1 – Miami, ancora non ci siamo

imageGiovedì scorso abbiamo assistito ad una prova, l’ennesima, assai poco incoraggiante per i Miami Dolphins. Tantissimi gli errori commessi nella brutta gara persa contro Cincinnati, e negativo l’atteggiamento in campo di alcuni giocatori, il che non pone prospettive eclatanti nemmeno in questa stagione, rimandando il ritorno in auge di una franchigia storica ulteriormente più in là. L’attacco ha diversi problemi: la linea offensiva è poco efficace nel creare varchi per il gioco di corse, la protezione per il quarterback è latitante, e la gestione offensiva è stata fino a questo momento peccaminosa.

Ryan Tannehill è ancora molto propenso all’errore come dimostrano i 5 intercetti sino a questo momento scagliati, non c’è un running back definibile come il classico workhorse, Arian Foster non poteva esserlo ed è finito di nuovo in infermeria, e coach Gase non sembra proprio avere le idee chiare su come gestire le portate del resto dei corridori presenti. Troppa confusione, con Ajayi, Williams, Drake e Pead ruotati senza una direzione precisa, con la conseguenza di una produzione assai limitata a terra e lo sbilanciamento dei tentativi su passaggio, fattore che rende questo attacco troppo prevedibile. Un drive offensivo dei Dolphins dura in media un paio di minuti e poco più di quattro giochi, il che significa una percentuale disastrosa di conversione in fase di terzi down. Oltre a questo tanta indisciplina, penalità in quantità industriali, alcune delle quali hanno permesso agli avversari di continuare serie altrimenti fermate dalla difesa. Si profila un’altra stagione molto lunga.

2 – I Colts sono un mezzo disastro

Mezzo o intero, poco cambia. L’ultima goccia di sopportazione è stato il concedere la prima vittoria stagionale agli inguaiati Jaguars, rivali divisionali che ora hanno impattato Indianapolis a quota 1-3, ma ciò che conta maggiormente è il non riuscire a trovare la minima traccia della squadra futuribile e vincente che pareva aver preso forma così velocemente nel dopo-Manning. Non è certo responsabilità di Andrew Luck, che si sottopone diligentemente a colpi violenti tutte le domeniche e gioca acciaccato rimediando le miglior statistiche possibili in quei pochi momenti in cui non ha addosso un avversario pronto a stenderlo, lo sguardo va piuttosto rivolto verso una difesa che ha concesso 380 yard di media ad uscita e regalato troppi big play.

Permangono inoltre i grossi problemi nel contenere le corse, una questione rimasta irrisolta nonostante le pene patite negli ultimi due o tre anni, con la sola eccezione dell’affermazione contro i Chargers – nella quale le yard concesse a terra sono risultate solo 37 – siamo rimasti a quote abbondantemente superiori alle 100 yard a gara, che somiglia sinistramente ad un monito stante ad indicare che contro Indy può correre quasi chiunque, anche quest’anno. La settimana ha portato alle epurazioni di Antonio Cromartie, disastroso nelle quattro gare giocate in maglia blu, e del linebacker Sio Moore, e la panchina del pur rispettabile coach Pagano diventa sempre più calda. In special modo dopo essere stati presi a spazzolate da Jacksonville, senza che il 30-27 finale tragga troppo in inganno.

3 – I Browns sarebbero anche una discreta squadra, ma…

iUno dei pensieri che ci è rimasto più fisso in testa dopo le partite di domenica riguarda i Browns. Chiaro, presa così su due piedi pare sempre la stessa squadraccia di sempre dato che parliamo di un altro 0-4, di stagione compromessa, di sfortuna che da queste parti ci vede benissimo e quant’altro, tuttavia Cleveland fino a questo momento ha buttato via almeno due partite ed ha rivaleggiato per tre quarti alla pari per un’altra, gestendo male i confronti con Baltimore e Miami, e finendo affossata dai turnover del secondo tempo in occasione della gara giocata a Washington. In particolare ci ha colpiti la forte produttività del gioco di corse, che non a caso è il numero uno della Nfl in questo momento per yard a partita e yard per tentativo, frutto dell’inizio sopraffino di un Isaiah Crowell oramai certo di frantumare ogni sua statistica individuale precedente a questo campionato e ad una coabitazione con il backup Duke Johnson che pare funzionare davvero bene.

La difesa non è nemmeno da gettare via nonostante le generose concessioni in termini di touchdown, intercetti e sack non mancano a livello numerico ma magari non giungono nel momento corretto della partita, e c’è da prestare particolare attenzione al cuscinetto tra prima linea e zona dei linebacker, troppo labile e preda di guadagni facili per tight end e slot receiver. La classifica indica l’ennesimo naufragio al largo, ma la situazione complessiva, con maggiore attenzione, potrebbe essere stata decisamente migliore. E consideriamo che i Browns stanno giocando con il terzo quarterback, un rookie, e con un Pryor reiventatosi da wide receiver di discreto rendimento.

4 – Per Arizona è tempo di correre ai ripari

C’è da correre ai ripari da parte di Bruce Arians, ed è necessario farlo in fretta dovendo per giunta affrontare un sacco di problemi inopportuni. Arizona è passata da favorita a squadra alla rincorsa della concorrenza, con due partite di differenza nei confronti delle due squadre che capeggiano la Nfc West, Los Angeles e Seattle. Le prospettive sono ora minate dall’assenza per la stagione di Chris Johnson e soprattutto dalla botta presa da Carson Palmer domenica, che ha procurato un trauma celebrale che costringerà il titolare a cedere il posto a Drew Stanton nella delicata sfida contro i 49ers con tutte le conseguenze che abbiamo imparato a conoscere nel biennio scorso.

Stanton è un ottimo professionista ed un quarterback preparato a gestire un subentro in corso, ma il quadro offensivo generale, storia insegna, è destinato ad una discesa statistica per via della minor quantità di talento che Drew medesimo può mettere a disposizione. Seppure il tempo che Palmer dovrebbe trascorrere a riposo dovrebbe essere infinitamente inferiore agli infortuni più gravi del passato, il fatto che i Cardinals si trovino a dover recuperare da un 1-3 per non perdere contatto con la zona dei playoff dovendo affrontare l’impresa senza il regista che può garantire il maggior numero di giochi ad alta gittata non è una coincidenza molto favorevole. Non resta che sperare nella sempre concreta difesa e nei numeri di David Johnson.

5 – Carolina: vedi sopra

usatsi_9586174Altro caso dove la situazione sta lentamente sfuggendo di mano e dove sono tracciabili interessanti parallelismi con la situazione di cui sopra. Anche Cam Newton, come Palmer, ha dovuto abbandonare il campo per via di un lieve trauma cranico lasciando il posto a Derek Anderson, ed ora l’assenza del numero uno dei Panthers potrebbe protrarsi anche nel Monday Night contro Tampa Bay, altra partita delicatissima perché deve per forza segnare l’inizio della rimonta di Carolina a seguito di questo imprevisto inizio negativo. A preoccupare è il fatto che molte difese sembra abbiano trovato la chiave di lettura per il contenimento di questo forte reparto offensivo, prendendo certamente spunto dal monumentale lavoro svolto da Denver in occasione del Super Bowl.

Newton è soggetto ad una pressione fortissima, i sack concessi sono troppo alti, ed i suoi limiti tecnici sono venuti fuori un po’ alla volta essendosi trovato costretto a lanciare così spesso, un fatto che va contro la natura del concepimento di questo attacco. Pesa come un macigno l’assenza di Jonathan Stewart sin dalla prima di campionato – il rientro è lontano ancora tre o quattro settimane – in quanto il running back è tra i giocatori-chiave per il funzionamento del sistema di corse dei Panthers nonché ottimo catalizzatore di attenzioni da parte delle difese, che non possono contemporaneamente guardare lui, gli scramble di Newton, e stare attenti alla playaction e sperare di cavarsela facilmente.

Contrariamente ai Cardinals qui c’è un enorme problema difensivo invece, come evidenziato dalle stratosferiche cifre concesse a Julio Jones nella recente sconfitta contro Atlanta, frutto della decisione di lasciare troppo spesso il devastante wide receiver in singola copertura. Dire che il rischio si è rivoltato contro come un boomerang non rende abbastanza bene l’idea del disastro avvenuto, date le 300 yard accumulate dal fenomenale Julio contro le 337 ammassate da tutti i ricevitori di Carolina.

6 – I Raiders sono maturati al punto giusto?

Ci permettiamo di porre un punto di domanda trasformando quella che altrimenti sarebbe stata un’affermazione forse prematura di questi tempi, se non altro per i sospetti difensivi che attorniano la squadra di Jack Del Rio. Però un 3-1 è sempre un bell’inizio ed un qualcosa cui in California non sono certo abituati negli ultimi quindici anni, per cui qualche motivo d’entusiasmo effettivamente c’è. Del Rio ha gli attributi e non ha mai nascosto decisioni aggressive che fino a questo punto hanno pagato dazio – ricordiamo la conversione da due che ha deciso l’opener contro i Saints – ciò che stupisce maggiormente è la crescita continua di un attacco fino ad ora equilibrato, che ha tagliato qualche errore e proseguito il percorso intrapreso durante la stagione scorsa.

Derek Carr ha elevato il livello del suo football scrivendo statistiche che saltano senza dubbio all’occhio (9 touchdown, un solo intercetto), e l’intero reparto sembra poter essere molto produttivo. Abbiamo osservato con non poca sorpresa Michael Crabtree ricevere le mete che pensavamo fossero una semi-esclusiva di un Amari Cooper ancora a bocca asciutta (crediamo per poco, ad ogni modo), ed un Seth Roberts come non mai puntuale nello smarcarsi nelle ultime 20 yard, e la notizia più felice è che il gioco di corse regge anche ruotando diversi protagonisti, aggiungendo armi ad un attacco che raramente ha saputo diversificarsi in questi anni. Carr e compagni stanno segnando a raffica, il secondo posto divisionale è un’ottima notizia, ma prima di cantare vittoria vorremmo osservare più a lungo una difesa che escludendo la gara contro i deboli Titans ha concesso 32 punti a gara.

7 – I Chiefs sono difficilmente comprensibili

usatsi_9587590L’ondivaga stagione dei Chiefs prosegue, più si cerca di decifrarli più loro cercano di sfuggire alla comune comprensione. Non sono una squadra strutturata per attaccare alla grande, lo sappiamo già da qualche tempo, e spesso nel passato recente sono state le grandi giocate difensive a mascherare alcune evidenti lacune di Alex Smith e soci. La struttura della squadra non pareva affatto malvagia ed i risultati avevano dato ragione a Andy Reid, fautore di 31 vittorie nei primi tre anni di gestione con due partecipazioni ai playoff non proprio casuali, frutto di una formula poco spettacolare ma sicuramente solida.

Una formula che ora come ora traballa non poco, i Chiefs hanno saputo tirare fuori il carattere a San Diego rimontando un potenziale upset e questa è sempre una qualità che torna utile, ma non è tuttavia inquadrabile una situazione che propone una squadra in grado di cancellarne un’altra per poi essere ridicolizzata lei stessa ad una sola settimana di distanza. L’attacco è inconsistente, cosa che potrebbe migliorare con il graduale re-inserimento di Jamaal Charles, alla difesa manca molto l’infortunato Justin Houston ma i big play ci sono (Marcus Peters ha già 4 degli 8 intercetti di squadra), per cui l’aver polverizzato i Jets ci sembra più colpa di questi ultimi che non merito dei Chiefs, che hanno completamente fallito la partita in primetime contro degli Steelers con il dente avvelenato, ma difesa non certo irresistibile. E Kansas City, per come si è svolta la partita, è come se nemmeno fosse uscita dagli spogliatoi.

8 – Odell Beckham Jr. rischia di sprecare il suo grande talento

Quando si possiede il talento naturale di Odell Beckham Jr. è necessario porre attenzione alla gestione dello stesso. Con un carattere facilmente infiammabile è fin troppo facile perdere la testa ed è necessario andare oltre la convinzione di essere onnipotente, soprattutto se tale convinzione è facilmente smontabile dal primo corner-francobollo che arriva ad entrare nella propria mente con le provocazioni. Beckham è capace di numeri incredibili e prese acrobatiche come forse nessuno nella Nfl attuale, ha due mani formidabili e capacità di concentrazione ed equilibrio che raramente abbiamo visto combinate assieme in maniera così letale.

Ma non dimentichiamo che parte sempre tutto dalla testa, e non è sempre bene fare notizia perché da quest’anno si potrà finalmente bisticciare due volte l’anno con Josh Norman garantendo spettacolo ai media, e non è bene portarsi addosso l’etichetta di giocatore di enorme talento ma dal carattere dubbio. Serve quindi un cambio di direzione per la superstar dei Giants, che deve imparare a mettere da parte i bollori e a far parlare le sue statistiche, le sue vittorie, e tenere maggiormente a freno la parte verbale della partita. Recitare la parte della vittima circostanziale dopo una prestazione da 3 ricezioni per 23 yard, cortesia di Xavier Rhodes, non depone certo a favore della sua maturità.

9 – Gli Steelers sono da corsa

gettyimages-490901560Anche gli Steelers avrebbero bisogno di qualche artificio magico per essere pienamente compresi, dato che due prestazioni così altalenanti potevano essere messe assieme solo da due squadre differenti tra loro. Invece, la debacle di Philadelphia ed il severo dominio contro Kansas City portano entrambi la stessa identica firma, con la differenza che il ritorno in carrozza di Le’Veon Bell ha stabilizzato l’intero reparto offensivo per tutte le opzioni che ha riportato a disposizione del forte Ben Roethlisberger.

Un gioco di corse produttivo l’avevamo già visto grazie alle abilità sostitutive di DeAngelo Williams, che immaginiamo mantenere comunque un ruolo all’interno di questo contesto, certo è che Bell ha corso con grande visione e determinazione, si è proposto bene fuori dal backfield e che le bocche da fuoco non mancano, e non si chiamano necessariamente Antonio Brown. Se Sammie Coates è questo allora la sospensione di Martavis Bryant improvvisamente non è più un problema così grave, e se episodi come la debacle contro gli Eagles restano isolati, allora non vediamo perché gli Steelers non dovrebbero essere considerati per la corsa al Super Bowl.

10 – L’era di Fitzmagic è finita

Ci siamo fatti tradire dalla prima settimana di gioco, quando ai Jets erano tutti a darsi pacche sulle spalle credendo che tutto fosse esattamente come nell’anno precedente. Sbagliato. Non ci è possibile determinare quanto incida sull’attuale situazione la parziale assenza di Fitzpatrick al training camp per una disputa contrattuale che a posteriori pare assurda da qualunque lato la si veda, perché pure gli infortuni stanno giocando un ruolo assai determinante. E’ chiaro che questa non sia più la squadra che ha fatto a fette la difesa dei Bills quindici giorni fa, così come è cristallino il contraccolpo psicologico dell’orrida prestazione offensiva messa in piedi contro i Kansas City Chiefs.

Sul più bello le cose non sembrano più funzionare e non si trova una via d’uscita, una situazione che porta con sé connotati assai poco comprensibili per come avevamo visto brillare questo reparto offensivo contro Rex Ryan e la sua banda. Cercando di sbrogliare la difficile matassa ci sembra di vedere una picchiata nel rendimento difensivo contro i lanci, e lo dimostra il fatto che Revis non riesca a stare più dietro a nessuno in profondità, ed è inevitabile andare a porre l’attenzione sulle singole prestazioni di quello che un anno fa era Fitzmagic.

Oggi di magico non c’è più nulla, pur considerando un Brandon Marshall non perfettamente in forma ed un Decker alle prese con un infortunio molto complicato (parziale danno alla cuffia del rotatore della spalla), ma di certo non si possono pretendere i risultati della stagione scorsa con il 55% di completi e lanciando 6 intercetti in singola partita, fattori che a questi livelli sono destinati a sotterrare chiunque. Il naturale progresso dei Jets dovevano essere i playoff, ma gli aspetti che non funzionano sono decisamente troppi per pensare di ripetere il 10-6 dello scorso anno.

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