostro parere i Saints quest’anno sono esattamente quel tipo di compagine, destinata di settimana in settimana a scacciare le ombre sul proprio operato a suon di vittorie, confezionando una striscia di affermazioni consecutive oggi giunta a quota sei e valida per la momentanea supremazia della Nfc South.

Un’occhiata a quanto raccolto sinora e alla contemporanea prospettiva di ciò che rimane del calendario può legittimamente far pensare che il difficile debba ancora venire, in ogni caso ci pare chiaro il come i Saints non possano più essere ignorati in prospettiva playoff, se non altro perché la loro continuità è generata da dati significativi e non da una serie di circostanze fortuite, proprio come attestano i 15 punti medi di divario registrati ai danni degli avversari. Un chiaro segno che le prestazioni di squadra sono state dominanti, con contributi in arrivo da più direzioni.

La difesa sta portando avanti con costanza una stagione di eccellente rendimento, i pilastri sono rappresentati dalla temibile pass rush portata da Cameron Jordan e dall’inarrestabile ascesa di Marshon Lattimore, che oltre ad essere ben proiettato per divenire il rookie difensivo dell’anno si sta costruendo una solida fama di corner in grado di ingabbiare i migliori ricevitori della Nfl, i Saints sanno come mettere pressione al quarterback ma anche come frustrarlo con i passaggi battuti a terra e con i turnover, una dimensione chiaramente assente dalle ultime due o tre edizioni del team, e sinistramente simile alle caratteristiche della squadra che vinse il Super Bowl sette anni fa.

I contributi delle matricole non si fermano certo a Lattimore, e contributi assai importanti sono giunti da Alvin Kamara, dinamico e molto produttivo, dal tackle destro Ryan Ramczyk, e dal free safety Marcus Williams, che assieme a Lattimore è responsabile della grande stagione delle secondarie. Aggiungiamoci il contributo di Justin Hardee, rookie mai scelto che ha bloccato un punt domenica contro Tampa Bay, ed il quadro di nuovi innesti è davvero entusiasmante, a patto che la tabella di marcia venga rispettata anche nella difficile trasferta a Buffalo, nella futura doppia sfida con i Falcons che può ancora rimettere in discussione tutto, e nelle seconda gara stagionale contro i Panthers, altro passaggio determinante per misurare le vere ambizioni di questi Saints vincenti, che oramai non fanno più notizia.

3) AJAYI E’ UN REGALO INATTESO PER UN ATTACCO GIA’ FORMIDABILE

A Philadelphia piove sul bagnato, e possedere uno dei migliori attacchi della Lega in abbinamento al miglior record assoluto evidentemente non bastava. Sulla cessione di Jay Ajayi abbiamo letto ogni possibile informazione per meglio comprendere i motivi della decisione dei Dolphins, lettura dalla quale sono emerse solamente delle insoddisfazioni da parte del coaching staff per la mancanza di concentrazione nell’esecuzione di determinati schemi, con evidenti riferimenti alle situazioni di pass protection ed eventuali letture dei movimenti della linea. Non il tipo di giocatore in grado di restare in linea con le esigenze dell’organizzazione dunque , fatto avvalorato dalle lamentele nemmeno tanto velate che il running back avrebbe espresso in tutte quelle situazioni dove sentiva di non essere stato coinvolto a sufficienza nel piano partita.

Gli Eagles se la cavano con una quarta scelta 2018, un prezzo di poco conto per un giocatore che solo una stagione fa era considerato tra le migliori armi offensive a disposizione di chiunque, questo nonostante le yard di media a portata siano scese da 4.9 a 3.7, perché nel ragionamento è necessario considerare il livello di prestazioni fornito dalla linea di Miami, certamente inferiore rispetto al 2016. Ora Philadelphia, già povera di alternative, può vantare una rotazione invidiabile. Lo schieramento prevede un sicuro astro nascente nel ruolo di quarterback, un gruppo di cinque running back da utilizzarsi in differenti situazioni, ed un pacchetto ricevitori di sicura affidabilità, con un Jeffrey finalmente incisivo, un Agholor in rampa di lancio ed un Ertz annoverabile tra i maggiori interpreti nel ruolo di tight end. Tutto grasso che cola…

L’aggiunta di Ajayi non fa che aumentare l’equilibrio offensivo su cui poggiano le solide fondamenta degli Eagles, un bilanciamento che per le qualità in dote al giocatore rappresentano uno sposalizio ideale. L’attacco offre una produzione di 240 yard su passaggio per gara, mentre la fase su corsa ne genera ben 136, sfidando chiunque nel comprendere come allestire un piano difensivo utile se non altro a rallentare dei ritmi che sono diventati insostenibili per tutti. La schiera di armi offensive e disposizione di Wentz è assai versatile ed Ajayi, che è bravo sia nel correre con il pallone che nel proporsi come ricevitore esterno, presenta una solida alternativa per creare tutti quei big play di cui è capace. E Philadelphia, di giocatori di questo genere, non era certo sprovvista.

4) LE PROSPETTIVE DEI TEXANS CAMBIANO COME IL GIORNO E LA NOTTE

La stagione dei Texans è un qualcosa di altamente frustrante da sopportare per qualsiasi affezionato tanti sono stati i cambi di umore e prospettiva che si sono alternati durante la stagione. Un campionato partito nel peggiore dei modi, con l’esclusione di Tom Savage dopo soli due quarti di gioco, aveva ben presto affossato le speranze di una squadra appesantita dal perenne problema-quarterback, salvo riprendere quota nel quadro complessivo della Afc grazie alle evoluzioni dello spettacolare DeShaun Watson, una giusta ricompensa per chi aveva dovuto soffrire la perdita di J.J. Watt e Whitney Mercilus durante la stessa sfortunata partita.

Il resto del campionato avrebbe dovuto suggerirci se, oltre ai grandi numeri, Deshaun Watson fosse stato capace di generare un numero di vittorie tale da poter sperare di competere per la Division, un obiettivo rimasto incompiuto nel momento stesso in cui il legamento del ginocchio di Watson ha deciso che per quest’anno di tornare in campo non se ne parla più. Questo saliscendi di emozioni vede ora tornare verso il basso le quotazioni texane, dato che quanto mostrato da Tom Savage è quanto di più lontano possa esistere dall’autentica impresa centrata da Watson, quella di rendere l’attacco dei Texans un reparto in grado di generare autentici fuochi artificiali.

Di fronte a tali avversità non resta che continuare a lottare con i mezzi che rimangono a disposizione, i quali pochi non sono ma che non possono certo garantire un uguale tasso di talento. Di conseguenza l’attenzione torna verso la difesa, il reparto maggiormente attrezzato per fare la differenza ed aiutare la sopravvivenza di una squadra chiaramente destinata a non segnare più come faceva prima. La sfida di domenica contro i derelitti Colts è stata ben di esempio da questo punto di vista dati i 14 punti messi a segno, metà della produzione del regime-Watson peraltro alimentata da un touchdown difensivo, un chiaro segnale delle grandi difficoltà che attendono dei Texans ora sfavoriti tanto nei confronti di Jacksonville quanto di Tennessee.

5) IL QUADRO PLAYOFF DELLA NFC E’ DRASTICAMENTE CAMBIATO

Ovvero, il bello della Nfl. Tutto può cambiare rapidamente da un anno all’altro mutando il volto delle protagoniste di turno, e quest’anno non fa certo eccezione. Chi era pronosticato in alto sta faticando non poco oppure ha già un piede fuori dai giochi, mentre squadre non troppo considerate stanno percorrendo la loro strada a velocità doppia rispetto alle altre. E’ un trend che colpisce tutta la Nfc.

Laddove i Cowboys dovevano ripetersi dall’alto dell’eccellente regular season dello scorso anno ecco arrivare gli inarrestabili Eagles a soffiare loro il posto, Atlanta è in crisi poco reversibile ed è stata sorpassata dalla rinascita della difesa dei Saints e dalla ritrovata consistenza dei Panthers, Minnesota guida a nord grazie anche all’uscita di scena di Aaron Rodgers ed i Rams stanno capitalizzando al meglio gli eccessi di una Seattle sempre molto difficoltosa da interpretare.

Poi ovvio, tutto è assoggettato alla seconda parte del percorso e molte squadre dovranno giocarsi gli scontri diretti decisivi proprio in questa fase con il pericolo di rivoltare tutto ciò che ci siamo impegnati a scrivere, ma il panorama – rispetto al preventivato – è quanto di più differente si potesse arrivare a pensare per una serie di ragioni. Nessuno si aspettava dei Saints così punitivi in difesa dopo gli ultimi e deludenti anni offerti dallo specifico reparto, su Wentz e Goff erano attesi dei progressi rispetto alle annate da rookie ma non così evidenti da pensare di bruciare le tappe in modo così eclatante, mentre i Vikings, a causa del tasso di talento offensivo inferiore rispetto alla media della Conference, non erano più di tanto calcolati.

Il panorama, dunque, è vario e divertente, le forze in gioco sono equilibrate in maniera non scontata, ed il quadro dei playoff nella Nfc – mantenendo ritmi simili a quelli attuali – si prospetta curioso e totalmente differente rispetto alle più recenti edizioni della postseason, uno scenario di sicuro interesse se paragonato al solito dominio dei Patriots dall’altra parte del guado con relativi segnali di concorrenza forniti da un piccolo pacchetto di squadre che si limita a contare su Steelers e Chiefs.

6) L’ATTACCO DI SEATTLE VA A CORRENTE ALTERNATA

La difesa dei Seahawks è già stata oggetto di varie sottolineature dopo la ripassata rimediata contro Deshaun Watson tra le mura amiche, una gara che seppur vinta grazie alle infinite possibilità che un quarterback come Wilson offre ha messo in luce parecchi punti deboli insiti in un reparto conosciuto per la sua aggressività e per la sua propensione a concedere statistiche inferiori alla media anche agli attacchi più attrezzati in circolazione.

Domenica, con i Redskins di passaggio nell’inferno uditivo di Seattle, è invece venuto a mancare l’apporto di un attacco migliorato a stagione in corso e già capace di oltrepassare le 400 yard di total offense in cinque situazioni differenti, ivi comprese le ultime tre uscite consecutive, una statistica che stride contro i soli 14 punti messi a referto contro un’avversaria sulla carta inferiore. La difesa di Washington è indubbiamente tra i reparti maggiormente migliorati tra una stagione e l’altra, poche discussioni, tuttavia i conti vanno eseguiti con tutte le opzioni in mano, ed è impossibile non notare il peso degli errori auto-inflitti nelle economie della resa casalinga dei mai arrendevoli Seahawks.

Come spesso è accaduto durante l’anno, l’attacco della squadra di Pete Carroll ha mostrato fasi alterne in termini di rendimento, e se davvero poco si può imputare ad un Wilson completamente dedito alla causa e determinante nel tenere a galla le sorti, alcuni dei restanti problemi hanno sortito effetti esattamente contrari. Si parla spesso di una linea offensiva non all’altezza del talento del suo quarterback, fattore che si spera sia destinato a cambiare con l’inserimento nella lineup titolare della sicurezza chiamata Duane Brown, ma gli alti e bassi più evidenti sembrano rimanere abbinati al gioco di corse, il quale rimane affidato ad una rotazione di giocatori non capaci di reperire un protagonista realmente in grado di fare la differenza.

Tale ruolo sarebbe potuto essere di Chris Carson, ottimale contribuente purtroppo fermato da una frattura appena sotto il ginocchio che ne ha comportato l’inserimento in injured reserve, per il resto si può tranquillamente bollare come fallimentare l’acquisizione di un Eddie Lacy impalpabile, il che lascia spazio alle sole alternative fornite da Thomas Rawls, perennemente alle prese con noie fisiche, e J.D. McKissic, scattante e veloce ma adatto ad un numero di situazioni limitato. L’assenza di un giocatore in grado di siglare il centinaio di yard in singola gara ed il fatto che sia Russell Wilson il miglior corridore di squadra sono fatti che si vanno ad aggiungere ad un’esecuzione non certo impeccabile visto l’accumulo di penalità commesse (138 yard lasciate per strada nella sola gara di domenica) e alla nuova crisi psicologica che sta attraversando il kicker Blair Walsh, reo di aver fallito tre calci nel solo primo tempo.

La situazione vede Seattle sempre in corsa per la vetta divisionale e, nella peggiore delle ipotesi, a portata di Wild Card, ma rientrare nell’elenco delle vere contender presuppone una risoluzione svelta di questi fondamentali aspetti, e questa settimana, con la squadra impegnata nel Thursday Night, è già più corta di quanto si desideri.

7) I GIANTS HANNO DEFINITIVAMENTE MOLLATO 

E’ un’affermazione importante, ma ampiamente supportata dall’atteggiamento visto in campo da molti giocatori dei Big Blue. Rientrare dalla settimana di pausa, giocare in casa e concedere il maggior numero di punti nel proprio impianto dal 1964 ai giorni nostri proponendo una galleria degli orrori capace di far rabbrividire qualsiasi purista del football americano non crediamo sia la ricetta migliore per cominciare una seconda parte di stagione già abbondantemente lunga, ed appesantita dalle numerose dimostrazioni di come Ben McAdoo abbia letteralmente perso la gestione dello spogliatoio, tra le quali spicca la sospensione a tempo indeterminato di Janoris Jenkins.

I Giants ne hanno combinate di tutti i colori: hanno perso con una differenza di 34 punti, permesso agli avversari di segnare in otto possessi su nove nei primi tre quarti, e concesso sei giocate superiori alle trenta yard, compreso l’infame touchdown regalato a Robert Woods in occasione di una conversione di un terzo down con t-r-e-n-t-a-t-r-e yard da prendere, episodio-chiave per comprendere l’atteggiamento complessivamente negativo di squadra. Il riesame dell’azione denota una pessima reazione difensiva corale, il passaggio era uno screen da difendere in modo agile visti i sette defensive back impiegati nello specifico, ed il linguaggio del corpo resta un qualcosa di misterioso. Vedere Landon Collins prendere un angolo di placcaggio completamente sbagliato per poi tentare una goffa rincorsa ed osservare Eli Apple correre dietro all’avversario con la stessa velocità di un bradipo equivalgono a gesta inaccettabili in ambito professionistico, una caduta nel ridicolo che evidenzia mancanza di orgoglio.

La quinta stagione delle ultime sei senza i playoff è ufficialmente una concretezza, ed il posto di McAdoo è tutt’altro che garantito. L’ultima parte di campionato potrà fungere da audizione per trovare i punti fissi dell’immediato futuro, Eli Manning stesso potrebbe essere risparmiato per evitargli inutili infortuni e per testare Davis Webb, cercando di  direzionare una situazione che – data l’anagrafe del piccolo Manning – dovrà essere preparata più prima che poi. Ma questo, visto l’atteggiamento dei giocatori, potrebbe essere solo l’ultimo dei problemi dei Giants.

8) I RAIDERS DIPENDONO DAI GIOCHI SUL PROFONDO

L’andamento della prima parte della stagione ha chiaramente svelato la necessità dei Raiders di imporre il gioco di corse per aprire le soluzioni di cui la squadra gode sul profondo, un’arma che per tutta la scorsa stagione ha fatto la differenza aiutando la franchigia a raggiungere i playoff. E’ difatti interessante la correlazione tra le percentuali di Derek Carr sul profondo e l’efficienza offensiva di squadra, il che si traduce in una possibilità di vittoria esponenzialmente maggiore, ma prima di giungere a questo è determinante il lavoro del backfield per concentrare le difese nel box, e creare le singole coperture più opportune a vantaggio dei ricevitori.

Marshawn Lynch aveva senso soprattutto sotto questo punto di vista, data la sua fama di giocatore fisico ed imponente, in grado di martellare duramente, anche se dal momento del ritorno dal suo momentaneo esilio auto-imposto dal football giocato mai era parso in grado di scrollarsi totalmente la polvere di dosso. Un elogio va senza dubbio a Del Rio, che domenica non ha abbandonato le corse nonostante le sole otto yard registrate da Lynch in tutto il primo tempo a causa dell’efficienza del front seven di Miami, una decisione che ha sostanzialmente vinto la partita. Le scampagnate in pieno stile Beast Mode, tra cui una meta di 22 yard con tanto di trasporto gratuito di difensori assortiti, hanno sortito la prima gara stagionale di Lynch con più di un touchdown all’attivo, e le prime segnature dalla quinta settimana di gioco, interrompendo un’astinenza che si stava facendo preoccupante.

L’imposizione del gioco a terra ha provocato l’effetto desiderato da Del Rio, permettendo a Carr di sfruttare appieno le grandi qualità del suo braccio terminando la partita di Miami con un ottimo 11/16 per 250 yard nelle situazioni di passaggio superiori alle 10 yard, generando tutti i big play che per gran parte dell’anno sono venuti a mancare. Tenendo conto del 45% stagionale che Carr aveva tenuto in precedenza in circostanze analoghe, una parte delle inaspettate sconfitte dei Raiders può tranquillamente essere spiegata, ed ora la prospettiva è quella di recuperare il terreno perduto approfittando degli incidenti di percorso delle concorrenti, dato che un bilancio di 4-5 non impedisce certo di sognare la postseason. Carr avrà l’occasione di rinnovare la sua efficienza sul profondo contro i Patriots, prossimi avversari dei Silver & Black, una ghiotta occasione per aprire una difesa migliorata, ma non certo irresistibile.

9) JOSH MCCOWN STA GIOCANDO IL MIGLIOR FOOTBALL DI CARRIERA

Chi avrebbe mai pensato di scrivere una frase del genere il giorno precedente alla partenza del campionato? Eppure i fatti portano esattamente verso questa direzione, il McCown trentottenne è il migliore mai visto nella sua lunga carriera (14 stagioni) fatta di sette squadre Nfl ed il continuo giostrarsi tra il ruolo di titolare e backup, lui che di questi Jets doveva essere il traghettatore nel brevissimo periodo e che oggi risulta invece tra i maggiori motivi della sorprendente annata bianco-verde.

Per ovvie ragioni d’età il futuro non è lui, ma il presente è qui ed è già un passo molto importante per una squadra che ha superato di gran lunga le aspettative grazie anche alla precisione con cui il buon vecchio Josh sta giocando all’interno di un sistema offensivo che gli calza a pennello, costruito su passaggi corti per guadagni sistematici con la conseguenza di tenere un sostanzioso 70% di completi nelle nove gare sinora disputate. Il dato più sorprendente? Il quarterback rating di McCown è stato superiore ai 100 punti in sei di queste nove occasioni, mentre nei quattordici anni di precedente esperienza il quarterback era riuscito nell’impresa solamente sedici volte in totale.

Grazie ad una difesa giovane e consistente ed al contributo di un quarterback che si è tenuto molto bene lontano dai guai – con la sola esclusione di un paio di intercetti discutibili – i Jets hanno tenuto un ruolino di marcia invidiabile, e va inserito nel ragionamento il fatto che la squadra ha perso le tre partite precedenti allo scorso Thursday Night con uno scarto uguale o inferiore ai sette punti, segno che la squadra in partita c’è sempre rimasta, misurandosi alla pari soprattutto negli sconti divisionali. Il McCown di oggi è molto più che un ponte che unisce un punto ad un altro, è la testa di una squadra che ha dimostrato di poter essere competitiva sventando tutte le possibili ipotesi di un tanking atto a mirare ad una scelta altissima nel prossimo Draft, momento nel quale si presume debba uscire la soluzione più o meno definitiva per un ruolo che dietro al navigato veterano non offre sostanzialmente nulla.

10) L’ATTACCO DEI TITANS CRESCE, MA NON E’ ANCORA STABILE

La freccia offensiva punta indiscutibilmente verso l’alto ed è una buonissima notizia per una compagine che nell’ultimo mese ha offerto un football difensivo di alto livello. Quella che era la principale debolezza di squadra sta crescendo mano a mano che le settimane trascorrono, è un attacco non più stagnante così come poteva esserlo dodici mesi fa, al quale manca solo quel pizzico di costanza in più per ottenere risultati maggiormente rilevanti.

Non che quanto combinato da Tennessee fino a questo momento sia negativo, intendiamoci, si parla della vetta divisionale in co-abitazione con i Jaguars ed una striscia aperta di tre vittorie in fila, tuttavia gli incidenti di percorso ci sono stati e sono risultati a volte notevoli (57 punti al passivo contro Houston), e l’alternanza delle prestazioni offensive ha giocato un ruolo determinante. Di certo Mike Mularkey ha scovato la formula adatta per far rendere al meglio la squadra, basando tutta la filosofia offensiva sulla fisicità e dando quel pizzico di imprevedibilità resa possibile dalle dinamiche doti appartenenti a Marcus Mariota.

Nelle ultime due gare, ad esempio, i Titans hanno corso tutt’altro che bene riuscendo a vincere ugualmente, un dato che va contro-corrente rispetto ad una tendenza che li vede sempre vincenti quando le yard su corsa superano abbondantemente le 100, evidenziando che proprio quello è il loro modo di dominare le partite. E’ un calo che ha a che vedere sicuramente con l’imperfetto status fisico di un DeMarco Murray che non sta bene da agosto e che ha perso l’esplosività a causa degli infortuni nonostante si sacrifichi per la causa tutte le domeniche, ma anche con la concentrazione di difensori che Derrick Henry è in grado di richiamare a sé, visto che in quasi metà dei suoi snap di corsa le difese gli piazzano addosso otto uomini nel box.

Se solo i Titans riuscissero ad essere costanti a livello offensivo parificando l’efficienza del reparto rispetto alle ottime prestazioni della difesa (occhio alla stagione di Kevin Byard, strepitosa…), potremmo senz’altro parlare di una valida alternativa alle migliori squadra della Afc, inserendo una ventata d’aria fresca in un contesto che offre sempre le solite proposte. Parte del problema può essere risolto grazie alla dinamicità del rientrante Corey Davis, un’arma che se aggiunta alla consistenza già offerta da Matthews e Walker potrebbe fornire alla squadra quella dimensione oggi mancante in termini di velocità, una versatilità di cui il già forte di gioco di corse potrebbe approfittare per sfiancare le difese su base settimanale, e non solo occasionale.

One thought on “Ten Weekly Lessons: Week 9

  1. Puoi avere l’attacco migliore del mondo (e non è il caso di Seattle) ma se il kicker sciopera e uno dei più pagati tight-end/ricevitori della lega droppa in end-zone all’ultimo minuto la sconfitta fa parte dell’ordine naturale delle cose.

    Viceversa se il Lynch di Oakland rimane concentrato e Carr guarisce completamente i Raiders sono da Superbowl.

    Philadelphia, come esperienza insegna, o comincia a perdere qualche partita inutile (magari nelle ultime settimane, assicurato il seed) facendo riposare/ristabilire i titolari o imploderà sul più bello: basta che Wentz toppi una volta o due.

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