Nessuna parola, pieno stile Beast Mode, migliaia di cuori spezzati: Lynch si ritira.

E’ unico nella sua specie, one of a kind direbbero oltreoceano, ma la sua carriera non poteva finire così, non poteva finire con 6 anonime portate per 20 yards totali, non poteva finire in modo così anonimo la carriera di uno dei giocatori più speciali del ventunesimo secolo: è da poche ore finito il cinquantesimo Super Bowl e Marshawn, che di parole ne ha sempre volutamente dette poche, twitta una semplice emoji con le dita a V, peace and love, accompagnata da una foto di scarpe, le sue tanto controverse scarpe, appese per i lacci ad un filo ad alta tensione, come si fa per commemorare le persone morte nei quartieri difficili della sua amata Oakland.
Marshawn Lynch si è ritirato a soli 29 anni, ci mancherà pensavamo, ed infatti ci è mancato terribilmente la scorsa stagione.

Il 2015 non è stato un buon anno per Beast Mode: infortuni vari lo hanno limitato a sole 6 partite in cui le sue gambe hanno macinato solamente 411 yards che, dopo quattro anni a più di 1200 yards ed almeno 11 TD, sono una miseria: il Super Bowl già lo ha vinto e ne ha anche perso uno nel modo forse più doloroso della storia del football perché ad una sola iarda dalla endzone la palla va data al numero 24, avrebbe dovuto essere scontato, e soprattutto a far pesare meno la sua assenza durante la regular season ci aveva pensato Thomas Rawls che a tanti aveva già fatto dimenticare il significato di Beast Mode con le sue 5.6 yards a portata.
Finisce il Super Bowl, l’ultima partita del leggendario Peyton Manning, ed a rubare la scena ci pensa Lynch, che dal nulla se ne esce con il tweet sopracitato: classic beast mode.

Il legame fra Marshawn ed Oakland è anche sulla sua pelle.

Marshawn Lynch parla poco e questa non è una novità: le sue interviste dopo la partita sono oramai parte della cultura mainstream, i suoi “yeah“, “thanks for asking“, “maybe” sono emulati da chiunque e soprattutto “I’m here so I won’t get fined” sfoggiato durante il Super Bowl weekend fanno parte della cultura di ogni appassionato di sport americani.
Tutto ciò non è dovuto ad una voglia perversa di prendere in giro la stampa, ma alla sua spesso sottovalutata intelligenza: i primi anni nella lega furono parecchio turbolenti per Lynch, e come disse a ESPN durante il suo E:60, il suo non parlare ai giornalisti è un modo per proteggersi ed evitare inutili travisamenti che in passato gli avevano reso ancora più complicata la vita.
Immagina di tornare ad avere 20 anni, venire dai bassifondi di Oakland, non aver mai avuto niente nella vita, essere stato costretto ad andare a scuola per settimane con la stessa maglia: arriva la chiamata dei Buffalo Bills, il primo grande contratto, da niente passi ad avere in mano vari milioni di dollari, commettere errori secondo te sarebbe piuttosto facile, no?
Questo è il motivo per cui Marshawn Lynch non si fida del novantanove-virgola-nove percento dei giornalisti, non per chissà quale motivo.
Eppure a molti sfugge.

Beast Mode per molti, troppi, rimane tuttora un irrisolvibile enigma, ma proviamo a capirci qualcosa di più.
Come si vede dalle interviste rilasciate a Conan O’Brien, uno dei pochi giornalisti di cui Marshawn si fida ciecamente, ci troviamo di fronte ad un uomo con un raffinato senso dell’umorismo, un amore spropositato per gli Skittles e soprattutto un’intelligenza sopra la media: ogni sua singola parola è ponderata, anche il colloquiale “shit” se pronunciato da Marshawn Lynch acquisisce una particolare dignità, e diciamocelo, è “l’eroe” di cui tutta l’America ha bisogno. Bold? Lasciatemi spiegare.
In un momento storico in cui il paese è governato dal peggior trash talker visto negli ultimi vent’anni, alla gente comune, al bambino di Oakland bisognoso di riferimenti, serve Marshawn Lynch: eroe silenzioso che lascia prima di tutto parlare le azioni, e questo non è un cliché, in quanto prima dei test fisici a cui i Raiders lo hanno sottoposto ieri, dov’era Beast Mode?
Ad Haiti ad aiutare a costruire case ed ospedali con Michael Bennett e Cliff Avril, i suoi “fratelli” di quella Seattle da tanti vista come sposa tradita, da tanti tranne che da sé stessa: questo ritorno in scena va ben oltre il football, questo è per Oakland, una missione simile a quella di LeBron James che dopo aver tradito Cleveland per i più allettanti Miami Heat è tornato a casa, è stato protagonista nella serie di playoff più bella di sempre ed ha spezzato la maledizione che aleggiava sulla Cleveland sportiva da più di cinquant’anni.
It’s more than football.

“Deeds, not words”.

Dopo un mese di voci, tweet e accostamenti ai Patriots, in quanto la moda del 2017 è associare X giocatore ai New England Patriots, ieri finalmente tutto è stato messo nero su bianco: contratto di due anni per un valore massimo di 16 milioni di dollari, tanti soldi per un rientrante 31enne, ma va precisato che sono tanti gli incentivi basati sulla produzione, che a questo punto lo catapultano in cima alla depth chart dei Raiders.
Ma cosa può dare ancora Lynch?
I dubbi sono tanti, anche se il termine fresh legs, tanto di moda in questi ultimi anni, calza a pennello al prossimo numero 24 dei Raiders, numero concessogli da niente di meno che Charles Woodson: risolti definitivamente i problemi che gli avevano tormentato il 2015, la forma fisica in cui si trova Marshawn Lynch è perfetta e probabilmente il contesto in cui si trova è ancora più ideale, se possibile, di quello dei Seahawks. L’offensive line di Oakland è fra la migliori della lega, soprattutto la parte sinistra, puntellata dai Pro Bowler Kelechi Osemele e Donald Penn, nemmeno comparabili ai vari journeymen che dovevano aprirgli buchi a Seattle.
A dargli l’hand-off ci sarà Derek Carr, la prossima grande stella della NFL, il cui magnifico 2016 (e speranze di una corsa ai playoff rispettabile) è stato funestato dall’infortunio patito contro i Colts, in cui si ruppe la gamba: con un pacchetto receiver che comprende Amari Cooper e Michael Crabtree, il giovane Clive Walford ed un runningback’s corp nel quale spiccano specialisti nel gioco aereo come Jalen Richard e DeAndre Washington, appare ovvio che le difese avversarie non potranno dedicare corpo ed anima a fermare Beast Mode.

Questa mossa trasuda logica e buon senso, da entrambe le parti: per compensare all’imperdonabile tradimento che vedrà i Raiders trasferirsi a Las Vegas fra un paio di anni ecco qua il classico hometown hero, che dalla sua, con due stagioni di livello, potrebbe una volta per tutte arrotondare i propri numeri e renderli più gradevoli soprattutto agli occhi di chi vota per decidere se assegnargli o meno un busto a Canton, nella Pro Football Hall Of Fame.
Ma Super Bowl o meno, ciò che conta di più è il semplice fatto che Marshawn sia ritornato ad animare le nostre domeniche, sia in campo che fuori, a suon di broken tackles, corse in cui semplicemente si rifiuta di cadere a terra e dichiarazioni, mai banali, alla stampa.

Bentornato Marshawn Lynch, mi eri, ci sei mancato.

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