Mike Heimerdinger non era certo il più noto dei nomi che circolano intorno agli ambienti Nfl, ma lo era di certo per chi vive a stretto contatto con quella realtà tutti i giorni, soprattutto per chi, come lui ha fatto per gran parte della sua vita, conosce gli assurdi ritmi lavorativi di un assistente, di un coordinatore, di un capo allenatore.

Ma pur non essendo un head coach della National Football League, Dinger, come tanti suoi colleghi e pari ruolo, aveva saputo incidere in maniera fondamentale e positiva in tutti gli attacchi che aveva allenato, pur vedendo molto del suo lavoro restare in secondo piano, come sempre accade quando il tuo ruolo non è quello del capo allenatore.

Il suo nome era cominciato a circolare e rendersi noto ai più per il motivo più indesiderato possibile. Nel novembre del 2010, poco prima del Giorno del Ringraziamento, aveva difatti informato i Tennessee Titans, i suoi datori di lavoro in quel momento, che gli era stata diagnosticata una rara forma di cancro che si sarebbe impossessata del suo possente corpo con una velocità fulminea, inarrestabile, senza tuttavia impedirgli di portare a termine il suo compito fino alla fine del campionato scorso.

Per questo, ci si ricorda inevitabilmente di lui per quei commoventi stralci di filmato forniti alla Nfl Films, nei quali si vedeva Jeff Fisher consegnargli la palla della partita dopo una vittoria contro i Texans nel classico discorso post-gara, immagini nelle quali erano chiari imbarazzo ed emozione, non certo i primi due sentimenti che si notavano dalla sua esteriorità, spesso impenetrabile e dura, conseguenza di un carattere atto ad imporre rigore, regole e disciplina.

Mike era tornato a lavorare, come nulla fosse accaduto, per sua stessa ammissione non era il tipo di persona che amasse trovare delle scuse per dei risultati non ottenuti, e tantomeno si sarebbe lasciato andare dinanzi alla mancanza di speranza che una notizia come questa può portare.

“Tante persone mi immaginavano a letto, fermo lì ad aspettare di morire. Ma io sono fatto così, ho deciso che avrei condotto la mia vita di tutti i giorni, magari modificando la mia dieta, lavorando un paio d’ore in meno, ma senza smettere di vivere la routine che vivo ogni giorno.”

Dove avesse trovato le energie, nessuno lo sa, visto che la malattia ad un certo punto gli aveva provocato insopportabili dolori alla schiena, tanto da impedirgli di dormire in quelle poche ore dedicate al sonno da un coach professionista. Per questo motivo, aveva svolto le sue funzioni di offensive coordinator dai piani alti anzichè sulla sideline, decisione presa dalla franchigia per non farlo affaticare troppo.

Heimerdinger aveva studiato e giocato ad Eastern Illinois, dove aveva condiviso stanza e ruolo, quello di wide receiver, con un certo Mike Shanahan. Un giorno, Shanahan tornò presso il suo alloggio dopo l’allenamento, tutto malconcio, tossendo insistentemente, dalla sua bocca usciva del sangue. Heimerdinger corse immediatamente a chiamare l’ambulanza per far trasportare l’amico in ospedale, dove scoprirono che un colpo ricevuto durante lo scrimmage aveva spezzato in due uno dei polmoni dell’attuale head coach dei Redskins. Non fosse stato per lui, oggi Shanahan non sarebbe qui con noi.

Presa la laurea in storia ad Eastern Illinois ed ottenuto pure un master in amministrazione a Northern Illinois, Heimerdinger cominciò a coltivare la sua passione per il gioco e per l’insegnamento, trascorrendo 10 anni a rivestire vari ruoli d’assistenza presso college come Florida, Air Force, North Texas State, Califrnia State Fullerton, Rice e Duke, fino a che non ottenne ciò che aveva sempre desiderato: una chiamata dalla National Football League.

Era il 1995 quando rivestì il suo primo incarico tra i professionisti, diventò wide receivers coach per i Denver Broncos, che all’epoca erano allenati proprio dal suo amico Mike Shanahan. Il suo ruolo fu di fondamentale importanza, in quanto contribuì indiscutibilmente a rendere Rod Smith e Ed McCaffrey due ricevitori produttivi oltre ogni plausibile aspettativa, in un periodo che vide il suo apice con la vittoria del Super Bowl in due anni consecutivi. Smith un giorno disse: “Quando arrivai nella lega non sapevo correre correttamente le tracce, ma Mike mi insegnò come leggere le difese.” Grazie anche agli insegnamenti di Heimerdinger, Rod Smith, mai scelto al draft, diventò un ricevitore da oltre 10.000 yards in carriera.

Nel 2000 Mike si trasferì a Nashville, dove cominciò a lavorare con i Titans da offensive coordinator, aiutando il compianto Steve McNair a diventare co-Mvp della lega nel 2003 per poi ricoprire, quattro anni più tardi, il medesimo ruolo ai New York Jets, all’epoca allenati da Herman Edwards. In quella disgraziata stagione i Jets persero quattro quarterbacks per infortunio, ma a detta di Edwards Heimerdinger non si arrese mai e continuò ad iniettare fiducia a chiunque gli stava attorno, promettendo che l’attacco avrebbe ugualmente trovato il modo di muovere il pallone.

Poi ancora due anni a Denver, fino al 2007, nei quali da assistente al capo allenatore si prese il compito di inserire Jay Cutler nei delicati meccanismi del professionismo, e quindi il ritorno nel Tennessee, dove lavorò ancora con Jeff Fisher, dirigendo un attacco con Kerry Collins titolare in una stagione terminata a quota 13-3, nella quale i Titans sarebbero stati sconfitti nel Divisional Playoff da Baltimore. Nel 2009, diresse un reparto offensivo nel quale Chris Johnson fece furore, rompendo il record Nfl ogni epoca per yards dallo scrimmage con 2.509.

Il 2010 doveva essere una grande annata per i Titans, ma le cose girarono male da subito. La squadra era attesa ad una grande partenza dopo aver terminato l’anno precedente con 8 vittorie nelle ultime 10 partite, con Johnson e Vince Young pronti a portare ulteriori successi in città, ma tutto ciò che ne derivò fu un 6-10, mediocre risultato che conseguì nel licenziamento di Fisher. Heimerdinger, nonostante la malattia, faceva parte dei quattro candidati intervistati per avere quel posto, ma al momento di decidere gli fu preferito Mike Munchak, che svolgeva il compito di allenatore della linea offensiva da 14 stagioni. Il giorno dopo Munchak licenziò Heimerdinger, seguendo un progetto di pulizia che avrebbe dovuto tagliare i legami con il passato ed iniziare un nuovo ciclo vicente.

Mike Heimerdinger è venuto a mancare venerdì 30 settembre, sconfitto da quel male incurabile del quale non riusciva nemmeno a pronunciare il nome scientifico, a sua detta impronunciabile perchè troppo complicato da dire. Non è mai riuscito ad avere un posto da capo allenatore nonostante un curriculum impeccabile, che ha prodotto fior di campioni ed ottenuto risultati di altissimo livello, ma ha sempre continuato imperterrito per la sua strada, senza mai lamentarsi di non essere considerato, continuando ad essere uomo di estrema fiducia per chiamare i giochi offensivi di una squadra Nfl.

Ha combattuto con grande coraggio fino alla fine senza mai lamentarsi un una sola circostanza del suo male, proseguendo nel massacrarsi di lavoro, nello studiare la strategia corretta per la partita successiva, perchè “ogni cosa che si comincia la si porta a termine, a me hanno insegnato così”.

Lui, il campionato 2010 che avrebbe rappresentato il suo ultimo lavoro, l’ha portato a termine anche se con un record perdente, perchè anche in quella situazione è vietato mollare, è necessario terminare combattendo per l’orgoglio. E lui, di orgoglio, ne aveva da vendere a tutti.

Mike Heimerdinger ha lasciato la moglie Kathie, la figlia Alicia, ed il figlio Brian, che sta facendo un internato presso il dipartimento di scouting degli Houston Texans. Fino a venerdì scorso stava eseguendo dei trattamenti sperimentali contro il cancro in Messico, seguiti ad un lungo ciclo di chemioterapia, che aveva cominciato nei giorni immediatamente successivi alla diagnosi.

Non sarà nè un viso nè un nome immediatamente riconducibile alla National Footbal League, ma il contributo che ad essa ha elargito non può essere dimenticato.

Ciao Dinger.

“I know the man upstairs needed a superstar so he took him earlier than we all wanted” – Mike Shanahan

One thought on “Arrivederci, Dinger

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