Una scena vista spesso nei playoffs, Manning che riflette a testa bassa sulla sconfitta.

Qualche segno di scricchiolìo si era avvertito, ma le preoccupazioni non si erano più di tanto sollevate, visto l’epilogo della regular season. Era difatti stata una stagione strana quella degli Indianapolis Colts, che, ad una prima occhiata superficiale al loro record avevano fatto intravedere dei piccoli segni di cedimento attraverso un 10-6 che andava a pareggiare il peggior record dal 2002 ad oggi (era il primo anno di Tony Dungy – ndr), ottenuto solo per complicità di un grande rush finale.

L’inizio non era stato dei migliori ed aveva posto la squadra in posizione di difficoltà rispetto alle concorrenti divisionali, Manning ha vissuto dei momenti bui effettuando errori che non gli si vedevano commettere dall’annata da rookie accumulando striscie di gare con molteplicità di intercetti, ma alla fine le cose si erano rimesse a posto da sé, ed i Colts menomati dagli infortuni erano comunque riusciti a risalire la classifica della Afc South e scalzare Jacksonville grazie all’ultimo scontro diretto, posizione poi definitivamente saldata con la disputa dell’ultimo turno di regular season.

10-6, dunque, l’ennesimo titolo divisionale consecutivo, ed un seed numero 3 con possibilitĂ  di giocare almeno la Wild Card in casa, con il favore del pubblico e di un ambiente elettrizzante, tutto dipinto di blu e bianco, rumoroso quanto basta per mandare in confusione la comunicazione tra i giocatori avversari. Insomma, tutte le energie positive parevano essersi nuovamente colorate di Stampede Blue.
Quel qualcosa di sospetto, tuttavia, è stato accentuato dalla prestazione offerta al Lucas Oil Field dai New York Jets, che hanno tenuto Manning ad una meta ed annullato Reggie Wayne, togliendo dalla mente di chi conosce i Colts quella sensazione di macchina offensiva perfetta in grado di calpestare opponenti a volontà.

A nulla sono servite le statistiche, che di tanto in tanto sono anche fatte per essere rovesciate, numeri che portavano in dote a Manning 5 vittorie nei 6 scontri di carriera con Rex Ryan, che un anno fa si era fermato ad un passo dal Super Bowl ammettendo che il numero 18 in blu, se gli lasci troppa libertà, ti ammazza. I Jets erano rimasti in partita in quel Championship, anche dopo una stagione vissuta all’insegna degli errori di un Mark Sanchez ancora rookie, un giocatore che domenica si è invece rivelato determinante nell’effettuare i corretti aggiustamenti tra un tempo e l’altro, passando dalle notevoli difficoltà dei primi trenta minuti ai lanci decisivi della seconda metà dello scontro.

Indianapolis è sempre la stesa squadra vincente, ma qualche ingranaggio si è evidentemente inceppato nel momento sbagliato. La squadra è conosciuta per nascondere al meglio i propri limiti, mettendo in secondo piano le rispettive debolezze dei vari reparti grazie alla straordinaria capacità offensiva in dote a Manning ed alle sue numerose armi, appartenenti ad un attacco che anche quando menomato ha tirato fuori il meglio da giocatori perfettamente sconosciuti garantendo un minimo di costanza a livello di efficacia nelle prestazioni.

Se da un lato è nota e comprovata l’efficacia del management dei Colts quando si tratta di pescare qualche undrafted free agent dal mazzo per poi farlo rendere inaspettatamente bene, dall’altro i difetti di questa squadra si sono dimostrati più insormontabili che in passato, portando alla conseguenza di non riuscire a ripetere l’approdo al Super Bowl della stagione scorsa.

Tangibili sono stati i contributi di giocatori del calibro di Jacob Tamme, che ha prodotto un eccellente contributo per sostituire Dallas Clark grazie a delle capacità atletiche integratesi alla perfezioni con il sistema offensivo, ma potremmo citare molti altri personaggi del livello di Dan Muir, defensive tackle autore di qualche giocata interessante, piuttosto che del linebacker Pat Angerer, terzo round da Iowa che dal momento dell’inserimento nello starting lineup ha placcato ogni oggetto identificato che si muovesse dalle sue parti.

Il rovescio della medaglia è stato sottolineato dal persistere in alcuni errori conosciuti dallo staff, ma comunque ripetuti.

Contro i Jets sono risultati evidenti due aspetti, ovvero la netta superiorità della linea offensiva di New York nella valutazione complessiva dello scontro in trincea, e la mancanza, dalla parte opposta, di un fronte capace di muovere indietro gli avversari, con la conseguenza di non avere un gioco di corse in grado di togliere l’eccessiva pressione di cui Manning è stato caricato, come stanno a dimostrare i 450 passaggi completati in stagione, un record Nfl in singolo campionato.

Il rushing game è deficitario, tra i peggiori della lega negli ultimi anni, ed incapace di ricavare soluzioni per la risoluzione del problema dell’allungamento dei possessi quando i lanci vanno in fase di stallo. L’infortunio di Joseph Addai può solo fungere da scusante, in quanto prima dei suoi problemi fisici solo una era stata la partita che lo aveva portato sopra le 100 yards (Washington), e la corsa più lunga effettuata in stagione (escludendo sempre la gara contro i Redskins – ndr) era stata di 17 yards. Il concetto di dual running back che aveva portato Indy a vincere il Super Bowl contro Chicago non è proseguito come sperato in seguito, e Donald Brown non si è rivelato il rusher esplosivo che si pensava fosse. Senza l’elemento dinamico del duo, non è possibile, nella Nfl di oggi, accumulare risultati di rilievo. L’aggiunta di Dominic Rhodes, giocatore che conosceva benissimo il sistema ed è stato appositamente ripescato dalla Ufl per ricreare l’aura magica del passato, è servito solo in parte contro i Jets, ed ha sbrogliato solo un paio di situazioni dove i Colts necessitavano di yards, senza avere particolari effetti sulla partita.

A conti fatti Indianapolis ha segnato i propri punti solamente sfruttando il mismatch che ha fatto passare incubi in copertura ad Antonio Cromartie, portandosi in vantaggio con gli unici punti segnati dalle squadre nel primo tempo grazie ad una ricezione a lunga gittata da parte di Pierre Garcon, gettonato da Manning a suon di passaggi vista l’impossibilità di poter usufruire di Reggie Wayne, frustrato dalla marcatura individuale di un grande Darrelle Revis che lo ha limitato ad una sola ricezione per una misera yarda in tutta la gara.

Parte del problema, è rappresentato dal fatto che i punti siglati nel secondo tempo sono stati solamente tre field goals di Vinatieri, in conseguenza al blocco sistematico dei drive una volta giunti verso le 30 yards in territorio nemico

La difesa, notoriamente in difficoltà contro le corse, ha resistito finché ha potuto giocando un ottimo primo tempo, calando alla distanza ed alzando bandiera bianca in uno dei due drives decisivi della ripresa, che ha prodotto 87 yards in ben 10 minuti di possesso Jets, culminati con il secondo touchdown di giornata per LaDainian Tomlinson per il primo sorpasso di serata da parte degli ospiti.

I Colts hanno sofferto in particolare due matchups: in primis la mancanza pressoché totale di pass rush per il grande lavoro eseguito dal Pro Bowler Da’Brickashaw Ferguson contro Dwight Freeney, che non è nemmeno mai arrivato vicino a Sanchez, e quindi la difficile marcatura del tight end Dustin Keller, che se aggiunta ai problemi creati da Braylon Edwards, assevera la tesi dell’inidoneità di questa difesa contro ricevitori molto fisici, anche questo problema che si trascina dalle scorse edizioni di questa squadra. E proprio il fatto che lo stesso Edwards abbia ricevuto il pallone che ha permesso a Nick Folk di segnare il field goal del successo proprio usando il fisico è un’ulteriore testimonianza di questo concetto.

Proprio quell’ultima ricezione è stata oggetto di numerose polemiche in settimana, a causa del timeout, a detta di molti misterioso, chiamato da Jim Caldwell in quella particolare situazione.
I Jets stavano fronteggiando un secondo down con 8 yards da prendere e meno di trenta secondi da disputare, una situazione frenetica e frettolosa propiziamente interrotta dalla decisione di Caldwell di fermare il tempo e riflettere sulla prossima difesa da attuare, permettendo tuttavia agli avversari di studiare con piĂą calma lo schema idoneo per convertire quella situazione problematica, che sarebbe scaturito in un field goal di 50 yards per Nick Folk.

Ed è stato con tutta probabilità durante quel timeout che Brian Schottenheimer, l’offensive coordinator newyorkese, ha disegnato lo svolgimento del gioco successivo permettendo a Edwards un accoppiamento di evidente vantaggio contro il piccolo Jacob Lacey, che ha fruttato la ricezione di 18 yards andata a facilitare il compito di un Folk che dalla lunga distanza è spesso stato precario, lasciando facili conclusioni sull’esito di un tentativo calciato da una posizione più proibitiva, seppure senza averne la matematica certezza.

La offseason è arrivata in anticipo in casa Colts, e gli aspetti su cui lavorare non sono pochi.

L’aspetto positivo della faccenda è che ci sarà il tempo per rimettere in sesto tutti gli infortunati, soprattutto due giocatori fondamentali per Manning come Dallas Clark ed Austin Collie, ma un futuro di successo non può solamente prescindere dallo svuotamento dell’infermeria, e deve piuttosto passare dal miglioramento dei punti deboli, attraverso l’acquisizione di altro talento da mettere a disposizione di vari ruoli, cercando di capire se il running back dallo sprint immediato sia a roster o vada ricercato altrove, e se la poca fisicità della difesa debba portare ad un cambio di filosofia, che finora ha sempre privilegiato la velocità dei componenti e discapito del peso, croce e delizia di questa squadra che ha vinto tanto e sta vivendo un ciclo forse irripetibile, ma che nei playoffs, sotto Peyton Manning, è ferma a quota 9-10.

9 thoughts on “Colts, un’altra uscita prematura

  1. spero che nessuno dica piĂą che manning è piĂą forte di tom brady…..

  2. Inizio chiedendo scusa per la lunghezza del post. Se in qualche modo tale prolissità infastidisse l’autore dell’articolo, prego di segnalarlo. Non voglio in alcun modo dare vita ad una sorta di articoli non autorizzati.
    Detto questo.
    Gli americani sono innamorati dei numeri. Sono però anche dei grandissimi furbacchioni: i numeri compaiono al momento giusto, come al momento piĂą opportuno cadono nell’oblio. Agli americani piace (e sono maestri nel generarlo) quello che essi stessi definiscono “hype”, ovvero la classica MONTATURA da evento.
    Un mese e mezzo fa Payton Manning è stato collocato, nella classifica dei 100 giocatori di football di tutti i tempi , all’8°posto: non ho fatto altro che sentire e leggere quanto tale collocazione fosse meritata e come a conferma di tutto ci sono proprio quegli adorati numeri. Altre posizioni? Brett Favre 20°. Tom Brady (che può non entusiasmare me, ma che proprio l’ultimo arrivato non è) 21°.
    Poi arriva la sconfitta di sabato, e Peter King (PETER KING) in pratica propone il piĂą grosso ridimensionamento di Peyton Manning mai effettuato, in sole 15 righe (dalla riga 13 alla 28 del seguente link)
    http://sportsillustrated.cnn.com/2011/writers/peter_king/01/09/wild-card/1.html
    Sotto l’immagine di Peyton non viene scritto “P.Manning #18, 18/26, 225 YDS, 1 TD”, ma “Peyton Manning’s career playoff record fell to 9-10 after Saturday’s loss to the Jets”.
    9-10? Cosa? Sono anni che sento che Manning fa vincere le sue squadre e Favre le rovina, che Manning è un dio e Favre un “overrated”, e oggi si comincia a dire: – Certo però, 9-10 nei PO…
    Manning-Favre è il più classico confronto tra QB proposto negli ultimi, diciamo, 5/6 anni, forse anche di più (pur non esistendo una diretta rivalità come quella Manning-Brady). La tendenza generale è quella di propendere decisamente per il primo piuttosto che per il secondo (la classifica 8°- 20° parla chiaro). Io sostengo semplicemente che, escluso il lato emozionale ( per il quale non esiste confronto), Peyton Manning e Brett Favre siano i giocatori più simili che abbiano mai calcato un campo da football, e vivranno questa condizione di affinità per sempre, distinguendosi da tutti gli altri: o entrambi dei o entrambi “overrated” pompati dalle statistiche.
    Partiamo dai PO.
    Favre è 13-11 (.541), 1SB vinto, 1SB perso, 5 Championship giocati.
    Manning è 9-10 (.473), 1SB vinto, 1SB perso, 3 Championship giocati.
    Facciamo finta, per provocazione, di eliminare per entrambi la stagione dell’anello, che è una stagione magica, per molti aspetti irripetibile (se non sei Brady).
    Favre va 10-11 (.476); Manning va 5-10 (.333)
    Peyton avrebbe vinto la metà delle partite avendone però perse praticamente lo stesso numero.
    Considerate che in una annuale campagna PO è complicato finire con record positivo. Per farlo o arrivi al SB (vincendolo o perdendolo) , o arrivi al Championship partendo dal wild card weekend. Dunque Manning, la cui finestra (come scrive King) si sta chiudendo, ha ancora possibilità di migliorare il suo record PO ma dovrebbe ottenere in “vecchiaia” risultati migliori di quelli ottenuti da Favre negli ultimi anni (nel 2007 e nel 2009 nonostante 2 Championship Brett ha collezionato “solo” un 2-2). Così non fosse, Manning è destinato a peggiorare il suo score.
    Parliamo delle statistiche della stagione regolare.
    Favre ha giocato 19 stagioni (la stagione da rookie era back up) e detiene la quasi totalitĂ  dei records che un QB può detenere. Manning 13. Se prendete i numeri totali di Manning li dividete per 13 e li moltiplicate per 19 supera Favre in tutti i campi (tranne gli intercetti): alcuni di poco (completi e tentativi), altri piĂą marcatamente (yds e Tds). Bisogna fare delle considerazioni però. Presumere che tra i 35 e i 41 anni (ai quali non credo arriverĂ  il Peyton atleta) Manning possa mantenere il medesimo “passo statistico” calcolato sulle 13 stagioni sarebbe un errore. Per intenderci Favre nelle prime 13 stagioni lanciava in media 28,9 TDs: avrebbe dovuto quindi chiudere la carriera con 550 TDs (28,9×19), ma si è fermato a 508. Idem per le yds etc.. In piĂą Manning ha vissuto, e vive, rispetto a Favre delle condizioni estremamente particolari, per le quali i suoi numeri potrebbero essere ritenuti “drogati”. Queste sono principalmente 3:
    1.Manning è un indoor QB. Nella sua carriera ha giocato mediamente ogni anno 6 partite outdoor e 10 indoor. Favre al contrario ha disputato mediamente 13 partite outdoor e 3 indoor. Questo significa che mediamente ogni anno Brett ha giocato 7 partite all’aperto in più (in 19 anni, presupponendo che Peyton rimanga ai Colts, fanno 133 partite in più). Affermare che le statistiche non ne risentano è folle.
    2.Manning ha lanciato nella sua carriera ad un corpo ricevitori d’ elitè: un sicuro Hall of Famer (Marvin Harrison), un probabile Hall of Famer (Reggie Wayne), un mostruoso TE (Dallas Clark). Favre ha avuto Antonio Freeman (grande ma non grandissimo), Donald Driver e Bubba Franks. Con tutto il rispetto, imparagonabili.
    3.Manning sono anni che gioca in un sistema praticamente privo di running game: ciò rende il suo apporto offensivo percentualmente dominante.
    Una nota sugli intercetti per i quali Favre è sbeffeggiato. Brett in 19 stagioni e 297 partite ha lanciato 336 INT (17,6 l’anno; 1,13 a partita; il 33‰ dei passaggi tentati). Manning in 13 stagioni e 208 partite ha lanciato 198 INT (15,2 l’anno; 0,95 a partita; il 27‰ dei passaggi tentati). Una differenza sì, non una netta differenza, anzi.
    Una nota per la striscia di partite consecutive: sostenere che Peyton Manning ha la medesima “durability” di Favre è una idiozia. Manning in pratica non è mai stato infortunato, Favre ha giocato con qualsiasi tipo di infortunio. Manning ha subito 231 sacks, Favre in sole 89 partite in più ne ha subiti 525. In pratica anche giocando per altri 13 anni Manning non raggiungerebbe il numero di Favre. Anche questo grazie al sistema in cui Manning gioca (rilasci veloci e tantissime shotgun).

  3. ciao brett concordo su tutto. no è solo americana quella cosa ,è che se un giorno vinci o fai diciamo una buona stagione sei un grande s, se dopo sbagli non si ricodano più niente e ti massacrano, complimenti x tutte le statistiche cosi ricordate e dette , mi sembravi berlusconi quando ci illustra tutti i conti del governo ,oh non è un offesa non so e non voglio sapere da che parte meno sbagliata stai ciao p.s. non ho letto in questi giorni di confronti il nome del mio j. montana lui in quella classifica strana detta da te sopra dove si trova ciao

  4. Ma non hai emesso il tuo giudizio finale sul Manning qb.

    Penso che il giudizio non possa mai entrare nelle statistiche, ma in quello che uno vede e prova vedendo giocare questo o quel giocatore.
    Io guardando Manning rivedo Coppi (un’uomo solo al comando).
    Un’artista del passaggio.
    Un giocatore in grado di farti vincere e quando perde, ti tiene attaccato alla partita fino all’ultimo.
    Frasi tipo: “per battere Manning bisogna tenerlo fuori dal campo” rendono sempre giustizia.
    Poi si puo parlare anche della squadra (coach, difesa e running soprattutto) che influenzano sempre la carriera di un giocatore.
    In tutti i modi per me “il vero QB”.

    • L’analisi di Brett mi sembra condivisibile, poi si tratta sempre di punti di vista. Il paragone tra Favre e Manning ci sta, anche se lo stile dei due è da considerare molto diverso, io sono innamorato di entrambi da sempre e non saprei scegliere uno dei due per dargli in mano la mia squadra, li vorrei entrambi e basta. Un solo appunto sui ricevitori che aveva Favre, non bisogna dimenticare che nella prima parte della carriera Favre ha giocato con un tight end come Mark Chmurache non aveva le capacitĂ  atletiche di Clark ma aveva delle ottime mani. Nel tuo confronto mancano due grandissimi ricevitori dei Packers di metĂ  anni novanta, Robert Brooks e l’immenso Sterling Sharpe, quindi non è del tutto vero che Favre ha giocato con ricevitori di classe inferiore rispetto a quelli di Manning.
      Sui sack presi in carriera, qualcuno in piĂą Favre se l’è preso per la sua natura stessa di qb, molto istintivo. Manning è insuperabile enll’analizzare l’azione pre-snap e localizzare lo svolgimento dell’azione, che gli consente di liberarsi subito della palla. Ad ogni modo, un’ottima analisi la tua.

    • brett in realtĂ  ha emesso il suo giudizio. afferma che favre e manning sono praticamente identici come giocatori e anche le loro statistiche (relative ad ogni aspetto del gioco, lanci, vittorie, ecc…) supportano questa tesi. da qui il giudizio che o entrambi i qb siano considerati degli dei o che entrambi siano considerati degli overrated. dato che è lapalissiano che brett impazzisca per favre, vedendo i 2 giocatori identici il suo giudizio su manning è logicamente positivo. l’unica cosa che, dal modo in cui scrive, lo fa “incazzare” di manning è semplicemente il fatto che puntualmente venga considerato come “ultraterreno” e che si consideri esserci una voragine tra lui e favre

  5. ahahah zauker, si è esattamente così.
    Ringrazio anche Dave per aver espresso la sua opinione. E’ vero non ho citato il grande Sterling Sharpe, ma solo perchè ha giocato pochissimo con Favre purtroppo. Brooks non mi ha mai entusiasmato tantissimo.
    Per chi fosse interessato questo è il link con la classifica dei 100 giocatori di tutti i tempi cui ho fatto riferimento
    http://top100.nfl.com/

  6. grande disamina di brett,ho apprezzato molto anche quella su rodgers nell’altro post (nn conoscevo quel ‘lato’ di aaron..). le statistiche,specie nel football,ma in ogni sport e nella vita,sono sempre interpretabili,c’è un libro molto interessante (anche se un pò lento..) di darrell huff ‘Mentire con le statistiche’ che spiega perfettamente come si puo,in questo caso,far tornare a vantaggio di manning o di favre addirittura lo stesso dato statistico. grandi uguali (anche nell’antipatia x me..) ma io prenderei brett per una partita secca da giocarmi,e payton per una season. per il play off e SB invece sto con mister Bundchen! comunque rodgers è l’unico di quelli di adesso sul quale ci troveremo a disquisire sulla sua posizione nei top100 di sempre tra 10 anni..

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