A poco meno di un mese dalla fatidica data del 26 aprile i GM delle varie franchigie stanno continuando a mischiare le carte, sperando di confondere le idee dei propri colleghi, mantenendo il riserbo su molte delle loro intenzioni, le quali verranno svelate soltanto al momento finale: quello della chiamata del giocatore in sede di draft.

Come ogni anno, le previsioni si complicano man mano che ci si avvicina al momento clou, con poche franchigie sicure della propria chiamata, un po’ perché sempre pronte a identificare una pedina migliore da aggiungere al proprio scacchiere, un po’ perché vi è sempre la possibilità che il giocatore su cui si puntava forte possa venir sfilato da sotto il naso da un team che è titolare di una chiamata più alta.

Per quanto riguarda il settore di cui ci occuperemo, quello dei defensive back, non poche analogie collegano il draft del 2012 con quello passato, con un atleta proiettato intorno alla top 5 (se non poco più in basso), Morris Claiborne – proveniente da LSU, proprio come Patrick Peterson l’anno passato – e una manciata di altri ottimi cornerback che si attesteranno intorno alla metà del primo giro o all’inizio del secondo, nelle peggiori delle situazioni.

Molto simile a 12 mesi fa è anche ciò che ci propone il movimento delle safety in uscita dal mondo collegiale: Mark Barron di Alabama ha raccolto molti consensi e difficilmente scenderà oltre la metà del primo giro, ma la crisi del settore continua, con la sola eccezione del Fighting Irish Harrison Smith, che tra il secondo e il terzo giro dovrebbe ricevere il cappellino della sua nuova squadra per le consuete foto di rito.

MORRIS CLAIBORNE, LOUISIANA STATE TIGERS, JUNIOR

Continua il trend positivo a Baton Rouge, per quanto riguarda i cornerback sfornati da una delle powerhouse della dominante SEC. Coach Les Miles ha costruito la sua stagione (quasi) perfetta sulle spalle del suo settore difensivo, di cui Morris – “Mo” per gli amici – Claiborne ha sempre rappresentato il prospetto più interessante per gli scout NFL. Il numero 17 non può comunque definirsi “spinto” o troppo pubblicizzato perché ha sempre trovato compagni di reparto che hanno maggiormente stuzzicato gli appetiti del grande pubblico: lo scorso anno il freak Patrick Peterson, quest’anno il candidato Heisman Tyrann “Honey Badger” Mathieu. Rispetto a quest’ultimo Claiborne ha sempre pagato in termini di notorietà, ma gli addetti ai lavori hanno costantemente preferito l’ultimo vincitore del Jim Thorpe Award in termini di futuribilità al piano di sopra. Infatti, Claiborne non sarà un giocatore estremamente spettacolare (nonostante i 6 intercetti del 2011, che fanno 11 con quelli sommati nella sua stagione da sophomore), ma assai completo e atletico: quest’anno non mi ricordo di averlo mai visto in difficoltà negli scontri diretti all’interno della conference più difficile del Paese, sebbene è giusto rimarcare la confusione generale che ha coinvolto l’intero settore difensivo nel nefasto atto conclusivo per il titolo nazionale giocato contro gli acerrimi rivali di Alabama. Sebbene Peterson possedesse una maggiore esuberanza fisica, i due si ricordano per come riescono ad annullare l’avversario diretto, per cui l’aspettativa dei GM interessati alla pesca del nativo della Louisiana è che il numero 17 ricopra immediatamente lo spot di cornerback numero 1 in qualunque franchigia egli finisca. L’esperienza sotto un coaching staff esperto e professionale come quello di LSU gli ha permesso di assimilare perfettamente anche la difesa a zona, per cui non prevedo particolari difficoltà di inserimento del ragazzo all’interno di qualsiasi playbook pro. E’ un più che discreto placcatore, non ha paura di fronteggiare i runningback avversari (è 1.80 x 85 kg), mentre dovrebbe migliorare nei blitz sui QB avversari, sebbene la velocità pura sia un po’ il suo tallone d’achille. E’ un ex ricevitore (convertito appena sbarcato a Baton Rouge), per cui ha un fantastico controllo di palla che lo aiuterà a mantenere il numero dei turnover prodotti anche ai piani più alti e per di più potrebbe essere impegnato come ritornatore, dote evidenziata già al college, ma poco utilizzata per via dell’abbondanza del talento nel settore. E’ di gran lunga il miglior prospetto nel ruolo e abbiamo visto, anche nel recente passato, che gli head coach non disdegnano di costruire le fondamenta dei loro team su un cornerback di grande valore: i Browns con la numero 4 costituirebbero una coppia dal futuro radioso se abbinassero Claiborne con il già presente Joe Haden; altrimenti alla numero 5 i Buccaneers avrebbero la possibilità di pensionare Ronde Barber con un ottimo successore, mentre se Claiborne sopravvivesse fino alla chiamata numero 6, in questo caso i Rams potrebbero decidere di chiamare il miglior giocatore a disposizione, oppure accettare una trade-down e andare a coprire altre falle all’interno del roster.

 

MARK BARRON, ALABAMA CRIMSON TIDE, SENIOR

Continua lo scarso appeal delle safety in generale, ma non nel caso particolare, dove uno dei leader della sontuosa difesa dell’ondata cremisi 2011 ha buone possibilità di riscuotere l’interesse delle franchigie che scelgono intorno alla metà del primo giro. In verità i sospettati hanno nomi ben precisi: i Dallas Cowboys soprattutto, che ormai si sono convinti di spendere una chiamata da primo giro su una safety solida dopo aver girato diversi figuranti mai veramente convincenti e i New York Jets, che con Barron renderebbero ancora più arcigna la già spigolosa difesa diretta da Rex Ryan. Perché si dovrebbe puntare così forte su Barron? Soprattutto per un mix di intimidazione ed esperienza nella posizione che oggigiorno è assai raro, poiché in molti casi vengono addirittura preferiti cornerback adattati nella posizione di safety. L’ex numero 4 dei Crimson Tide è invece una safety pura: ottima leadership nella secondaria, indefesso placcatore sulla linea di scrimmage, nonché temibile intimidatore quando la ricezione viene portata a termine nello spicchio di campo da lui difeso. Ha discrete doti di ball-hawking, sebbene non sia il suo forte, ma i 7 intercetti nell’annata da sophomore testimoniano di un istinto nel creare il turnover magari sopito, ma comunque esistente. E’ sicuramente un vincente: nei 4 anni spesi a Tuscaloosa ha vinto 2 titoli nazionali da protagonista. La sua caratteristica più pronunciata – il placcaggio sulle corse – è anche il suo più grande difetto: il suo pronunciato temperamento alcune volte lo porta ad anticipare la giocata, ma ciò può mandare in sofferenza i propri compagni di reparto qualora l’attacco avversario riconosca il blitz prontamente. E’ definito un giocatore “in the box” poiché esprime il meglio di sé quando può accorciare il campo aggiungendosi ai linebacker interni e portare a termine uno dei suoi innumerevoli tackle (68 nel 2011), molti dei quali mandati a segno prima che l’avversario possa avere via libera per il campo aperto. Non è velocissimo nei grandi spazi, difetto non troppo penalizzante per il ruolo ricoperto, nonostante questo possa comportare ritardi nelle chiusure quando è chiamato a raddoppiare sul profondo.

 

JANORIS JENKINS, NORTH ALABAMA LIONS, SENIOR

Jenkins è un nome ricorrente negli ambienti NFL degli ultimi due anni, nel bene e nel male. Bene, perché Jenkins è il prototipo del cornerback moderno: ha velocità, aggressività e tecnica tali che già alla fine dell’anno da junior lo si poneva nel lotto dei migliori nel proprio ruolo. Male, anzi malissimo, perché Jenoris nostro ha cercato in tutti i modi di auto-sabotare il suo ultimo anno di college con due violazioni della condotta riguardante il possesso di sostanze stupefacenti nei primi tre mesi del 2011, in maniera tale che il nuovo head coach di Florida, Will Muschamp, non ha potuto fare altro che mostrargli la porta d’uscita. Sbattuto fuori senza tanti complimenti dalla sua alma mater, si pensava che Jenkins esplorasse i supplemental draft NFL così come aveva fatto intendere un altro nome altisonante, Terrelle Pryor, invece l’ex Gator ha preferito accasarsi per il suo ultimo anno di eleggibilità nella seconda divisione del college football, indossando la divisa viola dei North Alabama Lions, e riprovare la fortuna l’anno successivo, quando anche gli echi delle sue bravate fossero stati messi a tacere. Verosimilmente, Jenkins pagherà ancora lo scotto della sua cattiva reputazione e, messo a confronto con Kirkpatrick al momento del draft, alcuni potrebbero preferirgli il meno turbolento ex Crimson Tide. Come detto, il numero 1 ha tutte le caratteristiche fisiche e tecniche per diventare un cornerback di riferimento anche al piano di sopra: infatti si è sempre rivelato un giocatore più che affidabile contro tutti i grandi ricevitori che hanno affollato la SEC negli ultimi anni (ha messo la museruola a Julio Jones e A.J. Green, tanto per intenderci…). Pochi i suoi difetti (all’interno del campo di gioco): non è altissimo (1,78 cm), mancanza a cui sopperisce con un atletismo fuori dal comune che gli permette di non soccombere neanche contro gli avversari più fisicati, e non è un tackler naturale, pecca che nascondeva al college con la sua esuberanza fisica, ma su cui avrà bisogno di lavorare a partire dai prossimi training camp. Molto complicata la previsione su dove potrebbe finire: vi sono diversi team che sono interessati a rimpolpare il settore dei cornerback e almeno tre atleti che sono reputati sullo stesso livello. Se dovessi scommettere un euro punterei sulla seconda scelta al primo giro dei Cincinnati Bengals: il team dell’Ohio ha bisogno di trovare un secondo violino da far partire titolare opposto a Leon Hall, dopo la partenza in free agency di Jonhathan Joseph un anno fa, e inoltre Marvin Lewis non ha mai avuto paura di scommettere su caratteri “difficili” (ad esempio Pacman Jones). Ultima curiosità: Jenkins si è specializzato al college sulle Scienze Sociali e Comportamentali…speriamo gli sia da aiuto come autoterapia!

 

DRE KIRKPATRICK, ALABAMA CRIMSON TIDE, JUNIOR

Kirkpatrick si è costruito una reputazione solida da first rounder nella seconda parte della stagione 2011, dopo che, come un diesel, aveva avuto difficoltà nei primi mesi di stagione. E’ l’ennesimo prodotto della miglior difesa dell’anno e ne incarna i principi: è un cornerback particolarmente appetibile perché ad una più che discreta velocità di fondo abbina un’aggressività e una presenza fisica difficilmente riscontrabile negli altri candidati ad essere scelti al primo turno. E’ alto abbastanza (1,85 kg) per contendere gli ovali ai ricevitori più alti, mentre la sua fisicità (84 kg) innervosisce anche gli avversari più scafati. E’ un placcatore molto determinato, cliente difficile anche per i runningback di stazza più grossa. Nonostante Kirkpatrick preferisca difendere sull’uomo, dove può far valere tutto il suo vantaggio atletico, non è uno sprovveduto neanche quando viene chiamato a difendere la propria posizione a zona, anzi: più volte lo si è visto azzardare un blitz o un tackle solamente se nella sua zona di competenza veniva sostituito da qualche altro compagno. Nel 2011 è maturato ed è diventato un vero e proprio shut down cornerback – uno di quelli che annulla l’avversario diretto -, ma qualche GM del piano di sopra potrebbe esitare a scommettere sulla sua capacità di diventare un vero e proprio cornerback numero 1, con una produzione di turnover così bassa (solo 3 in 3 anni da titolare). Come per Barron e altri Crimson Tide, lo aiuterà il fatto di aver giocato in un sistema evoluto come quello di Nick Saban, che ha molti estimatori nella NFL nonostante le fallimentari esperienze professionistiche precedenti dell’ex coach dei Miami Dolphins. I Cowboys potrebbero virare il proprio interesse dall’ex compagno Barron proprio in direzione di Kirkpatrick, spendendo la chiamata numero 14 per un cornerback e completare così il reparto dopo la recente acquisizione di Brendan Carr dai Chiefs. Ma altre pretendenti si potrebbero individuare dalla scelta 19 alla 21: in quel trittico chiunque potrebbe chiamare il nativo dell’Alabama. Se per qualunque ragione dovesse sopravvivere fino alle scelte dei Patriots, questi hanno sempre dimostrato di preferire spendere un pick per il miglior giocatore disponibile sulla piazza piuttosto che per quello più utile a riempire falle nel roster.

 

STEPHON GILMORE, SOUTH CAROLINA GAMECOCKS, JUNIOR

Siamo sicuri che le penne di molti scout, nell’atto di vergare i fogli su cui annotare i pregi ed i difetti dell’ex Gamecock, abbiano trovato un ideale punto di convergenza: l’altissimo quoziente intellettivo che Stephon è solito portare sul campo di football. Il numero 5 si muove con inusitata esperienza e leadership fin dalla prima stagione alla corte di coach Steve Spurrier, con il quale ha contribuito alla rinascita ad alto livello del programma dell’università statale del Palmetto State. Innanzitutto, Gilmore dispone di una grande naturalezza sia quando è chiamato sull’uomo, sia quando è chiamato a coprire la propria zona di competenza. Il suo intuito lo porta spesso a “leggere” gli occhi del quarterback avversario, caratteristica che gli ha permesso di aumentare ogni anno il numero degli intercetti effettuati (4 nel 2001, 8 in totale). Spesso capisce l’azione in anticipo e si trova a dar man forte nella zona delle operazioni: qualità molto apprezzata in sede di scrutinio, perché impossibile da insegnare. Nelle combine ha staccato un inaspettato 4.40 sulle 40 yards di corsa, ma rimangono punti di domanda sulla sua capacità di restare passo a passo con l’avversario nei lanci sul profondo. Ha una solida struttura fisica (1,83 cm x 86 kg), per cui è necessario che migliori la sua tecnica nei placcaggi per rendersi letale quando deve far pagare il contatto all’avversario. Da controllare la sua capacità di pronto inserimento in una formazione professionistica, in quanto a USC era solito condividere la secondaria con altri 4 compagni, struttura che lo bloccava per lo più nella zona assegnatagli ad inizio azione. Al suo arsenale aggiunge la capacità di riportare la palla (come punt returner) e sporadicamente è stato impiegato come QB nella wildcat formation. Gilmore è una vera mina vagante nel draft: sebbene tutti concordino nel porlo dietro Jenkins e Kirkpatrick a livello di talento puro, cionondimeno filtrano indiscrezioni che vorrebbero sempre più scout interessati a spendere a cuor leggero una scelta da metà primo giro in avanti su un giocatore più malleabile nel recepire ciò che un defensive coordinator richiede nei diversi giochi, talvolta molto più complicati di quelli applicati nell’esperienza collegiale. E’ per questo che non dovrete sorprendervi se, a seguito di positive prestazioni nei prossimi provini pre-draft, le quotazioni di Gilmore saliranno fino a incoronarlo quale secondo cornerback selezionato; allo stesso modo, se si preferirà premiare il talento e la pubblicità che circonda altri prospetti, l’ex Gamecock potrebbe crollare fino all’inizio del secondo giro.

 

SHORTY’S ALERT: Alonzo Dennard sarà il vero sconfitto di questo draft: ad inizio stagione doveva essere il sostituto a Nebraska del Principe Amukamara (molto meglio quest’ultimo imho), oggi rischia un secondo-terzo giro: sarà un grande steal di qualche GM che vede lungo o un bust come molti si aspettano? Occhio a Brandon Boykin di Georgia: giocatore dall’atletismo spaziale, è un rapace incredibile ed è pericolosissimo sui ritorni. Infine, spazio agli sleeper: Jayron Hosley di Virginia Tech perderà molte posizioni perché in pochi scommetteranno sulla sua taglia ridotta, ma non venite a piangere se poi risolverà una partita decisiva à la Sam Shields nello scorso Championship della NFC contro la vostra franchigia preferita. Chase Minniefield e Casey Hayward: ottimi fondamentali, male nelle combine, spero che qualcuno offra loro almeno una possibilità di emergere al piano superiore.

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