Molto spesso nella NFL vi sono squadre che fanno tanto rumore nella prima parte del campionato, ottenendo quale logica conseguenza l’attenzione della stampa ed un’alta collocazione nel rituale giornalistico dei power rankings, ma che quando arriva il momento del test della verità non sanno confermare il loro valore sul campo. Il momento della grande difficoltà stagionale arriva, presto o tardi, per tutti, e ciascuna franchigia si deve misurare con la propria capacità reattiva nei confronti di un evento avverso, il che determina la capacità o meno di concretizzare fino in fondo quanto di buono già messo in cascina.

Matthew Stafford ed il suo attacco sembrano involuti rispetto all'anno passato.

Matthew Stafford ed il suo attacco sembrano involuti rispetto all’anno passato.

Lungi da noi l’essere presupponenti nei confronti dei Detroit Lions, per i quali la strada che conduce ai playoffs è ancora bella spianata, ma dinanzi alla due sconfitte consecutive rimediate in altrettante giornate possono facilmente sorgere degli interrogativi nei loro confronti, a maggior ragione confrontando gli andamenti pericolosamente simili degli ultimi due tornei, con la sola incognita di scoprire, mano a mano che la stagione 2014 volgerà al termine, se la capacità di rialzare la testa sarà stata differente rispetto a dodici mesi fa.

Per capire i concetti espressi serve difatti fare marcia indietro un momento, e capire perchè i Lions stanno rischiando che questa diventi una pericolosa abitudine. Era proprio il mese di novembre di un anno fa, e Detroit aveva appena ottenuto un’affermazione divisionale molto significativa al Soldier Field di Chicago scrivendo a referto la vittoria numero 6, che a fronte delle 3 sconfitte poneva la squadra allora allenata da Jim Schwartz nel novero delle favorite per la qualificazione ai playoffs nella NFC.

In quel preciso istante i Lions potevano decidere da soli il loro destino, avanti com’erano di una gara rispetto sia a Green Bay che a Chicago in una NFC North molto serrata, e la franchigia pareva aver trovato il modo di riprendere il ritmo corretto di crescita dopo il deludente 4-12 del 2012, ad un solo anno di distanza dall’aver disputato (e perso, contro New Orleans) la prima partita di playoffs dal 1999, il traguardo più rappresentativo della gestione Schwartz.

Tuttavia, la seconda parte del campionato avrebbe riservato a Detroit un amaro bilancio di 1-6 compilato proprio nelle partite decisive, dove serve tirare fuori ancora più cuore e carattere di quanto già non si faccia ogni domenica, e nelle ultime tre apparizioni la squadra avrebbe perso con uno scarto medio di soli due punti, inclusa una sconfitta al supplementare contro i New York Giants. I Lions avrebbero terminato con un bilancio complessivo addirittura perdente, 7-9, i playoffs, neanche a dirlo, sarebbero sfumati (passava la sola Green Bay con il suo 8-7-1) ed a Schwartz, responsabile anche per la scarsa disciplina dimostrata dai suoi ragazzi, sarebbe stato chiesto di sgomberare tempestivamente il proprio ufficio.

Veniamo ad oggi.

I Lions sono partiti vincendo 7 delle prime 9 apparizioni trovandosi ancora una volta al comando della NFC North, con un duplice vantaggio rappresentato dall’aver confitto i Packers per 19-7 alla terza giornata di campionato. Sono però bastati quindici giorni per vedere la situazione ribaltata e trovarsi nuovamente sorpassati da Aaron Rodgers e compagni, oggi a quota 8-3, esattamente ad una gara di vantaggio su una Detroit che ha cominciato un trend non esattamente positivo, e che deve fermare a tutti i costi un altro potenziale collasso di fine anno.

Ci sono degli elementi che fanno ben sperare.

Jim Caldwell ha silenziosamente cambiato la cultura dello spogliatoio dei Lions.

Jim Caldwell ha silenziosamente cambiato la cultura dello spogliatoio dei Lions.

I Lions sono radicalmente cambiati grazie al cambio di allenatore, Jim Caldwell si è dimostrato un leader silenzioso ma molto determinato a farsi rispettare, e sembra che i giocatori abbiano accolto questa sua particolare disciplina non troppo vocale nel migliore dei modi. La squadra è evidentemente più coesa, ognuno rispetta i compiti che gli sono stati assegnati, e non sono più tollerati episodi di immaturità come quelli che coinvolsero, nel recente passato, stelle come Ndamukong Suh, il quale si è costruito nel tempo una fama di giocatore non esattamente pulito a causa di qualche reazione esagerata, data da esplosioni di nervi che Schwartz non aveva mai dimostrato di poter controllare.

E’ cambiata anche la sostanza di un team che negli anni più recenti si è fatto conoscere per la scarsa bontà della difesa, a fronte della quale poteva tuttavia vantare un attacco fantascientifico validato dalle oltre 5.000 yards lanciate da Matthew Stafford nel 2010 con ben 41 passaggi da touchdown a corredo, e dai quasi 26 punti a partita tenuti di media nell’ultimo triennio, esclusa la stagione in corso.

I Lions del 2014 sono una squadra che segna molto meno (17.9 punti a gara), ma posseggono di contro una difesa consistente come raramente sono riusciti a mettere in campo, e questo settore è stato tra i principali motivi del successo della prima metà della stagione. Il reparto è il primo di tutta la NFL per punti concessi (poco più di 17, media “sporcata” domenica dai Patriots), terzo per yards al passivo, primo contro le corse e decimo contro i passaggi, tutte statistiche che le recenti edizioni di questa compagine si sognavano.

DeAndre Levy, per lui una stagione da All-Pro.

DeAndre Levy, per lui una stagione da All-Pro.

Suh è la consueta forza della natura, ma il giocatore che ha segnato il più alto grado di esplosione è stato sicuramente DeAndre Levy, un linebacker distruttivo per la puntualità con cui arriva a placcare il corridore dietro la linea di scrimmage e per la pass rush che riesce a fornire quando viene spedito in blitz, un giocatore che si può utilizzare in più modi grazie alla sua grande velocità ed alla forte reattività nel leggere la situazione, due qualità che lo hanno reso il vero e proprio traino del front seven.

Contributi molto preziosi ma talvolta troppo sottovalutati come quelli del secondo anno Ezekiel Ansah, il quale si sta sviluppando come defensive end molto versatile, del backup linebacker Tahir Whitehead, il giocatore che normalmente viene lasciato in campo assieme a Levy quando ci sono da difendere i passaggi, e del safety James Ihedigbo, che fino ad ora ha rotto traiettorie con una puntualità ottimale, sono solo alcuni degli elementi che hanno tracciato una netta differenza in positivo per questa difesa, a maggior ragione se considerato il fatto che Caldwell ha dovuto fare a meno per infortunio di pezzi fondamentali del puzzle come il linebacker Stephen Tulloch, fuori per la stagione, ed il defensive tackle Nick Fairley, atteso al rientro tra qualche settimana, due elementi che sono invece stati rimpiazzati con grande efficacia.

Per evitare un nuovo tracollo, quindi, l’area che abbisogna di un intervento immediato è l’attacco, passato dai fuoichi artificiali alle sabbie mobili più totali. E dire che il reparto ha anche retto bene all’assenza di Calvin Johnson, che a causa di una caviglia in disordine ha saltato quattro match ed è stato sostanzialmente ignorato dal piano di gioco in altri due, arrivando ad accumulare solo due partite oltre le 100 yards e sole 3 mete, medie ben più basse di quelle registrate in carriera da un giocatore che definire straordinario è ancora poco.

goldentatelions

Golden Tate sta giocando alla grande.

Beffardo il fatto che questi problemi fisici siano arrivati a tormentare Megatron proprio nel campionato in cui il management aveva trovato finalmente un ricevitore secondario degno di tale nome, lasciando un sacco di potenzialità ancora là, inespresse. Golden Tate ha giustificato appieno il suo contrattone in uscita da Seattle arrivando a sfondare la barriera delle 1.000 yards in sole 11 partite, quando c’è stato da produrre un guadagno sostanzioso dopo la ricezione, Stafford si è rivolto esclusivamente a lui, capace com’è di mandare a spasso i difensori. Resta il fatto che da due partite l’attacco non riesce ad andare in meta, dato non a caso coinciso con due sconfitte consecutive, ed in secondo luogo i  Lions non sono riusciti a risolvere una delle maggiori lacune che da anni affligge il reparto, ovvero possedere un backfield in grado di aiutare il quarterback.

Detroit è ancora una volta negli ultimi posti in classifica in termini di resa del gioco di corse, complice anche l’ennesima serie di infortuni occorsa a Reggie Bush in carriera, le prestazioni a terra sono brillanti solo saltuariamente, troppo poco per un attacco che avrebbe bisogno in alcune situazioni di macinare yards per essere meno prevedibile, e per gestire l’enorme pressione cui Stafford medesimo viene sottoposto da coordinatori difensivi che conoscono a menadito la sproporzione tra lanci e corse di cui questa franchigia soffre da tempo.

Ma non c’è nemmeno troppo tempo per pensare, questa settimana Detroit tornerà in campo giovedì per ospitare, come tradizione richiede, la prima delle tre partite nel Giorno del Ringraziamento, iniziando una mini-serie che la vedrà scontrarsi con Chicago, Tampa Bay e Minnesota, tre squadre dal bilancio negativo di cui due sono avversarie divisionali fondamentali da battere per tenere i Packers a vista. Anche se il prossimo 28 dicembre a Green Bay farà un freddo terrificante, la sfida che chiuderà la regular season dei ragazzi di Caldwell sarà quantomeno infuocata se dovesse rimanere una sola la partita di distacco tra le due contendenti, con i Lions a poter vantare proprio quella famosa vittoria della terza settimana di campionato quale elemento per rompere eventuali parità di bilancio, con in palio la possibilità di giocare la Wild Card in casa, se non addirittura l’unico posto disponibile per i playoffs nella NFC North.

Memori di quanto accadde l’anno scorso, i Lions dovranno però affrontare con grande impegno ogni singolo match, dimenticando le due battute d’arresto più recenti e cercando una soluzione urgente alle loro secche offensive, sperando che la linea riesca a recuperare almeno il tackle sinistro Riley Reiff in una linea già orfana di Larry Warford (fuori altre due o tre settimane), uno dei motivi per cui a Stafford, già penalizzato dai tanti drops dei suoi ricevitori (Johnson compreso, ma il caso più lampante è il rookie Eric Ebron, molto indietro nel suo inserimento tecnico al professionsimo), non viene offerta una protezione ottimale.

Nel giorno in cui l’America si riempie la pancia di tacchino davanti al televisore guardando il football, Caldwell dovrà dare la prima grande risposta positiva della sua gestione. Sprecare una difesa così efficiente senza riuscire a far girare a mille un attacco di grandi potenzialità, sarebbe davvero un peccato, perchè l’impressione è che i Lions siano pronti per essere una squadra di valore.

 

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