La stagione dei Washington Redskins non è terminata nel migliore dei modi, nonostante fossero chiari tutti i progressi ottenuti dalla squadra durante la seconda parte del campionato. E’ stata una lunga campagna contraddistinta da emozioni altamente contraddittorie, alti e bassi che nemmeno si vivono al luna park nel classico giro sul roller-coaster, ed ora le valutazioni che attendono il management ed il coaching staff in questi mesi di pausa saranno a dir poco delicate.

Quella che nelle ultime due decadi è stata spesso una squadra vicina al pessimo ha invece dimostrato una soddisfacente continuità in questi ultimi due tornei, rialzando la testa in entrambe le circostanze dopo una partenza non convincente, certamente il tratto comune delle ultime due edizioni gestite sotto le direttive di coach Jay Gruden. L’anno passato una squadra condizionata da problemi di spogliatoio a seguito della bocciatura di Robert Griffin III in pre-stagione, è riuscita a giungere inaspettatamente i playoff vincendo la Nfc East, mentre nella regular season appena conclusa Kirk Cousins ha svolto un lavoro più che sufficiente nel convincere di essere la soluzione corretta per il ruolo di quarterback nei prossimi quattro o cinque anni.

Cousins sarà il principale tema di dibattito della offseason, si parlerà moltissimo delle contrattazioni tra il GM Scot McCloughan e gli agenti dell’ex-regista di Michigan State, della possibilità di estensione dell’accordo firmato da matricola o di un nuovo eventuale franchise tag, regime sotto il quale Kirk ha già giocato la presente stagione come sorta di esame di maturità, al fine di confermare quanto di buono mostrato nel suo primo anno da starter a tempo pieno.

La fotografia stagionale che rimane impressa è inevitabilmente quella più recente, ma non dev’essere necessariamente la più corretta. Cousins ha scelto il peggior momento dell’anno per giocare una delle gare meno efficaci di carriera, ovvero quando a Washington sarebbe stata una semplice vittoria per qualificarsi alla Wild Card dinanzi a dei Giants già sicuri di non poter modificare ulteriormente la loro quarta posizione nella griglia postseason della Nfc, ma una giocata non deve gettare via una regular season di grande sostanza, così come un intercetto decisivo nei playoff non ha mai intaccato la carriera di tanti Hall Of Famer, tratte ovviamente le dovute proporzioni.

Quello dei Redskins non è stato difatti un problema numerico, ma di sostanza nel momento della verità, ed è un aspetto che coinvolge in ogni caso 22 giocatori più le riserve, e non certo il solo Capitano Kirk. Le cifre mettono difatti in risalto le prove di un Cousins cresciuto moltissimo, che ha tagliato gli errori abbastanza elementari che aveva commesso prima del presente campionato, concludendo il suo 2016 con più di 4.900 yard su passaggio ed il 67% di completi in oltre 600 tentativi, quest’ultimo numero molto rilevante se considerata l’alta frequenza con cui Gruden ha abbandonato le corse a favore del gioco aereo.

Quello dei Redkins è stato il terzo attacco assoluto della Nfl per yard offensive prodotte in totale, ed il secondo per yard su lancio, un segno tangibile del fatto che Gruden e Sean McVay, l’offensive coordinator, hanno trovato il modo di far funzionare un reparto non certo ricco di superstar, sorretto da personaggi improbabili come Jamison Crowder, Robert Kelley, Pierre Garcon e Chris Thompson, tutti protagonisti di giocate importantissime, ed attrezzato di due stelle con l’asterisco come DeSean Jackson, di rendimento alterno e dal carattere facilmente infiammabile, e Jordan Reed, uno dei migliori tight end della Lega, nonché uno dei più propensi ad infortunarsi, forse il vero barometro per l’efficienza di questo reparto.

La maturazione di Cousins ha prodotto due ricevitori (quasi tre) da 1.000 yard stagionali con un’equa distribuzione dei 25 passaggi vincenti realizzati, la sua capacità decisionale è progredita sensibilmente così come la sua precisione nei palloni profondi, quest’ultima necessaria a restituire all’attacco una dimensione pericolosa nei giochi a lunga gittata, molti dei quali hanno poi avuto esito positivo con la conseguente realizzazione di mete spettacolari e psicologicamente devastanti per le difese.

A nostro personale parere la soluzione parrebbe di facile reperimento, agenti permettendo, nel senso che pur considerando le debacle contro Carolina e New York Giants (le partite che sarebbe bastato vincere per staccare il famoso biglietto) la via più logica da scegliere indicherebbe di continuare con Cousins, in primis perché avrebbe ancora dei margini di miglioramento in un sistema che oggi conosce meglio di ieri, ed in secondo luogo perché se nella Nfl quarterback come Brock Osweiler chiamano contratti da 18 milioni di dollari annuali senza minimamente essere dei franchise qb, allora Cousins può senz’altro valere di più. Poco logico sembrerebbe invece ricominciare tutto daccapo proprio nel momento in cui la franchigia possiede stabilità nel ruolo – e non occorre certo elencare tutti i registi che si sono avvicendati qui senza successo sin dai tempi del primo Joe Gibbs – magari gettando via milioni di dollari verso veterani che dovrebbero inserirsi in un sistema nuovo e che comunque non avrebbero nulla in più da dare rispetto alla soluzione attuale.

La seconda e non meno importante questione riguarda la difesa, che non può essere esente dall’essere posta sotto processo tanto quanto un attacco che per fare il salto di qualità deve istantaneamente migliorare la resa in redzone e nelle conversioni di terzo down. Quello difensivo è un settore che non ha avuto vita facile sin dal 2015, e dal quel periodo sembra essersi portato appresso le stesse lacune, individuabili nella mancanza di un vero playmaker contro le corse (la difesa è stata la ventisettesima Nfl per yard concesse a tentativo), nella scarsa profondità della rotazione nella linea difensiva e nella mancanza di un free safety in grado di effettuare giocate decisive in copertura.

Osservando le partite è risultato fin troppo chiaro il come le statistiche ammassate da Mason Foster e Will Compton siano quantomeno bugiarde, perché di quei 230 placcaggi totalizzati in due ben pochi sono avvenuti dietro la linea di scrimmage, sfociando in un alto numero di situazioni nelle quali l’atterramento dell’avversario è avvenuto dopo il guadagno del medesimo. Davanti serve qualcuno che aiuti maggiormente  il tackle Chris Baker, il quale ha predicato spesso nel deserto piazzando ottime giocate (sarà però free agent a marzo) e che crei gli spazi necessari agli interventi di linebacker che dovranno essere più atletici rispetto a quanto oggi c’è a disposizione.

La grande acquisizione di offseason della difesa, Josh Norman, avrebbe dovuto nascondere con la sua sola presenza alcune chiare mancanze delle secondarie, ma così non è accaduto. L’ex-defensive back dei Panthers ha certamente giocato con efficienza tale per riconfermarsi ai vertici della Lega, ma non è stato sempre impeccabile e si è dimostrato mentalmente molto fragile, almeno gudicando dal modo in cui il nemico giurato Odell Beckham Jr ed altri ricevitori pronti a provocarlo sono riusciti ad entrargli in testa con estrema facilità. L’infortunio di DeAngelo Hall è stato sicuramente un problema, dato che aveva completato con buon successo la transizione da corner a safety, l’acquisizione di Donte Whitner è stata pessima per le numerose giocate da lui concesse su passaggio, e la difesa nickel ha funzionato a singhiozzo, un pò per la tendenza di Greg Toler a farsi battere, un pò per l’inesperienza di Kendall Fuller, che le ossa deve ancora farsele per bene. Se non altro la soluzione per la posizione di strong safety è già presente in casa, ed individuabile nel versatile Su’a Cravens, infortunatosi nel rush finale ed atleta di primo livello.

E’ un quadro che ci restituisce dei Redskins in progresso, oggi non ancora pronti per il grande palcoscenico ma nemmeno così lontani dall’esserlo. Oltre a decisioni fondamentali da prendere nei confronti di Cousins e di free agent importanti (Jackson, Garcon) c’è da capire quale piega prenderà il futuro di Sean McVay, che ha già fissato incontri con Rams e 49ers per il posto vacante di head coach, chi sarà il suo eventuale sostituto e quali ripercussioni questo potrebbe avere nello sviluppo del quarterback attuale, e come si comporterà Gruden nei confronti di Jon Barry, defensive coordinator spesso posto sotto accusa per approcci strategici a volte dubbi.

Se la stagione è finita male non significa necessariamente che i Redskins siano una cattiva squadra. Significa solo che con una maggiore attenzione ai dettagli sarebbero potute arrivare dalle due alle quattro vittorie in più (Cincinnati, Detroit, NY Giants, Arizona), e che oggi parleremmo di due qualificazioni in postseason consecutive, fatto che nella Capitale non accade dai tempi di Mark Rypien e Art Monk. Oggi, al contrario di tante altre stagioni, a Washington il materiale c’è, e finali di stagione deludenti come questo possono sempre insegnare molto.

Ne riparliamo in primavera.

 

 

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