Perché Ten Weekly Lessons? Semplice, la settimana di football ci insegna cose nuove dopo ogni giornata, e ci siamo ritrovati desiderosi di capire come cambia la scacchiera del panorama Nfl una volta digeriti i risultati del turno e le relative prestazioni dei giocatori, e provare a proiettarli in ottica futura cercando di analizzare l’andamento delle squadre e dei loro protagonisti. Dieci considerazioni che cercheremo di tenere sintetiche, dieci pensieri diretti, personali e discutibili. Buona lettura.

1 – Mike Zimmer fa sul serio

q7tplhe7sfnksionjxrhNon facciamoci ingannare troppo da un’espressione di calma solo apparente. Mike Zimmer, uno dei più grandi coordinatori difensivi della nostra epoca, sta sfruttando con cognizione di causa la sua occasione di essere head coach nella Nfl, ed il suo terzo anno ai Vikings, seppure plagiato da infortuni semi-catastrofici, è proiettato nella positività più assoluta. Zimmer è convinto che un modo per vincere lo troverà, si tratta di credere nella filosofia del next man up. Sam Bradford ha giocato un debutto eccellente contro i Packers, favoriti per la Nfc North, inscenando un football preciso, sostanzioso ed a tratti spettacolare grazie alla collaborazione di Stefon Diggs, una vera e propria pesca miracolosa del Draft 2015. Sistemato il problema quarterback ora c’è da pensare alla sostituzione di Adrian Peterson, del quale non si conoscono i tempi di recupero (le ipotesi vanno dalle tre settimane alla stagione finita), ma il sistema di Zimmer ha già provato di poter rimanere a galla due stagioni fa, quando il fenomenale running back fu assente per tutto l’anno. Se l’attacco continuerà a svolgere il suo importante dovere – e qui le risposte le attendiamo dal comitato di corridori formato da McKinnon, Asiata e dal neo-arrivato Hillman – crediamo che nulla possa precludere un campionato felice per i ragazzi in porpora, forti di una difesa di cui si parla poco, ma capace di mettere la museruola a tantissimi avversari di qualità. E di un leader di basso profilo che crede tantissimo in sé e nei suoi uomini.

2 – Los Angeles ha seri problemi offensivi

I Rams hanno certamente impressionato al loro esordio casalingo, quello del fatidico ritorno a L.A., vincendo uno scontro d’importanza capitale come quello contro Seattle, tenuta a tre miseri punticini da una difesa aggressiva e capace di spedire fuori dal campo con costanza gli attacchi avversari. Nonostante lo spessore di quanto ottenuto domenica scorsa, non possiamo ignorare del tutto l’asfittico reparto offensivo, il grave problema di questa compagine. La situazione dovrà migliorare dopo l’inserimento graduale di Jared Goff, fresco numero uno assoluto dell’ultima tornata di scelte, ma di lui si parlerà più avanti, quando la sua comprensione dei giochi d’attacco dei Rams potrà ritenersi completa. Per il momento ci si deve accontentare di Case Keenum, che più di un backup in carriera non è mai stato e che non ha mai eccelso per cifre statistiche o consistenza delle decisioni prese, con l’aggravante di non aver ancora condotto in porto un drive offensivo sin dall’inizio delle ostilità. Il fatturato di Los Angeles è triste, il miglior giocatore offensivo è Greg Zuerlein, il kicker, l’unico ad aver messo dei punti in saccoccia fino a questo momento, e tra gli aspetti più preoccupanti ci sono le 2.7 yard di media per portata di Todd Gurley, il quale doveva trainare l’attacco, ma non ci sono segnali consistenti e la cosa è assai preoccupante. Difendere bene fa vincere tanto, ma senza attacco non si va da nessuna parte. Il fatto che non ci sia un ricevitore primario di estremo talento non fa che aumentare il vuoto presente.

3 – La vera sorpresa di questo inizio campionato è Philadelphia

Sì, nessuno scommetteva un centesimo su questi Eagles. Queste due partite hanno tuttavia posto in luce un dettaglio molto interessante, seppure questo sia stato generato più che altro dalla cattiva sorte di un’altra squadra. La trade-up per Carson Wentz è stata senza dubbio molto dispendiosa e non condivisa da chi scrive – che in ogni caso non ha analizzato filmati del ragazzo come ha invece diligentemente fatto lo scouting staff di Phila traendone le dovute conclusioni – ma a posteriori il dispendio di scelte è stato in parte assorbito grazie all’onerosa contropartita ottenuta dai Vikings in cambio di Sam Bradford. Se sommiamo fattori come la presenza di un quarterback proveniente da una scuola di bassissimo profilo, l’alto azzardo di questa grande scommessa, il fatto che in ogni caso – talento o non talento – c’è un playbook offensivo da digerire in pochissimo tempo, c’è da prendere il comando di uno spogliatoio senza mai averci messo piede in precedenza, c’è da soddisfare una delle platee più esigenti del panorama del football americano, non è assai cosa di poco conto. In queste due settimane di gioco Doug Pederson, anch’egli esordiente per il ruolo di head coach, ha certamente svolto un lavoro soddisfacente centrando la decisione di far esordire senza remore Wentz sin dal primo snap, mettendo contemporaneamente in campo una difesa ben più rispettabile dei collassi patiti sotto Chip Kelly ed ottenendo una partenza francamente impensabile. Attendiamo gli Eagles ai test più rudi che la Nfc East proporrà, ma la bontà della squadra pare essere davvero evidente.

4 – I quarterback vanno giudicati a fine stagione, non dopo una partita

gettyimages-602998578La prima prestazione stagionale di Jameis Winston era stata sicuramente tra le migliori di giornata ed era risultata fondamentale per imporsi contro una diretta rivale divisionale come Atlanta. La corsa all’oro va però frenata, ed i facili entusiasmi placati, perché una sola partita è assolutamente insufficiente per poter predire il futuro con un certo margine di sicurezza. Winston, che ha sicuramente mostrato progressi rispetto alla già buona annata d’esordio tra i pro, domenica scorsa ha incontrato una difesa molto più tosta rispetto a quella dei Falcons, e contro i Cardinals la faccenda si è fatta prevedibilmente molto più complicata. Le statistiche sono risultate l’esatto contrario rispetto a quelle di sette giorni prima (4 mete prima, 4 intercetti domenica scorsa), non ha aiutato la mancata produttività di un reparto corse pure sfortunato – Doug Martin potrebbe saltare la terza settimana di gioco – e sono così riaffiorati gli errori storici dell’ex quarterback di Florida State, gli intercetti, deleteri se commessi contro la super-difesa organizzata da Bruce Arians, facendo tornare altalenante il livello complessivo di performance. Andiamoci piano, dunque, con le classifiche troppo frettolose che cercano d’incolonnare idealmente i giocatori più progrediti dall’anno scorso, e rifacciamole quando ci sarà un numero di campioni maggiore su cui poter lavorare.

5 – Il dilemma di Jerry Jones non era poi così drammatico

Il boss dei Dallas Cowboys aveva fatto notizia durante la prima notte del Draft, quando, dopo aver selezionato Zeke Elliott quale running back del futuro, aveva disperatamente cercato di coinvolgere un’altra squadra per rientrare nel primo giro. Jones andava cercando nientemeno che Paxton Lynch, poi finito a Denver, in quanto seriamente preoccupato – ed i fatti gli hanno dato ragione – della resistenza fisica di Tony Romo e della sua età agonisticamente avanzata. Ci voleva un pezzo di futuro, ma la storia insegna che non sempre la risposta sta nel primo giro di selezioni. Dak Prescott è un’altra delle storie più sorprendenti di questo avvio di campionato, un altro esempio di come si possa arrivare ad ottenere la chance della vita in circostanze particolari cercando di sfruttarla nella migliore maniera possibile. Non conosciamo le intenzioni dei Jones nei riguardi di Prescott al momento della selezione, ma al quarto round sappiamo che si prendono prospetti, termine che indica un futuro piuttosto lontano dal presente ed uno spazio temporale da utilizzare per capire se un giovane possa diventare un giocatore professionista a tutti gli effetti. Anche Prescott, al di là dei risultati di squadra che di certo non si possono a lui totalmente ascrivere, ha dimostrato un’ottima preparazione estiva e per il momento ha messo a tacere tutte le valutazioni fatte si di lui, quarterback di ottime movenze atletiche ed ultra-produttivo a livello numerico in quel di Mississipi State, ma sul quale aleggiavano i perenni dubbi sulla gestione di un sistema offensivo Nfl. La partita con i Redskins ha mostrato un felice grado di maturità, delle decisioni coerenti a ciò che gli si chiede, ed un ampliamento delle soluzioni offensive reso possibile dalla sua capacità di spostarsi sul campo, qualità che Romo non ha. Finte, bootleg, numerose soluzioni su cui optare sono gli ingredienti che hanno reso l’attacco di Dallas più dinamico di prima, e teniamo conto che senza la mezza fesseria di Terrance Williams contro i Giants potremmo discutere di un’altra squadra a 2-0. Jones potrebbe essersi ritrovato per le mani il post-Romo senza la spesa di una trade up molto costosa. Anche qui è presto per sparare sentenze, ma restiamo ad osservare molto incuriositi.

6 – I Patriots sono una macchina da guerra, no matter what

La squadra di football perfetta è quella che funziona anche invertendo l’ordine degli addendi. Nessuno può insegnare ciò meglio dei Patriots, semplicemente perché a livello organizzativo sono una spanna sopra alla concorrenza, e non lo scopriamo certo oggi. Se non avessimo osservato con attenzione gli highlights scorgendo il numero 10 al posto del 12 avremmo giurato sulla presenza in campo di Tom Brady, in quanto l’efficienza del reparto offensivo di New England non ha rallentato la sua marcia nemmeno di un giro. Il 70% di completi, 4 passaggi da touchdown, nessun intercetto, quasi 500 yard già in archivio nell’arco di una partita e mezza sono cifre degne del mitico titolare dei Pats, ma sono state in realtà compilate dal tanto chiacchierato Jimmy Garoppolo, probabilmente il giocatore più scrutinato dell’intero campionato proprio per l’importanza della squadra cui appartiene in relazione alla corsa al titolo Nfl. La compagine di Belichick continua a stendere avversari noncurante dell’assenza di un quarterback tra i migliori della storia, del miglior tight end della lega (Gronk, chi altro?), e del miglior pass rusher di squadra (Rob Ninkovich), adesso c’è la grana della spalla del buon Jimmy e la partenza da titolare del terzo quarterback Jacoby Brissett, nonché una partita da preparare in fretta e furia contro gli imbattuti Texans per l’imminente Thursday Night di questa notte. La Lega con le sue punizioni ed il calendario beffardo continuano a tentare di prendersi gioco dei Patriots, ma loro tirano avanti per la loro strada come nulla fosse mai cambiato. Belichick vuol dominare, e gli importa assai poco di chi va in campo per realizzare l’obiettivo. Il metodo, lui ce l’ha.

7 – Denver è pronta a tornare ai playoff

nfl-week-2-broncos-rb-cj-andersonTra queste pagine web avete senz’altro letto a profusione di Trevor Siemian e della difesa del titolo da parte dei Broncos, per cui riteniamo opportuno non tediarvi oltre. Il discorso che vorremmo affrontare qui comprende certamente il giovane quarterback in arancione, ma il punto focale della questione è altrove. Siemian si sta comportando bene, non cerca di strafare ed esegue tenendo basso il livello dei suoi errori da secondo anno equiparabile ad un rookie vero e proprio, ma la fiducia ritrovata dal gioco di corse e l’altissima efficienza difensiva costituiscono i due motivi per cui la squadra gestita da John Elway, al netto di Manning, ha chiarito che non intende cedere lo scettro conquistato a febbraio rifiutandosi di ritenersi esclusa da alcuna corsa. Poi ci sarebbe sempre quel dettaglio della difesa, riconosciuta all’unanimità quale motivo principe della vittoria al Super Bowl, e se questo è il ritmo che l’ora ricchissimo Von Miller ha deciso di dettare replicando lo strapotere fisico/atletico mostrato nella finalissima, per i quarterback che lo dovranno fronteggiare si fa buia.

8 – I Jets hanno un attacco inaspettatamente produttivo

Molti dubbi aleggiavano tra le file dei Jets, protagonisti di un curioso braccio di ferro con Ryan Fitzpatrick durante la offseason, con conseguente perdita da parte del barbuto regista di una consistente fetta del training camp, un problema che normalmente condiziona negativamente qualsiasi partenza stagionale. In aggiunta a ciò c’erano concreti timori per la durabilità fisica di Matt Forte, gettato via dai Bears come un ferro vecchio qualunque dopo averlo solo apparentemente spremuto quasi fino in fondo. I due personaggi che abbiamo citato hanno invece dissipato ogni ombra contribuendo all’ottima produzione messa in campo fino a questo momento, una positività ben accetta se includiamo nel quadro le non perfette condizioni fisiche di Brandon Marshall. Se Fitzpatrick continuerà a percorrere la strada intrapresa durante la passata stagione, ove ricordiamo ottenne i migliori risultati di carriera, e se Forte riuscisse a privarsi di infortuni di qualsiasi genere da qui a dicembre ripetendo exploit come contro i Bills (3 mete), riteniamo fattibile quel piccolo passo verso la Wild Card che i bianco-verdi non riuscirono a compiere un anno fa nonostante le dieci vittorie registrate.

9 – Kirk Cousins non ha molto tempo per rimediare

Scot McCloughan è un general manager abile, poco precipitoso. E’ per questo motivo che non ha ritenuto opportuno soddisfare le richieste primaverili pervenute dalle rappresentanze di Kirk Cousins, in cerca di un contratto a lunga durata dopo una stagione imprevedibilmente concreta, trascorsa a trascinare i Redskins ad una rara presenza ai playoff. Il Capitano Kirk oggi gioca sotto il fatidico franchise tag, perché McCloughan gli ha sostanzialmente chiesto di mostrargli di più, e di farlo in due stagioni consecutive. E qui rischia di cascare l’asino, il che vale a dire rimettere in discussione Jay Gruden, particolare passato in secondo piano solo grazie alla qualificazione alla Wild Card poi persa contro Green Bay, e Cousins non ha certo cominciato bene questa prova del nove, il record di 0-2 è indicativo delle opache prove offensive di un reparto non pervenuto contro gli Steelers ed incapace contro i Cowboys di tramutare in mete i turnover recuperati da una difesa anch’essa non esente da responsabilità strategiche. Sean McVay è riconosciuto come uno degli offensive coordinator più innovativi del momento, ma poi l’esecuzione ha il suo peso. Intercetti in endzone come quello occorso contro Dallas vanno tempestivamente eliminati, sono decisioni immature che remano contro qualsiasi contratto di lunga durata.

10 – DeAngelo Williams è (ancora) manna dal cielo

dw1Un occhio ai documenti d’identità di DeAngelo ed i 33 anni sorprendono una volta in più, ogni settimana che passa. E’ l’età dove un running back come lui, che per tanti anni ha giocato quale portatore di palla principale – ed ancora lo sta facendo – è dato per finito: troppi colpi assorbiti, troppe miglia nelle gambe, troppi infortuni passati per rendere ancora al massimo. Gli Steelers hanno trovato in lui la polizza assicurativa più adatta degli ultimi due anni, causa i problemini comportamentali e fisici del signor Le’Veon Bell, che di diventare uno dei leader di questa squadra pare non voglia saperne. Infortunio al ginocchio a parte, sull’ex Michigan State gravano già due sospensioni, l’ultima delle quali pervenuta nel peggior momento possibile, il contract year, ma la presenza di Williams ha letteralmente salvato gli Steelers da partenze potenzialmente disastrose. La sua è un’importanza non calcolabile sommando semplicemente la cifra di yard prodotte finora, in quanto le sue positività sono date da caratteristiche che non si possono toccare con mano. Una forma fisica ancora strepitosa, movenze che non hanno perso un grammo nel tasso atletico, consistenza nel correre e visione del campo, e non ultima una fisicità di alto livello. E se proprio volessimo misurarli, quei numeri, eccoveli serviti: 118 yard di media a gara su corsa, 6.6 yard per ricezione, 3 mete. Un ottimo esempio da fornire a Bell, per fargli capire l’importanza di quel posto da starter.

 

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