Tony Gonzalez è un uomo d’onore, ed ha mantenuto fede alla sua promessa. L’aveva preannunciato, il ritiro, giusto un anno fa al termine della cavalcata playoffs degli Atlanta Falcons, dopo la quale aveva già seriamente pensato di riporre casco e paraspalle nel garage di casa, solo per poi decidere di tornare per un’ultima stagione di football giocato. Ma aveva giurato che sarebbe stato il canto del cigno, non importava quali risultati fossero arrivati o quali altri record sarebbe riuscito a frantumare, avrebbe detto basta una volta per tutte facendo i conti con la dura realtà, prima o poi si deve smettere e concentrarsi su altre priorità di questa vita, pur consapevole che il suo fisico allenatissimo l’avrebbe sorretto per altre due o tre scampagnate, facendosi un baffo dei suoi trentasette anni, portati splendidamente.

Tony-GonzalezLa carriera di Tony Gonzalez è particolare, per quanto leggendaria ed inimitabile possa essere. Si è ritirato come miglior tight end della storia della Nfl, con numeri assurdi da copiare per chiunque, frutto di una serietà professionale di altissimo livello, umiltà e dedizione al lavoro in campo ed in palestra, senza il quale non avrebbe raggiunto l’eccellenza che lo ha contraddistinto. Diciassette anni di servizio ed una sola vittoria ai playoffs (giunta l’anno scorso), nessun Super Bowl raggiunto: i trofei accumulati non gli rendono per niente giustizia, e danno comunque vita ad un fastidioso contrasto, originato dal continuo porre la selezione naturale delle leggende eterne misurandole con il numero di Vince Lombardis alzati al cielo. E’ una regola non scritta, cui pochissimi eletti sfuggono.

E Gonzo merita un’eccezione alla regola.

Perché? Per un semplice motivo. La storia del ruolo di tight end, nella National Football League, l’ha riscritta lui, di suo pugno. Una posizione offensiva spesso dedicata all’utilizzo dell’uomo in più in fase di bloccaggio è stata trasformata da lui e da tutti i suoi futuri discepoli in una potente e letale arma in più per il quarterback, da elemento in grado di dare fisicità a pacchi e ricezioni saltuarie il tight end si è trasformato nel giocatore che blocca e che si libera per ricevere con uguale efficacia, un tipo di atleta costruito su stature elevate per creare il mis-match nelle ultime 20 yards, su piedi e gambe eccellenti per correre tracce precise facendo contemporaneamente scudo con il corpo, su mani di alta qualità in grado di afferrare i palloni più difficili. Se il ruolo è stato interpretato in questo modo negli ultimi quindici anni di storia del football, lo si deve esclusivamente a lui. Quello che oggi è un’abitudine consolidata, un’abitudine che Bill Belichick è riuscito a trasformare addirittura in doppia minaccia ai tempi di Gronkowski ed Hernandez, un tempo era un caso isolato. E per quanti giovani atleti in futuro verranno sfornati tentando di ripetere quanto fatto da Tony, l’impresa sarà veramente ardua per chiunque.

Gonzalez è stato il primo tight end della storia a raggiungere e superare le 15.000 yards su ricezione. Ha preso più di 1.300 palloni trasformandone più di 100 in sei punti per la propria squadra, e sono ben undici le stagioni consecutive (quattordici delle sue diciassette complessive) dov’è riuscito a raccogliere più di 70 ricezioni, un sogno ad occhi aperti per un wide receiver, figuriamoci per uno grande e grosso come il tight end. E’ stato inoltre il primo e finora unico di sempre del suo ruolo a far registrare quattro diversi campionati da più di 1.000 yards in singola stagione, solo uno dei tanti traguardi che gli hanno permesso di cambiare per sempre il modo di interpretare la sua posizione.

tonygonzalezAtleta Tony lo è sempre stato. Un grande atleta. Giocava a football (tight end e linebacker), basket e baseball per la Huntington Beach High School, abitudine che si trascinò anche all’università di California lasciando definitivamente perdere mazza e guantone, diventando titolare di ambedue i roster. Da settembre a dicembre era il tight end dei Golden Bears, per poi cambiare d’abito e trasformarsi in ala forte da quintetto all’interno dei palazzetti di pallacanestro di tutta la Pac-10. In prossimità del termine della sua eleggibilità collegiale scelse il football lasciando per strada un’ultimo possibile campionato di basket, e si dichiarò per il draft del 1997, nel quale venne scelto dai Kansas City Chiefs, i quali organizzarono una trade con gli allora Houston Oilers per salire dalla diciottesima alla

Tony scrisse numeri interessanti per una matricola, 368 yards su ricezione e 2 mete in 33 ricezioni e giocate importanti anche negli special teams, con i Chiefs lanciatissimi ma spesso perdenti nei playoffs. Era l’epoca dove ad allenare era Marty Schottenheimer e le potenzialità erano davvero alte, ma il Super Bowl spesso pronosticato per Kansas City non arrivò mai. L’anno da rookie di Gonzalez vide i Chiefs compilare un ottimo 13-3 per la seconda volta in tre anni, ma il risultato fu sempre il medesimo: uscita al Divisional e sogni di gloria da riporre nel cassetto, per la prossima volta. Divenne una costante per Kansas City, che vedeva crescere vertiginosamente quel tight end destinato a grandi cose, senza però trasformarsi in una contender. Dopo aver quasi raddoppiato le yards ricevute, Tony esplose al suo terzo anno nella lega collezionando 11 mete, per poi toccare quota 93 ricezioni e 1.203 yards (con 9 segnature) nella stagione 2000, nella quale si era già tranquillamente affermato tra i migliori interpreti del suo ruolo in tutto il panorama professionistico americano.tredicesima posizione assoluta pur di portarsi in casa un talento come lui, capace di ricevere per più di 1.200 yards con 7 mete negli ultimi due anni passati a Berkeley.

Tony+Gonzalez+San+Diego+Chargers+v+Kansas+SQTb3urr2swl

I Chiefs erano allora passati da Schottenheimer a Gunther Cunningham con risultati ancora al di sotto delle aspettative, e per la postseason successiva si dovette attendere la cura Vermeil, colui che aveva compiuto il miracolo del The Greatest Show On Turf ai Rams con Kurt Warner e Marshall Faulk quali attori primari dell’impresa, ma la maledizione del 13-3 si ripeté, costando a Kansas City un’altra eliminazione al Divisional durante la stagione 2003. L’anno successivo Gonzalez ritoccò due dei suoi primati personali andando ad accumulare 1.258 yards e soprattutto catturando 102 palloni, divenendo il primo tight end di sempre a far registrare ricezioni in tripla cifra in singolo campionato, scrivendo già all’epoca il suo nome nella storia. Ormai la leggenda era in pieno corso, il ruolo stava stava completando la sua metamorfosi. Gonzo aveva accumulato chiamate al Pro Bowl da perderne il conto ed era stato incluso nelle formazioni All-Pro compilate da qualsiasi addetto ai lavori. Tuttavia, il suo record ai playoffs risultava ancora privo di vittorie.

La serie di insuccessi nel mese di gennaio si allungò ulteriormente nel primo di tre anni con Herman Edwards al timone della squadra, e questa volta il percorso si interruppe alla Wild Card della stagione 2006, nella quale Indianapolis sopravvisse ad una giornataccia di Peyton Manning dominando nel gioco a terra, con Tony bloccato a quattro ricezioni per 25 yards ed un’inutile meta nel terzo periodo. Finì 23-8 per i Colts, e quella sarebbe stata l’ultima partita di postseason giocata da Gonzo con la maglia dei Chiefs. Senza più un quarterback di talento (aveva giocato in precedenza con Rich Gannon, Elvis Grbac e Trent Green) e con mezza squadra da ricostruire, Kansas City affondava precipitosamente, anno dopo anno, e la gestione Edwards portò a sole sei vittorie nelle stagioni 2007 e 2008, con un deprimente 2-14 nell’ultima delle due. In quel momento Tony Gonzalez era un campione affermato e la logica conseguenza, considerata la ricostruzione imminente della franchigia che undici anni prima aveva chiamato il suo nome al draft, fu la decisione di richiedere una trade che potesse permettergli di giocare per una contender al Super Bowl.

Il 23 aprile del 2009 arrivò lo scambio che portò Tony agli Atlanta Falcons in cambio di una seconda scelta del draft 2010, cominciando un’avventura che pareva predestinargli un successo sicuro in una situazione ideale, una franchigia come i Falcons gli proponeva di giocare con l’astro nascente Matt Ryan e di essere allenato da Mike Smith, head coach che in fretta e furia aveva trasformato in vincente una squadra caduta a picco dopo le disastrose vicende legate a Michael Vick: ma il destino aveva programmato altre cocenti delusioni in chiave playoffs, spostando l’ombra che già aleggiava nel Missouri qualche tempo prima in un luogo nuovo, facendo pesare quello che rapidamente divenne uno 0-5 personale in postseason (si aggiusero le disfatte dei Falcons contro Giants e Packers) alimentando una situazione antipatica per Gonzalez, che per la seconda volta si ritrovava ad essere tra le superstar di una compagine ottima in regular season ma facilmente arginabile nel momento-chiave dell’anno.

Tony GonzalezIl quarto 13-3 in carriera di Gonzo fu buono se non altro per ottenere la prima, agognata, vittoria post-stagionale. Dopo aver passato la prima settimana di gioco a riposo per via del bilancio ottenuto in regular season Atlanta entrò in campo contro i Seahawks della matricola Russell Wilson, dominando la partita per tre quarti nell’assordante frastuono di un Georgia Dome elettrico come non mai, prima di farsi rimontare e rischiare la terza consecutiva uscita prematura dalla competizione. Fortunatamente, il field goal messo a segno da Matt Bryant per il 30-28 finale con 13 secondi da giocare mise a posto ogni cosa, e regalò a Tony la gioia che da tempo cercava. Si sarebbe nuovamente interrotto tutto una settimana dopo contro i 49ers nella finale della Nfc, ma se non altro erano state gettate le basi per un’ultima grande stagione per chiudere in bellezza sedici anni da leggenda, stagione che Gonzalez decise di giocare nel marzo scorso, quando annunciò che non si sarebbe ritirato. Il finale amaro lo conosciamo tutti, con i Falcons a scrivere un epilogo disastroso (4-12) ed un’uscita di scena che avremmo voluto vedersi svolgere diversamente.

Non era destino che Tony Gonzalez vincesse il Super Bowl o che vi partecipasse, ma non per questo quanto fatto e dato da lui ogni benedetta domenica dovrà mai essere sminuito. Ha disputato partite straordinarie, riscritto il significato di tight end modificandolo irrimediabilmente e positivamente, giocato tutte le gare – eccetto due – dei suoi diciassette anni da professionista, con la conseguenza che la sua prossima destinazione Nfl sarà certamente a Canton, Ohio, dove tra cinque o più anni (prima non sarà eleggibile), potrà osservare il busto a lui dedicato inserirsi nella Hall Of Fame.

Ora lo aspetta una nuova carriera, quella di commentatore televisivo, ma non trovarlo in campo la domenica farà un effetto sicuramente strano, specialmente nei confronti di un giocatore che in sedici anni ha saltato in tutto due sole partite. Sarà strana la Nfl senza Tony Gonzalez, ma se non altro, per noi mortali, resta la più grande consolazione di tutte: essere stati testimoni di tutta la sua splendida carriera. La quale resterà scritta nella pietra, noncurante delle intemperie, assieme alla sua essenza di uomo umile, che ha saputo imparare dai veterani e che ora trasmette ai più giovani, un raro professionista sportivo capace di fungere da esempio in un mondo sempre più votato alla sfrontatezza arrogante ed alla pochezza umana più disarmante.

So long, Gonzo.

3 thoughts on “So long, Gonzo

  1. Bravo Davide,
    un ottimo articolo e soprattutto un grande tributo ad un grande giocatore (per noi dei Broncos un grande avversario visti i numerosi anni passati ai Chiefs). Anzi ad uno dei più’ grandi della lega.
    Permettimi solo una notazione critica.
    La dove dici che Gonzo ha reinventato il ruolo di TE, rendendolo un fattore decisivo per le giocate offensive e non un semplice “bloccatore in più”.
    Gonzo ha dato un grandissimo contributo condivido.
    Ma prima di lui quel ruolo era stato reinterpretato e reso decisivo da un altro grandissimo come Shannon Sharpe.
    Non a caso 2 anelli al dito nel mitico “back-to-back” dei Broncos di John Elway.
    Complice il tuo articolo mi sono riguardato le statiche del grande SS.
    14 stagioni (1990-2003), 815 ricezioni per 10.060 yards (12,3 yards di media) e 62 TD con soli 4 fumbles persi.
    Ecco diciamola così.
    Gonzo è stato un grandissimo e ha seguito al meglio le orme del “maestro” Shannon.
    E’ uno di quei casi i cui chi viene dopo supera i “maestri”.
    Buon Anno e Go Broncos!
    Mauro

    • Se proprio vogliamo essere storicamente precisi la reinvenzione del ruolo di TE da uomo da bloccaggi ad arma letale per le giocate offensive, proviene si dalla AFC West, proviene si da una grande squadra della defunta AFL, ma né da KC né tantomeno da Denver, bensì da San Diego. Eh già, a reinventare il ruolo di TE furono la mente, il grande Dan Coryell ideatore del famoso sistema offensivo Air Coryell, ed il braccio Kellen Winslow, uno che in 9 stagioni nella lega fece faville innescato da Dan Fouts, ricevendo 541 passaggi per 6.741 yard e 45 touchdown. Quel tanto che bastò lui per essere indotto nella Pro Football Hall of Fame, di essere inserito nella Formazione ideale del 75º anniversario della NFL, nella Formazione ideale della NFL degli anni 1980 e 4 volte nella annuali formazioni All-Pro, di prender parte a 5 Pro Bowl e di essere inserito al 67° posto nella lista dei Migliori 100 giocatori di tutti i tempi della NFL. E se non credete a me credete almeno a Bill Belichick, che di Winslow ha detto: “Tutti i tight end moderni orientati alla ricezione dei passaggi più che ai blocchi sono tutti suoi diretti discendenti”.

      Tony Gonzalez è senz’altro allo stato attuale della storia della NFL il più grande TE di tutti i tempi, ma chi ha rivoluzionato il ruolo giocava nella NFL negli indimenticabili eighties.

      A Cesare quel che è di Cesare.

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.