Quella del titolo è a tutti gli effetti una domanda scioccante, ma dato lo svolgimento dei fatti pare corretto cominciare a farsela. Robert Griffin III, preso con la seconda scelta assoluta al Draft del 2012 attraverso un dispendio di scelte che definire sanguinoso pare ancora poco, è appena finito in panchina per il secondo anno consecutivo, con il secondo allenatore diverso, e sembra il fantasma del giocatore spettacolare ed efficiente che esordì nella lega contribuendo fortemente a riportare i Redskins a traguardi concreti.

12092594-mmmainDifficilmente il problema è riconducibile ad un solo giocatore, ad una sola mossa, ad un solo aspetto di un gioco come il football americano che vive sull’organizzazione di una franchigia progettata per mesi e mesi prima di iniziare un campionato, a maggio ragione in una lega come la NFL, che premia solo ed esclusivamente chi sa costruire  a lungo termine, chi sa farsi bene i conti con il salary cap, chi sa abbinare correttamente il talento a propria disposizione ai dettami tattici del proprio staff.

Si tratta di un insieme di fattori.

I Washington Redskins non sono lungimiranti, anzi, non lo sono mai stati da quando Dan Snyder è diventato il proprietario della franchigia. Snyder ha sempre pensato di poter acquistare tutto con il denaro, e probabilmente non ha ancora imparato che un titolo NFL non ha semplicemente prezzo, se l’avversario è più bravo di te ad allestire la sua squadra. Ogni singolo pezzo deve incastrarsi alla perfezione, ci vuole l’allenatore giusto, il coaching staff consono, un roster completo e con poche lacune (quelle le hanno tutti, ma dipende sempre come queste vengono superate) ed un programma a lungo termine che sappia come tenere alti i risultati di squadra per più stagioni consecutive.

Si chiama continuità, ma nella Capitale questa parola è assolutamente sconosciuta. Washington è una franchigia perdente con una cultura perdente. E fino a ieri, schierava un quarterback che negli ultimi due spezzoni di stagione giocati ha messo assieme un record decisamente perdente.

No, non si vuole diffamare Robert Griffin III, non sarebbe corretto senza nemmeno conoscere molti dei fatti che sono accaduti in un luogo lontanissimo da quello in cui viviamo, dove possiamo giudicare solamente per il sentito dire. Possiamo solo farci un’idea cercando di analizzare i fatti, un’idea che non sarà mai vicina alla realtà totale, semplicemente perchè certe cose escono allo scoperto, e certe altre sono destinate a rimanere per sempre in circoli chiusi. Tuttavia, non si può nemmeno negare un’evidente delusione per le prestazioni dell’ex Baylor Bears, un anno fa pienamente giustificato da un terribile infortunio che si sarebbe potuto evitare se solo Mike Shanahan fosse stato un tantino più coscienzioso e meno avido, e magari chissà, sarebbe ancora a Washington ad allenare. Griffin avrebbe avuto bisogno di molto più tempo per recuperare dopo quella botta infertagli da Haloti Ngata in quella gara contro i Ravens in stagione regolare (9 dicembre 2012), ma c’era bisogno di agguantare i playoffs, di vincere, di giustificare l’esborso economico per avere il giocatore, con la conseguenza del patatrac definitivo, un danno molto grave per un ginocchio che al College aveva già subito una prima riparazione, e che dopo un anno fantastico gettava delle ombre molto scure sulla carriera di un quarterback che ancora doveva cominciare il suo secondo anno di attività professionistica.

Al di là degli infortuni, tuttavia, Griffin è rimasto fermo per quanto riguarda i progressi tecnici e tattici. E la leadership che un franchise quarterback dovrebbe mettere sul piatto per la sua squadra, per dare l’esempio ai suoi compagni, non si è mai fatta vedere.

E questa, colpa di Mike Shanahan non è.

112514-NFL-SIT-DOWN-AND-SHUT-UP-OB-pi.vadapt.620.medium.0Tolto Shanny dallo scenario e balzando ai giorni nostri, le vie opinionistiche possono essere due: o Griffin non mette lo stesso impegno di altri colleghi nel migliorare le proprie capacità di quarterback professionista, oppure Jay Gruden, che predilige un sistema offensivo un pò avverso alle caratteristiche di RGIII, sta forzando un giocatore a snaturarsi pur sapendo che forse non ce la farà mai, perché le sue qualità sono semplicemente perfette per uno stile di gioco collegiale. E’ difficilissimo trovare una risposta definitiva, ma il messaggio mandato dall’head coach al primo anno è chiarissimo, ed è teso al bene della squadra, non al singolo. Shanahan e Snyder tendevano a privilegiare Griffin. Gruden vuole solo ottenere risultati positivi da subito, e sta cercando la strada migliore per riuscirvi.

Alla fine, contano sempre i numeri.

Shanahan aveva costruito assieme al figlio Kyle un attacco particolarmente coerente alla mobilità del quarterback, con diverse chiamate in bootleg su finta di passaggio, tipo di schema che privilegiava la rapidità di spostamento di Griffin da un punto A ad un punto B per poi decidere se proseguire con la corsa oppure se lanciare all’uomo smarcato in profondità, facendo fioccare giochi da oltre 15/20 yards, cose che a Washington non vedevano da secoli. Ovviamente, per rendere realistico il funzionamento del sistema, il contributo dell’allora rookie Alfred Morris, un autentico steal di Shanahan al sesto giro 2012, si è rivelato a dir poco fondamentale, perchè tale tattica si basa sulla riuscita delle playactions, le finte di consegna al running back. E Morris, grazie al suo stile dritto e forte, portava sempre ottimi guadagni al primo down, o comunque attirava le attenzioni di una difesa che caricava il box di uomini, lasciando in singola copertura qualche velocista. E Griffin, con il suo ottimo braccio, faceva danni incalcolabili.

In questo contesto il quarterback era arrivato a far vincere ai Redskins 9 partite delle 15 disputate (una la vinse Cousins, proprio dopo l’episodio contro Baltimore citato poc’anzi) lanciando 20 passaggi da touchdown contro soli 5 intercetti con il 65% abbondante di completi, e la franchigia vinse per la prima volta la NFC East dall’anno 1999.

Mike+Shanahan+Washington+Redskins+v+Detroit+JLEmABMoaSMlIl sistema era lo stesso, nel 2013, ma Griffin si mostrò involuto. Chiaro, Shanahan aveva forzato il suo rientro in campo dopo la riabilitazione dalla rottura del crociato anteriore e laterale affrettando un’inutile presenza alla Week 1, quando si vedeva chiaramente che il quarterback era impacciato nei movimenti, costretto com’era a tenere un fastidioso tutore, ed avrebbe necessitato di più tempo per recuperare la forma fisica. Aveva perso gran parte del training camp, luogo dove ogni giocatore, soprattutto il quarterback, ha la possibilità di provare gli schemi fino alla nausea, e soprattutto di discutere schemi, errori e piani di gioco con gli allenatori.

Washington chiuse l’anno con otto sconfitte consecutive, del vecchio Griffin nessuna notizia, neanche dopo che era tornato ad essere abbastanza in agio una volta superate le comprensibili paure iniziali, e la prima scelta finì in panchina a tre settimane dalla fine, con un record da titolare di 3-10. Il numero degli intercetti era più che raddoppiato, le decisioni prese erano peggiorate a livello qualitativo.

Alla fine il conto lo pagarono i due Shanahan, e da un certo punto di vista andò bene così.

I Redskins sono fuori dal quadro playoffs già da un pezzo nella presente stagione, poco conta la matematica, lo si è visto una volta osservata la squadra in campo nelle prime quattro partite. Le colpe sono di tutti i settori, non ultimo una linea offensiva carente sul lato destro oramai da anni, ma Robert Griffin ha fatto un altro passo indietro. Questa volta ha beneficiato di un intero training camp per inglobare il nuovo sistema offensivo, e, anche se potrebbe intervenire come parziale scusante l’infortunio alla caviglia che gli ha fatto perdere la prima metà di stagione, sembra aver compiuto un ulteriore passo indietro.

griffin-allen-rg3-draftday-ap-718kb_606Con lui da titolare i Redskins sono 0-4, ed hanno segnato rispettivamente 6, 26, 7 e 13 punti, una media di 13 ad apparizione. Escludendo per un attimo Jay Gruden, tutti i dubbi sull’efficienza dell’attacco dei Bengals quand’egli ne era l’offensive coordinator, e le sue esigue possibilità di successo da esordiente in un ambiente a dir poco disastrato come Washington, c’è una domanda importantissima che sorge. Può, un quarterback che negli ultimi due anni ha raccolto un bilancio di 3 vittorie e 14 sconfitte valere nell’ordine: sesta scelta assoluta 2012 (usata a loro volta dai Rams in una trade con Dallas); trentanovesima assoluta 2012 (Janoris Jenkins); scelta di primo giro 2013 (la 16, utilizzata per salire alla 8 e prendere Tavon Austin), la tredicesima assoluta 2014 (Aaron Donald)?

La risposta è semplice. No.

Di quel Draft, solo Andrew Luck, a nostro modesto parere, avrebbe meritato un esborso simile.

Si tratta della più grande trade della storia eseguita il giorno del Draft, la più costosa, che ha riportato in auge l’idea dei Redskins spendaccioni e facilitoni. Nell’anno da rookie di Griffin sembrava un affare. Oggi sembra l’ennesima pazzia di una franchigia moribonda da un ventennio.

Pochi giorni prima del Draft, Washington aveva battuto Cleveland nella corsa alla trade con St. Louis per quei diritti di chiamata. A posteriori, avrebbero potuto attendere tranquillamente alla loro chiamata originaria, la numero sei, scendere accumulando altre picks, investire su Tannehill o rubare Russell Wilson a Pete Carroll. Ma questi sono discorsi troppo facili, perchè fatti col senno di poi. Quel che è certo, è il fatto che quelle scelte, se tenute, avrebbero portato al roster odierno il talento necessario per risolvere i numerosi problemi offensivi e difensivi.

Quel che resta, è l’ennesimo anno nel quale i Redskins devono raccogliere i cocci dei loro stessi errori, dove le speranze di pre-stagione sono puntualmente disilluse (un sentimento molto simile a quello di ogni cittadino italiano dopo una qualsiasi elezione), e nel quale non si capisce che tipo di manovre si debbano mai fare per uscire da una voragine che si fa sempre più profonda.

article-2522905-19F6FAB000000578-496_634x424Gruden ha detto la sua. Il GM Bruce Allen ed il proprietario Dan Snyder hanno ascoltato. Griffin siederà in panchina a guardare Colt McCoy (ironia della sorte, 2-0 da titolare quest’anno, ma è una statistica che non deve fuorviare), e dopo aver stabilito la posizione definitiva di scelta per il 2015, dove stavolta la prima scelta sarà dispnibile, non resterà che decidere se dare un’ultima possibilità a RGIII, oppure decidere di fargli ricostruire la carriera altrove, ricavandone perlomeno qualcosa in cambio.

Dovessimo decidere noi, gli daremmo un’altra chance, se non altro per l’enorme investimento fatto. Ma non è detto che Gruden sia dello stesso avviso.

E’ solo il 26 novembre. Ma a Washington, in qualche modo, la offseason è già iniziata. E il problema da risolvere, è di quelli giganteschi.

 

 

 

 

One thought on “RGIII, il futuro è ancora a Washington?

  1. Il problema, lo si capisce bene dal pezzo, è Snyder. Allen subito dopo, non fosse altro perché scelto dallo stesso Snyder. Ora, il valore stimato dei Redskins si aggira intorno ai 2,4 miliardi di dollari (almeno su questo Dan è stato bravo, ingrossare il suo portafoglio) e all’orizzonte non si vedono multimiliardari interessati all’acquisto. Per cui ce lo si deve far piacere, sapendo che questa situazione non cambierà di una virgola.
    Ciò detto, Gruden è spocchioso oltre che irritante. Non ha in mano numeri che gli consentano di farlo, cosa che aumenta la situazione di fastidio. Per ora il suo gioco è stato piuttosto scadente, nemmeno lontano parente di quello del vecchio Mike (mille difetti ma più astuto in tantissime cose). Gli verrà data una possibilità a prescindere da questa stagione orribile, e in America continuano a dire che Griffin è ancora considerato il franchise QB dalla dirigenza. Non so, non vedo vie d’uscite a stretto giro. Certo, allenasse ancora il grande Gibbs, potremmo ambire al Super Bowl pure con McCoy. Forse.

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