Bill O'Brien

Bill O’Brien

La breve storia degli Houston Texans ha vissuto il suo sinora massimo splendore attraverso le capaci direttive di coach Gary Kubiak, sotto la quale guida sono arrivate le prime due qualificazioni ai playoff della storia e le prime stagioni di almeno 10 vittorie.

L’esperienza dell’odierno neo-allenatore dei Broncos è però terminata nel peggiore dei modi, con una stagione disgraziata, il 2013, che lo ha visto sollevato dal suo incarico prima della fine di un campionato poi terminato con sole due vittorie e la garanzia della prima scelta assoluta.

Da quel momento in poi le redini sono passate a Bill O’Brien, un passato da assistente ai Patriots e da capo allenatore presso l’università di Penn State in quel ciclone di scandali che fu l’immediato post-Joe Paterno, ambedue luoghi che hanno arricchito l’esperienza e forgiato ulteriormente il carattere di un head coach che pare pronto a riportare immediatamente Houston verso l’alto.

Questa è l’indicazione che deriva da un 2014 per certi versi molto sorprendente, chiuso con un ottimo bilancio di 9-7 e senza praticamente poter contare su quella prima selezione assoluta, Jadeveon Clowney, fermo a soli 146 snap stagionali a causa di un infortunio al ginocchio che ha richiesto un intervento chirurgico, assistendo tuttavia alla definitiva consacrazione dello status di superstar di colui che un domani sarà ricordato tra i migliori di sempre, quel J.J. Watt che non si ferma davanti a nulla mostrando continuamente il suo essere dominante in ogni fase del gioco.

Houston riparte da qui, e come base non è affatto sottile, a patto che si trovi una soluzione a lungo termine per il ruolo di quarterback, lo spot del roster che sembra maggiormente preoccupare e che storicamente non ha mai goduto della stabilità necessaria.

Un anno fa gli infortuni hanno costretto lo staff ad utilizzare ben quattro registi differenti con tutti i conseguenti adattamenti che questo comporta, senza però compromettere il successo globale di squadra a discapito del ventiquattresimo posto assoluto per yard prodotte dal gioco aereo.

Al momento in cui scriviamo questo articolo Brian Hoyer e Ryan Mallett stanno affrontando il training camp a suon di sfide per capire chi mai potrà vincere il ruolo di titolare per la prima di campionato, a conferma del fatto che le incertezze non sono ancora terminate. [NDR: è notizia recente che partirà titolare nella Week 1 Brian Hoyer, ritenuto dal coaching staff più consistente rispetto a Mallett].

Hoyer proviene da un’annata molto positiva per la piccola frazione in cui questa è stata giudicabile, si è dimostrato difatti un quarterback dinamico capace di cambiare le sorti dell’attacco dei Cleveland Browns prima di infortunarsi gravemente al ginocchio, subendo la rottura del crociato.

Mallett a roster c’era già ed è uno dei famosi quattro di cui sopra, apparso in tre gare totali senza né impressionare e né combinare chissà quali disastri, ma è ovvio che una porzione dimostrativa così breve non possa essere un campione sufficiente per giudicare un giocatore a livello definitivo. Ambedue si giocheranno le proprie chance di procurare all’attacco il salto di qualità ricercato in fase di passaggio.

Arian Foster

Arian Foster

L’attacco, coordinato dall’ex allenatore dei quarterback George Godsey (che O’Brien conosce bene dai tempi dei Patriots, quando entrambi erano assistenti di Belichick), deve già riprendersi dalla prima tegola ricevuta in testa, in quanto il fulcro di tutto il reparto, il grande Arian Foster, si è già dovuto accomodare a bordo campo a causa di un infortunio all’inguine, l’ultimo di una lunga serie che ha oramai compromesso l’affidabilità a lungo termine di uno dei migliori running back NFL degli ultimi anni, un giocatore totale che produce qualunque cosa gli si chieda di fare.

Fare a meno di Foster significa mettere in pericolo l’efficienza di un gioco a terra che per yard a gara è stato il quinto di tutta la Lega, nonché l’elemento basilare da cui partivano tutte le altre diramazioni del playbook, oltre che fornire un margine d’errore limitato a dei quarterback dal talento non eccezionale chiamati il più delle volte a consegnargli semplicemente il pallone, o a centrarlo con un passaggio corto.

Da questo punto di vista la presenza di un’alternativa come Alfred Blue è pura manna dal cielo, nel senso che pur dovendo forzatamente migliorare le 3.1 yard per portata del 2014, il giocatore al secondo anno da LSU ha comunque impressionato durante il campionato da matricola, mostrando uno stile molto fisico in grado di stendere molti potenziali placcatori, l’ideale per provare a dargli un maggior numero di responsabilità e vedere che succede, dato che le circostanze gli daranno la preziosa possibilità di essere lo starter delle prime otto partite.

Sulla carta è un backfield che può fare ancora molto bene, con Blue a godere di un’opportunità di crescita non indifferente, Foster che potrà dare il suo contributo a 360 gradi una volta ristabilitosi, ed il rookie Kenny Hilliard pronto per un ruolo da specialista per le situazioni di goal line e di terzo e corto. Da tenere sotto stretta osservazione sarà pure Chris Polk, acquisito di free agency dagli Eagles, che potrebbe diventare l’uomo delle corse lunghe e delle numerose ricezioni.  

DeAndre Hopkins

DeAndre Hopkins

1012 ricezioni, 13.597 yard ricevute e 64 mete. Sono i numeri di Andre Johnson, che per la prima volta in carriera vestirà una maglia differente da quella dei Texans e li affronterà da avversario all’interno della AFC South, dato che si è accasato ad Indianapolis, alla corte di Andrew Luck.

Houston ha girato pagina ed ha salutato il suo miglior ricevitore di sempre, che ha semplicemente chiesto di poter giocare in una squadra da titolo, e ripone le sue fortune su una batteria di ricevitori coltivati al proprio interno a seguito di selezioni mirate al Draft, cui si aggiungono alcuni veterani importanti. DeAndre Hopkins pare l’erede naturale del grande Andre, dato che le caratteristiche fisiche sono abbastanza simili e l’incisività c’è tutta, ma il test della prima volta come ricevitore numero uno indiscusso potrebbe non essere facile.

L’ex ricevitore di Clemson non ha mancato di far vedere sostanziali progressi da un anno all’altro giungendo alla sua prima stagione da oltre 1.000 yard già alla seconda stagione di attività peraltro fungendo da opzione secondaria, sfiorando le 16 yard ad apparizione, e sarà coadiuvato dal nuovo arrivato Cecil Shorts III, che di AFC South ne capisce bene avendo giocato i primi anni di carriera a Jacksonville.

L’ex Jaguars non avrà il posto garantito perché la posizione è molto profonda, la lotta con Nate Washington sarà serrata soprattutto perché l’ex Titans e Steelers porta con sé tanta esperienza ed affidabilità, pilastri di una decennale carriera da undrafted che lo ha visto vincere due titoli a Pittsburgh.

Ci sarà spazio anche per Jaelen Strong, rookie da Arizona State, in ritardo di condizione a causa di un infortunio di lieve entità, ma molto promettente, e la batteria è chiusa da Damaris Johnson, che lavorerà nello slot in cerca di una maggiore consistenza, nonché dal tight end Garrett Graham, che spera di essere maggiormente coinvolto rispetto allo scorso anno.

Sufficiente solidità parrebbe giungere dalla linea offensiva, che se non altro agli estremi è molto ben piazzata. Duane Brown, dopo otto anni di attività, si è oramai stabilito tra i migliori tackle sinistri in circolazione ed ha ancora parecchio da offrire grazie alla sua completezza, e Derek Newton, pari ruolo sul lato destro, si è meritato un rinnovo contrattuale dopo aver fatto continuamente il roster nonostante il settimo giro di chiamata originaria, frutto di quattro stagioni di grande lavoro.

Piccoli ritocchi in atto invece per il reparto interno, dato che Chris Myers non sarà più il centro titolare essendo stato rilasciato per motivi di età (34 anni) e salary cap. Il suo sostituto naturale è certamente Ben Jones, che ha giocato a lungo da guardia a sinistra offrendo un ottimale rendimento nell’aprire varchi alle fruttuose corse di Foster e compagni, ma la sola presenza di Brandon Brooks, progredito fino a divenire a tratti dominante, fornisce molta sicurezza.

Deludente è stata invece l’annata d’esordio di Xavier Su’a-Filo, per il quale era stata spesa una seconda scelta, il quale si è trovato sovrastato in ogni fase del gioco, ma le alternative non sono tante perché il resto del ruolo è composto da backup privi di esperienza che hanno fatto il roster senza mai essere stati scelti al Draft.                        

J.J. Watt

J.J. Watt

Se lo chiedono in molti: può essere questa la miglior difesa della NFL? Non c’è una risposta definitiva, ma tante potenzialità quelle sì, e la presenza di un fenomeno come J.J. Watt fornisce assicurazioni più che sufficienti. Cosa ci manca da vedere dal grandioso defensive end?

Poco o nulla, forse solo uno schieramento da quarterback, e poi potremmo sostenere di avergli visto fare ogni tipo di esperienza tentando di tenere sollevata questa squadra, che di lui ha bisogno come l’aria che respira. 20.5 sack, 10 passaggi difesi, 4 fumble forzati, 2 mete difensive, 3 touchdown offensivi in 3 ricezioni, quarto miglior marcatore di squadra con 32 punti a sua responsabilità.

Ed eccovi servito il vostro tipo defensive end da 3-4. Watt è stato irreale, ed onestamente pare difficile pronosticargli un’altra stagione con numeri uguali a questi per quanto la sua straordinaria intensità non ceda il passo a nessuno, per cui la difesa ha certamente bisogno di un passo in avanti da molti dei suoi appartenenti.

Il reparto coordinato da Romeo Crennel ha sperimentato con alcuni veterani nel ruolo di nose tackle senza trovare delle soluzioni adeguate ad incidere contro le corse (i linebacker le hanno difese molto meglio), ragione per la quale è stato tentato il colpo grosso, portando in città niente meno che Vince Wilfork, 320 libbre di potenza, esperienza, e che possiede una discreta argenteria depositata presso la sua abitazione.

Il terzetto è chiuso da Jared Crick, che ha disputato un ottimo 2014 in relazione alle sue potenzialità diventando titolare un po’ a sorpresa, e nonostante quanto di buono sia riuscito a far vedere non è visto come una soluzione a lungo termine.

Tanti i punti di domanda che attorniano i linebacker, fino a poco tempo fa il punto di estrema forza di tutto il reparto difensivo. Nel caso pervenissero risposte positive, prepariamoci però ad una grande annata.

L’unica sicurezza al momento è rappresentata da Whitney Mercilus, molto consistente contro le corse ma insufficiente a livello di pass rush, caratteristica per la quale si punta invece moltissimo su Jadeveon Clowney, che ha avuto l’esordio rovinato dall’infortunio al ginocchio e che nel poco tempo trascorso in campo non ha mostrato nessuna delle abilità che ne hanno contraddistinto la grande carriera a South Carolina.

Un altro quesito è rappresentato da Brian Cushing, il cui livello di prestazioni non è più stato lo stesso a seguito della doppia rottura del crociato in annate consecutive, fatto che ha ridotto drasticamente una produttività che nei primi anni di carriera è stata niente meno che eccellente, motivo per cui è stato scelto un giocatore come Benardrick McKinney, il quale combatterà per un posto al sole assieme ad Akeem Dent, una positiva addizione arrivata prima della stagione 2014.

I Texans hanno utilizzato tante combinazioni mettendo spesso in campo seconde linee come Justin Tuggle, Mike Mohamed e Jeff Tarpinian, nessuno dei quali ha fatto la differenza in maniera evidente, ed hanno perso Brooks Reed, trasferitosi ad Atlanta.

Kareem Jackson e Jonathan Joseph

Kareem Jackson e Jonathan Joseph

Dopo anni di gentili concessioni sul profondo, a Houston si è finalmente visto un netto miglioramento nelle secondarie da quando Kareem Jackson e Jonathan Joseph hanno ricevuto l’opportunità di giocare assieme formando uno dei tandem più validi che vi siano in giro.

In due hanno battuto a terra una ventina di passaggi ed effettuato interventi spesso puntuali, Jackson ha ricevuto un’estensione del contratto da rookie e non si muoverà da qui per tanto tempo, mentre Joseph sarà free agent a fine stagione.

Il ruolo di corner è sufficientemente attrezzato di alternative in grado di incidere positivamente e permette di schierare una nickel defense di qualità grazie alla presenza di Kevin Johnson, che potrebbe diventare il successore naturale dell’appena menzionato Joseph, e di A.J. Bouye, bravo a ritagliarsi uno spazio tutto suo dopo essere stato pescato tra i free agent collegiali.

Lo spot di safety ha perso D.J. Swearinger, gran colpitore ma pessimo contro le corse, sostituendolo con l’esperienza di Rahim Moore e Stevie Brown, entrambi difensori capaci di effettuare la giocata determinante, e c’è curiosità per le condizioni di salute del prospetto Lonnie Ballantine, che ha perso tutta la stagione d’esordio per infortunio e che lotterà al camp per un posto da titolare.

Randy Bullock ritorna quale kicker titolare dopo aver registrato un 2014 in netta ripresa rispetto ad un campionato precedente più difficoltoso, centrando 30 delle 35 conclusioni tentate con un’ottimale mira dalla lunga distanza.

39 anni non sono pochi per un giocatore professionista, ma nemmeno poi così tanti se ti chiami Shane Lechler e a discapito dell’età ti confermi come uno dei migliori performer del tuo ruolo. Non c’è un elemento che possa definirsi pericoloso tra i ritornatori, per cui ci sarà da aspettarsi una rotazione tra Cecil Shorts, Keshawn Martin e Damaris Johnson, a meno che il minuto ma velocissimo Chandler Worthy non riesca ad impadronirsi del ruolo.

Sotto Bill O’Brien i progressi non sono certo mancati, anzi, è arrivata una gradevolissima sorpresa da parte di una squadra per la quale la previsione massima era di sei o sette vittorie. Le nove accumulate hanno riportato i Texans su quel limite che sta tra una buona stagione ed i playoff, anche se confermare tale status non sarà per niente facile.

C’è da risolvere la grana quarterback e la difesa dovrà fare gli straordinari per sopperire a delle difficoltà offensive da mettere in preventivo a maggior ragione dopo l’infortunio a Foster, ma le potenzialità per fare bene in Division e confermare il secondo posto dello scorso anno ci sono tutte.

I Texans sembrano troppo poco offensivi per lottare ad armi pari con i Colts per la supremazia divisionale, ma tenere a bada Jaguars e Titans mentre ritrovano un’identità non sarà affatto un problema.

L’anno scorso sarebbe bastata una vittoria in più per ottenere la postseason ma psicologicamente la squadra aveva tutto di che guadagnare, quest’anno la pressione sarà differente ed un fallito aggancio ai playoff potrebbe scontentare parecchie persone.

Basterà un’altra annata fuori dal comune di J.J. Watt per centrare il traguardo? Non è detto.     

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