1) La Week 3 si è aggiudicata il premio “Giornata annuale della pazzia Nfl”

Bello vero? Passiamo le settimane a studiarci le squadre, a fare probabili pronostici, a capire le tendenze, per poi vederci annientati dalla pazzia che almeno una settimana l’anno colpisce i vari impianti di gioco della Nfl. D’accordo che il football americano ha il proprio fascino nell’imprevedibilità, ma qui si sta rasentando l’incredibile.

Qualche dato? Possiamo scegliere tra un’estrema varietà di esempi, come ad esempio la ripassata presa a Londra dai Ravens, andati a concedere 44 punti ai Jaguars con 4 passaggi da touchdown per Blake Bortles, Jordan Howard che sorprende gli Steelers in overtime, Case Keenum – irrimediabilmente perso nel caos losangeleno solo pochi mesi fa – autore di 3 connessioni vincenti con i suoi ricevitori permettendo a Minnesota una vittoria impensabile contro Jameis Winston, i Jets tenere Miami a soli 6 punti nonostante l’enorme sfavore in tutte le ipotesi di epilogo della partita ed infine Denver perdere contro gli improduttivi Bills.

Ad arricchire il piatto sono poi arrivate le partite del tardo pomeriggio americano e della relativa serata, con i Saints occupati a seppellire ciò che restava di Cam Newton e dei suoi Panthers di belle speranze nonostante la difesa della Louisiana non avesse retto contro nessun tipo di azione nelle due settimane precedenti, Aaron Rodgers alla fine ce l’ha fatta ma è servito un supplementare per aver ragione dei deboli Bengals, ed i Redskins hanno confezionato uno dei miracoli di giornata massacrando David Carr (118 yard, 2 intercetti) sotto una pressione indicibile e tenendo Marhsawn Lynch a 18 yard in 6 portate.

Segnamola bene nella memoria, perché non è detto che si ripeta a breve.

2) Jared Goff è uscito dalle tenebre

Pare ieri. Jared Goff, biondo, californiano, futuro roseo davanti a sé, pronto a prendere in mano le redini dei (nuovi) Los Angeles Rams proprio vicino a casa sua, una tradizionale storia americana perfettamente sceneggiata e puntualmente rovinata dallo stato catatonico in cui era caduto l’attacco improbabilmente gestito da Jeff Fisher e collaboratori assortiti, dando il largo a tutte le illazioni conseguite e riguardanti eterni confronti con il co-scelto Carson Wentz, l’alto investimento speso dalla franchigia per ottenere la prima assoluta, ed il fatto che Jared non fosse pronto a scendere in campo alla conclusione del suo primo training camp.

L’arrivo di Sean McVay al timone della squadra ha rappresentato quanto di più propedeutico si potesse immaginare. Qualsiasi cosa ne pensi Mike Martz ce ne interessa il giusto (per la cronaca: ha aspramente criticato McVay per la giovane età), il mondo è fatto di opinioni e va bene così, ma il 31enne head coach ed ex-offensive coordinator dei Redskins ha idee chiare, innovative, e condivide con Goff il fatto di essere molto giovane per la sua posizione e di dover dimostrare ancora molto nonostante si conoscano bene le sue potenzialità. Un quadretto perfetto, costruito per crescere in maniera fiorente sotto il sole della California.

Non vorremmo passare per ciarlatani e sostenere che d’un tratto i Rams sono tornati ad essere The Greatest Show On Turf solo perché sono riusciti a piazzare due quarantelli in tre uscite, va tutto pesato analizzando contesto ed avversario per poi trarre le dovute conclusioni. La nostra è che, osservando Goff in azione in due di queste tre gare, sia notabile – oltre che il chiaro progresso statistico – un livello di grinta e sicurezza differenti rispetto al ragazzo spaesato che non era riuscito a vincere una sola gara da titolare nel corso del 2016, una fiducia nei propri mezzi che McVay ed il suo nuovo staff hanno rinfrescato scampando il pericolo di vedersi bruciare sotto gli occhi un talento cristallino, che ora la storia di cui sopra può davvero cominciare a scriverla.

3) Nel Tennessee la old school funziona ancora

La Nfl moderna si sa, è tutta un attacco aereo. Passata di moda la Wildcat ed assai diminuito il quantitativo di Read Option utilizzato, sono semplicemente restati i grandi numeri dei quarterback, che oggi avvicinano o superano le 5.000 yard con facilità irrisoria, riempiendo di generose attenzioni ogni ricevitore che il roster possa presentare.

Nel football persiste sempre tuttavia una forte componente di tradizione, e non tutti gli allenatori sono pronti a sacrificare o modificare in parte il proprio pensiero filosofico – che arriva sempre da una scuola della generazione precedente – per tuffarsi nelle mode del momento, alcune delle quali tendono ad attingere dai concetti base proposti dagli ultra-produttivi attacchi dei College. Mike Mularkey la pensa ancora differentemente dalla massa e va tranquillamente controcorrente sicuro di ciò che fa, conscio di rappresentare la minor parte di questa barricata.

Contro Seattle abbiamo vissuto una parte del rinascimento del gioco fisico, in un’era dove tante linee offensive sono costruite sulle qualità atletiche e si bada al bombardamento missilistico più che ad ogni altro aspetto. Mariota sta prendendo sempre più la forma di un quarterback ordinato e preciso, molto determinato nonostante le apparenze dicano il contrario, mobile nella quantità necessaria a risolvere situazioni improvvisando o a giocare, appunto, sprazzi di Read Option. La parola d’ordine è in ogni caso fisicità ma con un pizzico di versatilità, perché la componente atletica è determinante per permettere a Tennessee la riuscita di diversi schemi che hanno fruttato punti di livello spettacolare.

Pensiamo alla dura lotta in trincea portata avanti dal centro Ben Jones, dalla cattiveria agonistica del tackle Taylor Lewan, agli schemi che prevedono Dennis Kelly come sesto uomo di linea innescando concetti di power football, roba che arriva dritta nei denti e senza nemmeno tanto preavviso, proprio come si usava fare una volta. E pensiamo al tempismo con cui questi massicci linemen escono a bloccare fuori dalla tasca rendendosi direttamente responsabili di lunghe cavalcate trasformate in meta – nel caso specifico – da DeMarco Murray e Rishard Matthews, ed al continuo alternarsi tra Murray medesimo e Derrick Henry, un’ottima ricetta per sfiancare ogni difesa. Compresa quella di Seattle.

4) I Lions sono pronti per misurarsi con il top della Nfc

Spesso le prospettive di una determinata squadra si misurano in due modi: il primo riguarda esclusivamente il tasso di talento a disposizione, il secondo si rivolge invece all’aspetto mentale ed umano della faccenda, guardando la maturazione del collettivo in determinate circostanze. Questo perché il gruppo più entusiasmante d’atleti dell’universo mai e poi mai potrà ottenere i risultati desiderati senza sfoderare un adeguato spirito in tutte quelle circostanze dove la partita richiede la condizione cerebrale corretta per chiudere una qualsiasi situazione di pressione.

Riguardo al talento, si parla oramai da anni di come Matthew Stafford abbia sgomitato con successo per farsi largo tra i top quarterback della Nfl, un pensiero non solo avvalorato dalla storica stagione 2011 con oltre 5.000 yard e 41 passaggi vincenti a referto, ma anche – e soprattutto – dai 29 drive di carriera condotti all’interno dell’area di meta con la sua squadra sotto nel punteggio, i cosiddetti game-winning drives, statistica arricchita già nella gara d’esordio vinta in rimonta contro i Cardinals a seguito di un pomeriggio colmo di errori, e di conseguenza trascorso a rincorrere l’avversario.

Se Stafford è garanzia sostanziale di produttività offensiva, non guasta il lavoro di miglioramento eseguito nei confronti di una difesa che ha rappresentato più spesso che no il reale motivo per cui Detroit non è riuscita ad affermarsi con stabilità nel quadro competitivo della Nfc, un esercizio che la squadra dei Ford potrebbe essere invece oggi pronta ad affrontare. La capacità di gestire uno svantaggio con la sicurezza di poter superare qualsiasi tipo di situazione emotiva, le concessione di minori yard e punti rispetto al passato grazie ad una difesa giovane e reattiva, il mettere in crisi Matt Ryan in singola partita, sono tutti segni inequivocabili che al talento dei Lions si sta appaiando la maturità agonistica. Teniamoli d’occhio, perché potrebbero recitare ruoli interessanti in futuro.

5) Tom Brady è immune al trascorrere del tempo

Automa? Bevitore da fonti di eterna giovinezza? Un po’ uno un po’ l’altro? Passano gli anni per tutti, ma Tom Brady resta sempre quello che è: spietato nell’infierire contro l’avversario. I Patriots non hanno giocato minimamente bene in una domenica dove Houston ha tentato in qualunque modo di diventare una delle notizie con la N maiuscola di una già caotica giornata, mettendo in pericolo un’apertura di campionato già non esattamente limpida e caratterizzata dalle ancora fresche ferite riportate nell’opener contro Kansas City, partita che già dai nastri di partenza aveva posto alcuni seri dubbi sull’efficienza difensiva dei Campioni in carica.

Ci vuole sempre un concorso di eventi per determinare l’indirizzo della sorte di una gara, ed i Texans, pur conoscendo la persona con cui hanno avuto a che fare per tutto il pomeriggio, hanno dimostrato di non aver appreso la lezione servendo il classico piatto d’argento dinanzi ad uno dei più grandi campioni d’ogni epoca. Il concorso menzionato poc’anzi include un prezioso terzo-ed-uno non convertito con Deshaun Watson e compagnia bella posizionati sulla linea delle 18 di New England, con la più ghiotta delle occasioni di chiudere la gara – il cronometro recitava due minuti e mezzo scarsi quale rimanenza – puntualmente lasciata sfumare.

Un field goal non basta, troppo poco. Brady è agonisticamente cattivo, e cinque punti di distacco – ovvero, costretto al touchdown – significano poco per uno che da diciassette anni dirige drive qualitativamente sopraffini e possiede l’argenteria ben conosciuta da tutti. Nonostante un holding per cominciare la serie della rimonta ed un quasi intercetto che avrebbe chiuso i discorsi, il numero 12 di Foxboro ha confezionato giocate rispettivamente di 15 e 27 yard per Gronk ed Amendola, la cui ricezione convertiva un terzo-e-diciotto, fumandosi il campo in un amen. Poi, l’ennesimo capolavoro: pressione davanti alla faccia, visuale disturbata, pochi secondi rimasti, ed un pallone uscito perfettamente dalla mano magica, calibrato per la ricezione in punta di piedi del nuovo giocattolino di questo attacco, Brandin Cooks. Conversione da due dello stesso. +3 Patriots e tanti saluti.

Il computo finale parla di 25 completi su 35 tentativi, 378 yard, 5 passaggi da touchdown. Dominare a quarant’anni? Et voilà.

6) I Vikings possono riprendersi il titolo di sorpresa stagionale

Lo detenevano già un anno fa, ricordate? La difesa invincibile, la mentalità ferrea e sana di Mike Zimmer, un attacco sufficientemente dotato per segnare il numero di punti adatto a portare a casa la pagnotta…un insieme di caratteristiche puntualmente evaporate con l’alto numero di infortuni che hanno ridotto in polvere il reparto offensivo (Bridgewater da subito, poi Peterson, Kalil, Smith) sino a farlo crollare in direzione verticale.

Oggi, nonostante le modifiche apportate al roster e l’assenza di tutti i personaggi sopra menzionati, possiamo senza dubbio restituire quel tipo di ruolo ad una squadra che non è variata nella propria mentalità vincente, ma che continua ad essere snobbata perché non produttiva o spettacolare come altre. Zimmer ha tantissime risorse, vale a dire profondità di squadra, ed un sistema di gioco che funziona. Ha sostituito Peterson con il promettentissimo Dalvin Cook, affidato il lato più delicato della protezione del quarterback a Riley Reiff, trovato in Case Keenum un degno sostituto dell’attualmente infortunato Sam Bradford senza che i risultati offensivi ne risentissero, un conseguimento importantissimo per una squadra pronta ad effettuare una solida marcia verso la qualificazione ai playoff in una Division non facile.

Mischiando gli ingredienti ne deriva un risultato sulla carta intrigante. Fino a questo momento abbiamo prestazioni di assoluta consistenza da parte dei quarterback, un running back fresco e atletico in grado di assicurare la produzione a terra, un playmaker come Diggs che sta aumentando con l’esperienza il proprio grado di affidabilità, la conferma che Thielen non era un miraggio e la solita difesa in grado di sconquassare qualsiasi linea offensiva grazie alle evoluzioni di pilastri come Griffen e Hunter.

Con un po’ di sfortuna in meno, può venirne fuori qualcosa di molto interessante.

7) I Ravens non sono mai partiti per Londra

Concordiamo sull’indubbia qualità della difesa di Jacksonville, peraltro alimentata dalla notevole acquisizione di un Calais Campbell che sta letteralmente facendo il diavolo a quattro, tuttavia ci pareva legittimamente inimmaginabile pronosticare il 44-7 con cui i Ravens sono rientrati negli Stati Uniti a seguito dell’infelice trasferta londinese.

Forse i ragazzi di coach Harbaugh non hanno mai lasciato l’aeroporto, chissà…solo pochi giorni fa l’America tutta (e noi…) parlava del ritorno all’essenza di questa squadra, che ha sempre vinto tanto con la difesa, salvo, appunto, farsi asfaltare da quattro passaggi da touchdown di Blake Bortles e concedere a Marcedes Lewis la giornata della vita dopo undici anni di onorata carriera, nella quale mai aveva sommato tre segnature all’interno di una singola occasione.

I Jags hanno ammassato oltre 400 yard di total offense contro quello che fino alla settimana scorsa era stato un autentico muro, segnando a ripetizione facendo fruttare i turnover avversari e doppiando Baltimore in termini di primi down registrati, il tutto nonostante una non certo brillante percentuale in conversione di terzi tentativi, una delle problematiche ancora prive di soluzione per la franchigia della Florida. Quella di Jacksonville è una prestazione che ci può anche stare – contro un altro tipo di difesa magari – se poi proiettiamo la visione generale della questione aggiungendo il contributo delle statistiche offensive dei Ravens, allora riusciamo a spiegarci tutto in maniera assai migliore.

L’occasionale giornataccia in difesa passi, ma cosa dovremmo pensare di un attacco già improduttivo nel 2016 che infila la bruttezza di 28 yard complessive su passaggio (che diventano 64 con il prezioso contributo di Ryan Mallett) con due intercetti ed un quarterback rating di 12 punti? Sarebbe questo il disperato bisogno di miglioramento di cui il reparto diretto da Flacco necessita come il pane? 186 yard di total offense gonfiate dalle inutili 82 yard su corsa del backup Alex Collins, 7 punti segnati sul 44-0, 3 palloni regalati e 12 primi down: speriamo che l’aria di casa faccia rinsavire, perché i prossimi sono gli Steelers, e ci sarà molto poco da scherzare…

8) I Panthers producono yard ma non mete

I field goal sono sempre i benvenuti, ma concludere troppe serie con un calcio invece di un touchdown può avere effetti psicologicamente deviastanti. Lo sa bene Cam Newton, che sta cercando di ritrovare il ritmo partita dopo una offseason trascorsa a recuperare dall’intervento chirurgico alla spalla, e che ha già ricevuto parecchi colpi evitabili in queste prime tre gare di campionato.

Nonostante Cam e tutte le armi a sua disposizione i Panthers non riescono a finalizzare i drive come vorrebbero, e per quanto il reparto individui spesso soluzioni corrette per muovere le catene, troppo spesso viene richiesta la presenza di Graham Gano per tentare di centrare i pali, un problema che sta lentamente affossando le sicurezze di squadra con riflesso diretto sui risultati portati a casa.

Contro i Saints sono bastate le prime due serie nel farsi un’idea del tipo di crisi che Carolina sta attraversando. Dopo aver ricevuto il kickoff l’attacco ha difatti tenuto il possesso di palla per nove lunghi minuti, salvo incepparsi in fase di conversione di terzo down a causa di un errore del tackle Matt Kalil, che ha protetto nella direzione opposta rispetto a quella dello schema previsto lasciando completamente sguarnito Newton. Un blocco mancato dal ricevitore Russell Shepard è stato determinante nel non convertire un terzo-e-sei dentro il territorio dei Saints, costringendo il secondo drive a vivere un epilogo uguale al precedente. Ed il tutto va correlato al fatto che, nel frattempo, Drew Brees stava accuratamente vivisezionando le secondarie, il che ci racconta una buona parte dei motivi del divario nel punteggio finale.

Correre ai ripari si può, anche se gli infortuni non aiutano. Newton ha spesso gettonato i suoi running back dovendo già fare a meno del fido Greg Olsen per la stagione, ed ora anche Kelvin Benjamin si è aggiunto alla lista di coloro che dovranno frequentare l’infermeria per quello che si spera sia il minor tempo possibile, quindi si puo’ contare sulla capacità di reazione del gruppo e sulla riduzione dei tempi nel processo di adattamento dei nuovi giocatori, alcuni dei quali – come Kalil – non sono ancora pratici del sistema e delle tempistiche con cui va praticato.

Finora si parla di 15 punti a partita messi a segno contro un potenziale molto più ricco. Domenica c’è la trasferta a Foxboro, e non dobbiamo ricordarlo certo noi che 15 punti mai e poi mai basteranno a seguire i ritmi imposti da Tom Brady.

9) Miami non può permettersi sconfitte di tale genere

Non si può porre sotto giudizio una sconfitta, ma le modalità con cui essa arriva quelle sì. D’accordo, c’era chi aveva scommesso la casa su uno 0-16 dei Jets da quanto scarse apparivano le possibilità di portare a casuccia anche solo una misera doppia vu, ma le variabili del football sono così tante da impedire certezze, e non è la prima volta che ci ritroviamo a sottolinearlo. Tuttavia, inscenare una tragedia offensiva così grande contro una squadra così poco attrezzata per vincere, richiede un impegno di non poco conto.

Adam Gase ha riassunto la partita di domenica meglio di chiunque altro liquidando il tutto con un coerente pure garbage, e sa bene che i Dolphins non possono subire sconfitte di questo tipo se davvero vogliono provare ad insidiare una Afc East che anche quest’anno pare già assegnata in anticipo. La linea offensiva ha perso ogni singola battaglia non riuscendo a creare i giusti corridoi per un Jay Ajayi fermo a 16 yard in 11 tentativi frutto anche dell’alterazione del pian di gioco, Cutler ed i suoi ricevitori hanno parecchio da spartirsi in termini di responsabilità, l’uno per le letture errate, gli altri per drop che hanno condizionato la prestazione offensiva, registrando una preoccupante e generale mancanza di concentrazione.

Gase ha centrato un traguardo di riguardo al suo esordio su questa panchina, riportando i Dolphins ai playoff per la prima volta in otto stagioni, un conseguimento sul quale pare logico continuare a costruire. Pur con l’aggravante dell’assenza forzata di Tannehill, è necessaria una forte sveglia per un attacco che deve ritrovare la sua immagine, nella quale Ajayi è libero di effettuare scorribande a piacere togliendo pacchi di pressione al quarterback, caratteristica che – guarda caso – sarebbe l’esatta cura contro la propensione all’errore che Cutler ha sempre manifestato in carriera.

10) Jake Elliott è il più improbabile protagonista della settimana

Chi è Jake Elliott? Chi si interessa alle sorti dei Bengals l’avrà certamente seguito in estate, se non altro per capire se il kicker uscito da Memphis fosse rimasto a roster al termine della preseason dopo essere stato scelto al quinto giro dell’ultimo Draft.

Elliott si è confrontato per tutto il training camp con il veterano Randy Bullock, rispetto al quale lo staff di Cincy aveva dichiarato di aver rilevato similari caratteristiche tecniche, non riuscendo ad impressionare sufficientemente per evitare di essere tagliato. Gli Eagles, tuttavia, hanno pensato a lui in occasione dell’infortunio che ha visto cadere in injured reserve il titolare del ruolo, Caleb Sturgis, regalando alla matricola una nuova possibilità a pochissime settimane dalla temporanea sospensione dei suoi sogni professionistici, un perfetto esempio degli alti e bassi che ogni buon kicker deve saper affrontare data la provvisorietà tipica della posizione.

Elliott non ha esordito in maniera esattamente felice durante la sua prima esibizione Nfl di sempre mancando una conclusione di 30 yard contro i Chiefs, ed ha spedito a lato un più impegnativo field goal di 52 yard nella battaglia divisionale contro i Giants, tre punti che sarebbero potuti costare parecchio dato l’equilibrio nel punteggio. La redenzione è arrivata allo scadere, ed i Giants si sono visti rimandare di altri sette giorni la possibilità di vincere la prima gara stagionale per effetto di un calcio che un rookie ha piazzato in mezzo ai pali dalle 61 yard, eguagliando un’impresa riuscita negli ultimi anni solo ad un veterano affermatissimo (Matt Bryant, conclusione vincente di 62 yard allo scadere contro gli Eagles nel 2006) ed al Re dei kicker (Justin Tucker, stagione 2013, calcio di 61 yard a segno nell’ultimo minuto).

Ancora fatichiamo a credere a ciò che abbiamo visto. Elliott nemmeno, ma l’eroe più improbabile della settimana (o della stagione, vedete voi…) è proprio lui.

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.