Il tempo, si sa, è galantuomo. E l’uomo in questione non è un rancoroso. Inoltre, tutto avrà da pensare in quei momenti tranne che al fatto di prendersi una rivincita per una storia vecchia di vent’anni.

carrollweb25s-1-webMa, certamente, in questi giorni che ci separano dal XLVIII Super Bowl, l’head coach di Seattle, Pete Carroll, ha pensato a quello che poteva essere e non è stato. Qualche giornalista lo ha chiesto e lui ha ricordato, pur rimanendo evasivo nelle risposte. Domenica Carroll rimetterà piede in New Jersey dove, alla guida dei Jets, cominciò la sua carriera come head coach. Era il 1994 e Carroll chiuse la stagione con un record di 6-10. L’esperienza durò soltanto un anno: una settimana dopo la fine della regular season e Carroll era già stato licenziato. Erano gli anni ’90 ed i Jets si trovavano nel mezzo del decennio più nero della loro storia. Già defensive coordinator dei Jets, giovane e brillante discepolo del coach dei Vikings, Bud Grant, Carroll venne promosso alla guida della Gang Green alla fine del 1993, in sostituzione del licenziato Bruce Coslet.

Carroll portò una ventata di aria nuova e di freschezza nella franchigia. Ma, soprattutto, la gioia di giocare a football, una cosa rara per giocatori professionisti super pagati per i quali ormai da tempo, forse già dal college, il football aveva smesso di essere un semplice gioco. Molte delle novità introdotte da Carroll avevano proprio questo scopo: ridare allegria ad un ambiente depresso. Lo stesso metodo utilizzato con successo vent’anni dopo a Seattle. Ed allora via con un campo da basket accanto a quello d’allenamento, per giocare con gli altri membri del coaching staff.  E dentro il portiere Tony Meola — qualcuno se lo ricorderà a guardia della porta degli USA ai Mondiali di Italia ’90 — come place-kicker. E, in alcuni giorni, i Jets terminavano gli allenamenti cercando di segnare dei calci di rigore a Meola…tutti i giocatori, compresi i corpulenti lineman. Chimica di squadra.

Ed all’inizio tutto funzionò bene: i Jets partirono 2-0, con una brillante vittoria 23-3 con i Buffalo Bills, quattro volte campioni AFC ed arrivarono al Thanksgiving sul 6-5. Prima dei Miami Dolphins. Prima che il proprietario Leon Hess vedesse i Jets andare in vantaggio 24-6 nello scontro decisivo per la NFC East per poi perdere. Prima che Dan Marino, quarterback Hall of Famer di Miami, tirasse fuori dal cilindro una giocata tanto geniale quanto anti-sportiva, a seconda dei punti di vista. Fingendo di voler giocare uno spike, Marino approfittò della distrazione dei Jets per lanciare invece un touchdown pass che decise la partita, la stagione del team di New York e l’avventura di Carroll. Dopo quella, seguirono infatti altre quattro sconfitte consecutive. Appena dopo la fine della stagione, quando si diffuse la notizia che i Phialdelphia Eagles avevano licenziato l’head coach Rich Kotite, un ex assistant con i Jets, Hess fece la chiamata che promosse l’ex assistente al ruolo di head coach e che decretò la fine dell’esperienza di Carroll con i Jets.

Per Carroll, un altro stop nella NFL, 27-21 e due presenze ai playoff in tre stagioni con New England, prima di inziare l’era di USC, fu un duro colpo. Eppure Carroll si è ripreso. Quando USC lo ingaggiò come head coach nel dicembre del 2000, molti irrisero il programma per questa decisione. Carroll era la quarta scelta dei Trojans. Da allora le cose sono cambiate: dal 2001, i teams di Carroll, al college e nella NFL, hanno postato un record di 121-45. Aggiungete i due national championships vinti a USC in nove stagioni. Eppure tutto è cominciato lì, con gli allora derelitti Jets. Il sistema di Carroll, basato sul divertimento, la competitività e lo sfruttare le qualità positive di ogni individuo, ha funzionato. Non soltanto al college, ma anche con i pros.

Chi lo avrebbe detto…

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