1 – Steve Spagnuolo is back!

Le reminiscenze delle imprese difensive di quei Giants che stesero i favoritissimi New England Patriots dinanzi al prestigioso palcoscenico del Super Bowl non se ne sono mai realmente andate, rimaste lì bloccate nel tempo, testimoni di come si possa decidere la partita più importante dell’anno con la pass rush, mettendo  i freni anche all’attacco più prolifico della Nfl di allora.

I Giants in versione odierna denotano una piacevole coincidenza che li lega a quel gennaio del 2008, si chiama Steve Spagnuolo. Proprio il Super Bowl XLII, dove la sua difesa annientò uno dei migliori reparti offensivi della storia del football, pareva essere l’ideale trampolino di lancio verso una carriera da head coach ricca di future soddisfazioni anche se il destino avrebbe poi raccontato una storia differente, lasciando un ricordo poco gradevole dell’unica opportunità goduta in carriera in quel di St. Louis.

A noi piace pensare che non sempre i grandi assistenti equivalgano a grandi head coach – e questo non vuol essere un demerito per nessuno ma solo una semplice constatazione – ma ci piace pure pensare che un grande assistente possa decidere un campionato in positivo anche in maniera più incisiva rispetto al suo diretto superiore. E quel Super Bowl giocato in Arizona, signori, l’ha vinto proprio Spagnuolo. Il quale si è dimostrato essere una persona molto umile, che dopo non essere riuscito a salvare le sorti dei Rams e dei Saints (di questi ultimi era stato defensive coordinator) è ripartito dalle posizioni più basse tornando a fare l’allenatore di ruoli specifici fino alla nuova chiamata dei Giants, che hanno nuovamente accolto la sua filosofia difensiva a braccia aperte ricordandosi di possedere ancora il personale adatto a svilupparla sul campo, nonostante il passare degli anni.

Oggi i Big Blue giocano un football offensivo lacunoso, colmo di errori e troppo propenso al turnover per una squadra con un record di nove vittorie. Ma i meriti dell’attuale posizionamento nella griglia dei playoff, con una Wild Card più che assicurata restassero così le cose, vanno in gran parte attribuiti ad una difesa che si è ricordata di essere capace di annullare i più grandi attacchi della Lega, quelli che nessun altro ferma. Allora erano i Patriots dei record, oggi sono i Dallas Cowboys di Elliott, Prescott e della linea offensiva più forte che si sia mai vista di recente, nemici affrontati con la consueta varietà di blitz in partenza da ogni posizione, con la giusta combinazione di tasso atletico e forza da parte dei quattro davanti, mascherando le intenzioni dei difensori per mettere in difficoltà le letture del quarterback.

Non può essere un caso quel record di 11-2 sul tabellino dei Cowboys, ed altrettanto non può esserlo lo 0-2 rimediato dai medesimi contro l’unica difesa che ha ricordato a Prescott di essere ancora un rookie e che sotto pressione ha ancora molto da imparare. Parola di Steve.

2 – Mistery #1: Green Bay Packers

Ci fa assoluto piacere il non essere gli unici a non avere le idee chiare sui Packers, perché sembra che la confusione sulla loro reale consistenza arrivi anche al di là dell’oceano. Ieri squadra condannata ad una stagione di rara mediocrità, affossata dalla mancanza d’intesa tra Rodgers ed il pacchetto ricevitori, dalla pressoché totale assenza di un gioco di corse, dalle aspre critiche mosse verso Mike McCarthy, reo di disegnare schemi non consoni alle potenzialità dell’attacco. Oggi Green Bay non la vorrebbe incontrare nessuno nei playoff, perché i Packers sembrano tornati quelli di sempre da quando il buon Aaron muove le trame offensive con nervi d’acciaio e conoscenza infinita del gioco.

Che cos’è accaduto nel frattempo? I cambiamenti sono più d’uno, e sono giunti con un tempismo imperfetto, ma assai necessario. Dovendo mostrare una forte reazione dopo quattro sconfitte consecutive e 38 punti di media al passivo, la magica connessione tra Rodgers e la sua forte batteria capeggiata da un Jordy Nelson letteralmente rinato ha portato al ritorno della produzione offensiva desiderata, che è addirittura esplosa contro la forte difesa di una Seattle comunque priva dell’anima del reparto, Earl Thomas, ma non per questo così indebolita da pensare di elargire così tanto a chicchessia. I miglioramenti più significativi sono comunque stati quelli registrati dalla difesa coordinata da Dom Capers, la quale ha capito che senza recuperare turnover non era possibile cominciare a trovare la prima parte della soluzione al problema, approfittando nel contempo del ritorno in salute di buona parte dei componenti della secondaria.

Le ultime tre partite parlano di un totale di 36 punti concessi, di 8 palloni recuperati (6 contro i Seahawks) e di sensibili progressi nella difesa contro i passaggi, restituendo ai Packers parte delle ragioni per cui sono una franchigia in grado di competere costantemente per i playoff. La domanda ora è una sola: Green Bay è caldissima, ma non è troppo tardi? La risposta si può trovare solamente nelle coincidenze di risultati negativi delle concorrenti della Nfc, e la questione è tutt’altro che di semplice risoluzione. L’unico punto a favore sono altri due scontri rimasti nella Nfc North, ma il primo sbaglio vorrà dire eliminazione dalla corsa.

3 – Desperation Browns

Siamo nella Nfl, e dispiace assistere a certe scene che probabilmente non affiorano nemmeno a livello collegiale, perché almeno lì sussiste ancora il concetto di orgoglio. Un’idea che a Cleveland è totalmente sparita, vuoi per l’assenza di prospettive per il presente campionato, vuoi per l’assenza di personale competente, vuoi infine per la cultura perdente che non vuol sapere di andarsene da quando i Browns sono tornati nella Nfl nel lontano 1999.

Non può esserci orgoglio per una squadra totalmente disinteressata nel provare a portare a casa almeno una vittoria prima che questo campionato termini. Non può avere senso tentare una flea-flicker dalla propria linea della yarda con conseguenze anche troppo prevedibilmente pericolose, una chiamata ai limiti della derisione, neanche si sapesse che quel tipo di schema ha bisogno di ben più spazio della profondità di una endzone per funzionare. Ed è surreale vedere Hue Jackson esprimersi sostenendo che chiunque giochi quarterback a Cleveland abbia bisogno di comprensione, perché sembra di stare in un altro pianeta.

Si parla tantissimo della corsa alla prima scelta assoluta, individuabile nel defensive end Myles Garrett, ma quanto un giocatore può impattare un’intera squadra quando la stessa è messa così male in ogni ruolo? A chi interessa migliorare la difesa con un prospetto di quella qualità se poi la linea offensiva è un disastro – e qui le responsabilità sono tutte del management, ricordiamo che Mack e Schwartz giocavano qui – se non c’è un quarterback in grado di combinare qualcosa di buono nemmeno in un solo tempo (lasciamo stare RGIII, che qui è proprio malcapitato) e se le numerosissime scelte effettuate negli ultimi anni non hanno sortito gli effetti desiderati?

Scegliere tanto non significa essere capaci di scegliere. I Browns non sono i Patriots. Ed il sunto della situazione ce lo ricorda benissimo Johnny Manziel, che era presente in campo quando i Browns vinsero la loro ultima partita. Abbiamo detto tutto.

4 – L’importanza di ogni piccolo ruolo Nfl

Uno dei fattori che rende la Nfl meravigliosa è l’armonia di ogni azione. Ogni piccolo movimento è significativo, il tempismo è sacro, ogni giocatore è prezioso, sia che presenzi in tutti gli snap o che venga chiamato in campo due volte in tutta una gara. Siamo tutti ben abituati ad osservare le azioni spettacolari ed è normale che sia così, l’occhio vuole la sua parte e le azioni circensi sono quelle che per prime accendono le emozioni interiori, ed in fin dei conti i nostri eroi si identificano sempre con i personaggi più in vista, con quarterback e ricevitori a capeggiare la fila.

Quante volte ci siamo soffermati ad osservare un uomo di linea preso a concedere quei due secondi in più al proprio regista? Ad analizzare le dinamiche di un’azione noiosa come il punt? A dare per scontato un qualsiasi field goal? Sono tre domande nate dalla partita di Philadelphia, un match sostanzialmente deciso dalla figura del long snapper, un giocatore sconosciuto ma assolutamente determinante. Come sarebbe possibile calciare un pallone se long snapper e holder non eseguissero il loro lavoro alla perfezione? Quanto più difficile risulta spedire indietro un pallone quando le yard attraverso cui farlo viaggiare sono così tante e la rotazione deve mantenersi impeccabile?

Il long snap è un’arte, punto e basta. Senza l’infortunio a Jon Dorenbos le possibilità di vittoria degli Eagles nel confronto con i Redskins sarebbero drasticamente aumentate. Con un sostituto improvvisato non è possibile sperare di centrare molte conclusioni, come dimostrato dal field goal mancato che avrebbe invece consentito a Philadelphia di impadronirsi dell’inerzia della gara, e come suggellato dall’esultanza di Caleb Sturgis e dei suoi compagni quando la conclusione ha invece centrato i pali più in là nella partita, una celebrazione degna di una vittoria ai playoff.

Alla fine dei conti, tuttavia, il risvolto negativo ha gettato fuori tutte le ripercussioni del mondo, e gli Eagles hanno dovuto fare i conti con un calcio sbagliato che ha dato un campo corto agli avversari in un drive terminato in meta, ritrovandosi poi a giocare la serie decisiva per la vittoria costretti a segnare un touchdown. Se il field goal maltrattato da Brent Celek – il long snapper improvvisato – fosse entrato, agli Eagles sarebbe bastata solo una conclusione da tre punti per vincere. Ed ecco spiegata l’importanza capitale di un ruolo di cui nemmeno ci si accorge.

5 – I guai di Miami

Guai che giungono in un momento peraltro positivo, dato che nella torrenziale pioggia occorsa in Florida non sono certo annegate le speranze playoff dei Dolphins. Ovviamente la notizia della settimana è quella dell’infortunio al ginocchio sinistro di Ryan Tannehill, che rispetto ad un preoccupante inizio di campionato ha mostrato dei progressi concreti pur restando un giocatore di rendimento alterno, e che dovrà saltare almeno un paio di partite proprio nel vivo della corsa alla Wild Card di una franchigia che non vede la postseason da un discreto periodo di tempo.

Il lato positivo c’è, perché la lesione interessa sia il legamento crociato anteriore che quello mediale, ma non sono state riscontrate rotture di alcun genere. Ora la palla passa in mano a Matt Moore, che non ha dalla sua dei numeri fantascientifici di carriera ma che può se non altro traghettare alla meno peggio la squadra in questa fase stagionale molto delicata, e c’è comunque da metterlo alla prova con il roster attuale, il che non corrisponde necessariamente al presumere che il backup ripeta le stesse inconsistenti cifre registrate in una decina scarsa di anni di esperienza a tappare buchi tra Carolina ed appunto Miami.

La parola guaio viene tuttavia subito in mente quando il quarterback titolare deve essere sostituito, per quanto Tannehill abbia mostrato una propensione al turnover non ancora risolta del tutto la striscia di vittorie dei Dolphins aveva messo in secondo piano alcune delle lacune del medesimo regista che ha trascorso questo campionato a far vedere prove entusiasmanti nella medesima quantità in cui si è dimostrato poco adatto a rappresentare il futuro della franchigia a lungo termine. Il piano di gioco, quando in condizioni normali entra in gioco la riserva, prevede normalmente un aumento degli snap per le corse al fine di togliere la cosiddetta pressione dalle spalle di un giocatore meno esperto e meno talentuoso rispetto allo starter, ed un backfield improvvisamente rivitalizzato da Jay Ajayi e reso versatile dai piccoli ma significativi contributi di Damien Williams e Kenyan Drake sembra avere le possibilità per parare il colpo, a patto che il periodo di tempo sia limitato.

Moore non lo vediamo impiegato con costanza da parecchi anni ormai, quindi è assai difficile prevedere che attendersi dalle sue prossime prove, di sicuro è confortante averlo visto dirigere il drive decisivo per il field goal vincente con cui Miami ha rispedito in Arizona le ambizioni playoff dei Cardinals in una serie di giochi dove ha completato un passaggio fondamentale per Kenny Stills, una dimostrazione di freddezza in un momento particolarmente delicato per le sorti della squadra con l’aggravante di un terreno ai limiti del praticabile ed il peso di dover tenere vive le speranze per la prima qualificazione postseason di franchigia degli ultimi otto anni.

Matt sarà certamente titolare contro Jets e Bills, avversarie tutt’altro che irresistibili, mentre i Patriots all’ultima di campionato potrebbero pensare di far riposare qualche titolare se le cose andassero talmente bene da poterselo permettere. Psicologicamente il compito di Moore sarebbe più agevole, ed il tempo per capire le condizioni di Tannehill nell’immediato futuro sarebbe meno tiranno.

6 – La missione impossibile (ma riuscitissima) dei 49ers

Per larghi momenti del primo tempo della gara tra 49ers e Jets era lecito pensare che cosa mai avesse portato i bianco-verdi a presenziare in quel di San Francisco, tanto assente era apparsa tutta la squadra nel primo tempo. Una partita tra perdenti e peraltro a senso unico, ovvero tutto ciò che serviva agli occupanti dei tristi seggiolini del milionario Levis Stadium per decidere di abbandonare la compagnia e dedicare il resto della domenica a qualsiasi altra cosa, certi che la seconda vittoria in campionato sarebbe stato un fatto acquisito nel giro di un’altra ora e mezza.

I Niners hanno deciso di complicarsi la vita una volta in più casomai non bastasse quanto già occorso in questo deprimente campionato, decidendo di sconvolgere l’esito di una gara che per tutto il primo tempo aveva visto Carlos Hyde disporre a piacimento della difesa contro le corse dei Jets, che da buttar via non è di certo, approfittando della presenza di un avversario come Bryce Petty, ancora in fase di test.

Eppure si può riuscire a perdere anche con Petty costretto a subire un sack in sei distinte circostanze, restato a bocca asciutta in termini di passaggi da touchdown ed autore del quarto intercetto stagionale, nonché senza usufruire del contributo di Matt Forte a favore dell’occasionale esplosione di Bilal Powell, cui la difesa di casa ha lasciato scrivere cifre, appunto, da Forte. Prendere più di 400 yard di total offense e concedere un tempo di possesso appena superiore ai 40 minuti ai Jets può riassumere l’intera stagione di una squadra, ed il 23-20 maturato in overtime a seguito di un vantaggio parziale di 17-3 crediamo riassuma perfettamente il terribile campionato di San Francisco, che ha sempre più urgente bisogno di una ristrutturazione semi-totale.

7 – Nfc playoff = total chaos

Via libera alle ipotesi per le prossime tre settimane di gioco, nelle quali gli intrecci di sfide tra dirette concorrenti in corsa per la postseason potrebbero determinare tutto ed il contrario di tutto riguardo la griglia definitiva dei playoff. La Nfc non molla, e tutte le squadre coinvolte in primo luogo nel rush finale hanno vinto complicando ulteriormente i calcoli da eseguire per capire chi sia più o meno favorito di un altro dando nel contempo uno sguardo alla difficoltà media del calendario rimasto, altra faccenda che può non voler dire assolutamente niente data l’unicità del contesto di una singola partita.

Chi ci ha perso sono senza dubbio i Seahawks, ma senza nemmeno aver combinato disastri, perché tanto la vittoria divisionale non è assolutamente in pericolo e l’assicurazione di un posto al sole è solo questione di tempo. La vera magata l’hanno fatta i Giants, unica squadra in grado di sconfiggere Dallas nel 2016 (due volte, peraltro) e di conseguenza andata a confermare la propria posizione di privilegio nella corsa alla Wild Card, dato che nonostante il seed numero cinque della griglia i Big Blue possono vantare una vittoria di vantaggio sulla sesta classificata e che il match contro i Cowboys era psicologicamente quanto di più complicato potesse esserci.

Se la squadra di Ben McAdoo pare essere uscita come vincitrice del turno di domenica, restano da fare i conti con un numero molto alto di rivali. Tampa Bay si tiene stretta l’ultimo posto disponibile e spera in un capitombolo di Atlanta – anch’essa vittoriosa a Los Angeles – per tirare il colpo gobbo proprio sul foto-finish, i Redskins si sono mantenuti in vita grazie all’affermazione sul campo di Philadelphia, mentre Green Bay e Minnesota, date oramai per spacciate, inseguono senza mollare dall’alto delle loro sette vittorie.

Il quadro è pronto ad essere scosso dagli scontri diretti. Domenica ci sarà difatti il match tra Giants e Lions, che potrebbe riaprire i discorsi in caso di successo di Detroit o al contrario dare nuova linfa vitale a Vikings e Packers che avrebbero così la possibilità di accorciare le distanze rispetto alla vetta della Nfc North; Tampa Bay andrà a trovare Dallas mettendo a repentaglio la sesta ed ultima posizione utile alla Nfc con tutta l’inerzia a svantaggio dato che i Cowboys, dopo la stagione che hanno disputato, non vorranno certo uscire sconfitti per la seconda settimana di fila, mentre i Redskins giocheranno un pericoloso Monday Night contro i Panthers con molta pressione addosso.

I Packers chiuderanno la loro stagione affrontando Vikings e Lions in successione, mentre l’ultima di regular season porrà Giants e Redskins una di fronte all’altra in chissà quale situazione di classifica. Ce n’è abbastanza per rimanere incollati al pc/televisore per lunghissime ore, e quando tutto sarà concluso il quadro potrebbe essere ben diverso da quello odierno…

8 – Mistery #2: Seattle

Chi sono i Seahawks? Sono quelli che hanno rifilato 40 punti a Cam Newton e a quegli stessi Panthers che avevano affrontato in precedenza nei playoff? O quelli che hanno segnato rispettivamente 3, 5 e 10 punti contro Rams, Buccaneers e Packers?

La faccenda comincia a farsi scottante, ed i sospetti alimentati nell’ultimo mese cominciano ad infittirsi. La pessima prova di domenica, corrisposta ad una figura di dubbio gusto al Lambeau Field, sembrerebbe confermare che abbiamo di fronte un attacco in crisi prolungata, e che i rimedi non sono così immediati. Fortuna vuole che gli ‘Hawks abbiano accumulato un vantaggio tale da dormire sonni tranquilli, a gennaio giocheranno almeno una partita e ciò è garantito dall’attitudine suicida dei Cardinals odierni e dall’inesistenza di restante concorrenza fornita da Rams e 49ers, il che rende il discorso titolo Nfc West un capitolo sostanzialmente chiuso.

Cosa succederà quando i Seahawks andranno a misurarsi nei playoff? Accadranno ancora miracoli come quello occorso contro i Packers nel contesto di una rimonta che aveva componenti mistiche? Torneranno ad essere la stessa squadra che in regular season ha battuto New England? Tutte domande legittime, anche se le risposte fornite dal campo non sono assolutamente confortanti ed aumentano il pericolo di dover assistere ad un altro spettacolo offensivo poco degno di questa categoria. Il cammino di una squadra nel suo complesso conta moltissimo, ma il momentum che si vive quando si decide tutto fa tutta la differenza del mondo tra un trofeo ottenuto ed uno lasciato andare. Questo preciso istante ci dice che Seattle ha troppi problemi per essere ancora considerata la principale antagonista dei Cowboys nel quadro della Nfc, e che la parola Super Bowl sta cominciando a mutarsi in proibitiva.

Vedere Russell Wilson lanciare 5 intercetti è un evento più unico che raro, anche se va sottolineato più volte il fatto che i suoi ricevitori abbiano responsabilità ancora maggiori delle sue per i turnover commessi, e capire come la squadra sia offensivamente impotente in più di qualche circostanza riflette l’esatto contrario di ciò che ritenevamo legittimo un mese fa, rendendo reale uno scenario secondo il quale chiunque, al primo turno, potrebbe sbarazzarsi di Seattle in singola gara. Il fatto che la linea offensiva ceda sempre più spesso sotto pressione e che i touchdown arrivino con il contagocce non fa che alimentare i sospetti. Se poi la difesa che tutti conosciamo si mette ad elargire passaggi da touchdown da 66 yard ed uscite con 38 punti a carico, si evince che la situazione felicissima proprio non dev’essere.

9 – Lo strapotere dei Patriots continua

Dove andrà a finire la stagione dei Patriots nessuno lo sa, ma la presunzione rimane sempre quella che la squadra farà tantissima strada a gennaio, data la sua innata capacità di adattarsi a qualunque situazione in qualsiasi momento del campionato. Le risorse di Bill Belichick sembrano infatti infinite, ed il giudizio sulla partita contro i Ravens non dev’essere strettamente relazionato alle dinamiche con cui New England stava sprecando un confronto dominato in lungo ed in largo.

Nel football ci sono vari modi di decidere in negativo una gara e l’errore è sempre dietro l’angolo per quanto forte una qualsiasi compagine possa risultare, ma ogni situazione va soppesata per quella che è ed è per questo che riteniamo New England essere in ogni caso la potenza con cui tutti debbono fare i conti da qui alla prima settimana di febbraio. D’altro canto, che cosa si può mai imputare ad una squadra che ha vinto tutte le partite con scarti molto evidenti pur trovandosi limitata da infortuni e scarsa profondità in alcuni ruoli, che ha perso solo una partita a conti realmente fatti (contro Seattle) perché l’altra sconfitta è pervenuta in presenza di Jacobi Brissett quale quarterback titolare?

Due errori di special team nel giro di quattordici secondi di tempo effettivo non possono non essere definiti gravi, ma detratti questi due episodi che presumibilmente non si ripeteranno in futuro – se non altro perché non rivedremo Cyrus Jones in campo molto presto dopo i numerosi pasticci – la prestazione complessiva di New England è stata nulla di meno che impressionante. E’ un team eccellente, guidato da un quarterback facilmente confondibile per un ventinovenne che possiede una cattiveria agonistica incredibile per un uomo che ha già vinto così tanto, e sorretto da improbabili protagonisti come James White, Chris Hogan e Malcolm Mitchell.

E se avessero ancora più talento, dove sarebbero ora?

10 – Il prossimo capitolo dei Rams è già cominciato

Jeff Fisher ha battuto Gus Bradley nella corsa per il primo allenatore che sarebbe stato licenziato prima della fine del campionato, e la notizia non dovrebbe sorprendere più di tanto. L’avevamo caldeggiata non poco su queste pagine, motivati da una serie di mancanze tecniche che vede Fisher sicuramente responsabile del disastro di stagione che ha sancito un ritorno a Los Angeles che doveva essere invece sontuoso e motivante, con il management ad assumersi il resto delle colpe per aver sprecato una grossa quantità di cartucce nei recenti Draft, nonostante famigerate trade à la RGIII che avevano portato evidenti benefici e rosee prospettive per un futuro rivelatosi deludente.

Non resta che ripartire, ma il lavoro è tantissimo. Non abbiamo visto Goff in campo per un tempo sufficiente per poterlo giudicare appieno, di certo c’è che il peso di essere stato il primo giocatore assoluto ad essere selezionato nel 2016 e di avere concorrenti pari-ruolo molto più avanti di lui a livello tecnico rappresenta un’etichetta ancora più pesante se si esordisce con questa fatica. Pare quasi impossibile pensare ad un attacco immobile e relazionarlo alla presenza di Todd Gurley, un franchise running back il cui talento è disperso nella mediocrità offensiva del team, ci sono grossi problemi per una linea offensiva che presenta un Greg Robinson sovrappeso e responsabile di una miniera di penalità – non certo ciò che ci si attendeva da una seconda scelta assoluta – e rookie come Tyler Higbee e Pharoh Cooper sono risultati sostanzialmente invisibili nei loro contributi, in parte per il ritardo nell’inserimento in organico da parte del coaching staff, fatto che ha causato la scarsa profondità di una batteria di ricevitori già di per sé avara di talento.

Il futuro comincia domani notte, con John Fassel quale head coach ad interim e tre partite che serviranno da esame per chiunque desideri restare a roster anche l’anno prossimo, per far parte di un progetto che sarà certamente ambizioso come lo era all’inizio di quest’anno (il mercato di L.A. ha certe comprensibili pretese), ma che deve avere uno svolgimento nettamente differente dallo scempio visto nel presente campionato. Se non altro, il coach più perdente nella storia della Nfl alla pari di Dan Reeves, non farà più parte della compagnia.

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