Una delle curiosità più acute dei playoff del football americano riguarda senza dubbio l’osservazione dello stato di quelle franchigie prese a rientrare in campo dopo quindici giorni di pausa, e capire la loro reazione alla ripresa delle ostilità. Si chiama bye week ed è il bene/male che necessita essere affrontato per essersi sudati il premio, il che equivale aver raggiunto la prima o seconda posizione della griglia postseason in una delle due Conference. C’è chi mantiene perfetta la concentrazione che ha prodotto una regular season spettacolare, c’è chi si trova disorientato ed ha perso il ritmo-partita, e si trova come un pesce fuor d’acqua, ed il passo che porta ad essere campioni ancora prima di esservi incoronati, dipende proprio dallo stato di forma fisica e mentale con cui ci si ripresenta al lavoro dopo la meritata pausa.

CDA160117236_Seattle_at_Carolina-450x270Non c’è dubbio che i Carolina Panthers appartengano al primo dei due gruppi. I dubbi sul loro stato di forma sono durati giusto il tempo di uno snap, momento nel quale il rientrante Jonathan Stewart ha infilato un varco creatosi sulla parte sinistra della linea ed ha accelerato dopo aver trovato la luce, mettendo assieme un big play di 59 yard alla prima azione possibile, costruendo i presupposti per la sua stessa meta che avrebbe avuto luogo solo pochi istanti dopo. Questo è stato il biglietto da visita che Carolina ha presentato ai Divisional Playoffs, con corredo un consiglio prezioso a corredo: prego, prendere nota tutti che il nostro 15- 1 non è frutto del caso. Siamo forti davvero.

Non facciamoci troppo ingannare dal tabellino finale, che ha sancito una sola meta di distanza tra le squadre (31-24 il finale), e non facciamoci nemmeno venire il ricordo di quei miracoli assurdi compiuti da Russell Wilson nei playoff scorsi contro i Green Bay Packers, quella è un’altra storia.

Questa è stata una partita interpretata alla perfezione dai Panthers per tutto il primo tempo, periodo nel quale hanno distrutto una rivale capace di giungere per due volte consecutive al Super Bowl e che in questa regular season aveva dimostrato una volta in più di saper rimontare qualsiasi avversità in qualsiasi circostanza. Ma quei Seahawks colpevoli anche quest’anno di una partenza quantomeno incerta, in ogni caso bravissimi a mutare la loro pelle offensiva a campionato i corso per la duplice defezione di Marshawn Lynch e Thomas Rawls, sono stati semplicemente annientati da quella che in questo momento sembra una compagine impossibile da battere tante sono le sue opzioni offensive e difensive, tanta è la sensazione di dominanza che i Panthers espongono ogni singola volta che vanno in campo.

Anche loro posseggono dei punti deboli ben definiti, ma qui non si tratta di ricercare ossessivamente la perfezione, qui c’è da praticare un esercizio che allenatori come Bill Belichick hanno ripetuto fino alla nausea: essere consci delle proprie lacune, e nasconderle come meglio si riesce. Ed è proprio questo che ha portato gli uomini di Ron Rivera a due vittorie dal titolo assoluto.

19566891-mmmainContro Seattle, in particolar modo nei primi trenta minuti, abbiamo visto tutto quello che i Panthers sono capaci di eseguire su un rettangolo di gioco. Hanno scherzato contro una delle difese più preparate che si trovino in giro per la Nfl, continuando a variare le loro soluzioni e disegnando schemi versatili, in grado di mettere in crisi un back seven che difende costantemente a zona. Hanno corso a piacimento e gestito con oculatezza il cronometro, sapendo che un elemento molto pericoloso come Russell Wilson sarebbe dovuto rimanere vicino alla panchina quanto più tempo possibile. Ed in quei rari momenti in cui il quarterback dei Seahawks avrebbe presenziato in campo, avrebbe quantomeno dovuto pagare molto caro il minimo errore.

Un atteggiamento, quello di Carolina, da squadra ricolma di talento che sa benissimo come usare il suo cinismo. Una combinazione che somiglia tanto a quella già mostrata da chi ha vinto il Super Bowl prima di lei.

Grazie alla combinazione di talento fisico e capacità decisionale di un Cam Newton mai maturo come in questa stagione i precisi e forti lanci del quarterback sono giunti puntuali al destinatario di turno, trovato perennemente libero attraverso l’intelligenza schematica del gameplan dell’offensive coordinator Mike Shula. Palloni distribuiti a sette protagonisti differenti comprensivi del sempre affidabile tight end Greg Olsen, firmatario di un’altra delle sue numerose mete stagionali, e di compagni che fareste fatica a trovare in altri roster. Il che ci ricorda ancora una volta come il sistema possa fare la differenza anche senza una superstar come Kelvin Benjamin (e l’anno prossimo, quando tornerà, saranno ancora dolori per tutti…), in particolar modo se la squadra possiede un quarterback dotato di un raro intangible, quello di riuscire a migliorare ogni compagno con cui gioca.

3729Merito questo sì della rinnovata capacità di Newton nella scansione del campo per cercare il bersaglio migliore, ma pure di una linea offensiva che al di là del tackle Michael Oher e del forte centro Matt Kalil propone nomi che si farebbero fatica a ricordare singolarmente. Ed anche in questo caso, il concetto di gruppo viene prima del resto, è un quintetto che gioca con grande armonia e conosce i tempi dell’esecuzione degli schemi, gli aggiustamenti sui bloccaggi, gioca in maniera pulita ed impeccabile, senza provocare penalità inutili e dannose per i propri scopi. E, non ultimo, apre varchi sia per Newton che per un Jonathan Stewart rinato a livello fisico, rendendo possibile l’impresa assoluta di infilare la difesa dei Seahawks con un singolo corridore da 100 yard (J-Stew ne ha collezionate 106, con due mete), un fatto che non era mai accaduto dalla regular season del 2014.

Ad un certo punto del primo tempo era sensazione diffusa che l’attacco avrebbe potuto anche giocare bendato, ed avrebbe trovato ugualmente il modo di segnare o di produrre almeno cinque yard al primo down. E questa benevolenza offensiva si è mischiata al momento più opportuno con i blitz studiati da Sean McDermott, il defensive coordinator, che hanno permesso di sotterrare Wilson sotto una pressione indicibile, causa primaria dell’induzione ai due intercetti rimediati dal quarterback in apertura di gara, due turnover che a conti fatti sono risultati letali. Già è pesante per la difesa tornare subito in campo per difendere una posizione già facilitata per l’attacco opposto, figuriamoci poi quando l’intercetto viene anche trasformato in meta da parte del miglior giocatore difensivo degli avversari, come ha fatto Luke Kuechly nel primo quarto, e le frustrazioni fanno davvero presto a sormontarsi l’una con l’altra.

gettyimages-505391088Il 31-0 registrato al termine del primo tempo significa esattamente quello che abbiamo sostenuto prima. Potersi prendere il lusso di coprire le proprie falle ed inserire il pilota automatico per arrivare sani e salvi all’atterraggio, sapendo che qualche movimento indesiderato c’è sempre stato e sempre ci sarà. Prendersi un vantaggio del genere cancellando l’avversario che si ha davanti significa il potersi esporre alla propria propensione di concedere big play – peccato che la difesa dei Panthers ha commesso più e più volte in stagione – senza preoccuparsene troppo, lasciando che nella ripresa Russell Wilson eseguisse qualche magia appartenente al suo bagaglio in compagnia dei fidi Baldwin e Kearse, ma senza poi trovarsi il tempo necessario per completare un’eventuale rimonta.

I Panthers, da buoni primi della classe, hanno dimostrato a tutti che cosa possono fare e che nulla è cambiato riguardo alla consistenza che avevano mostrato nella loro semi-perfetta stagione regolare. Certo, non c’è da mettersi a scherzare troppo con il fuoco, i playoff sono un torneo a parte e la tendenza a mettere via la partita troppo presto per poi rischiare di non riuscire a gestire il cronometro con i tempi giusti va sicuramente corretta. Tuttavia, l’idea è quella che i Panthers siano un caterpillar che si muove verso una direzione già decisa, lasciando a chi sta davanti l’univoca opzione di spostarsi o restare travolto.

Esattamente quello che è capitato ieri a Seattle, che ora dovrà passare la offseason raccogliendo i cocci di se stessa e prendere contemporaneamente delicate decisioni che potrebbero dividere la strada della squadra della Emerald City da quella di Marshawn Lynch, come appare sempre più probabile.

Cam Newton, invece, continua a sorridere. Contro Arizona non sarà una passeggiata, ma le motivazioni ottimistiche non mancano di certo finché Superman veglierà sulla sua frachigia.

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.