Sembrava l'inizio di uno sposalizio ideale...appunto, sembrava.

L’aspetto triste della faccenda, dove la parola triste, beninteso, è strettamente in senso sportivo perché esiste ben di peggio, risulta nel fatto che non è mai cambiato nulla. Per quanto nella National Football League esistano modelli di conduzione di franchigie del tutto vincenti non ci si sforza mai di imparare da loro, e citarne gli esempi rende ancora più credibile quanto si sta tentando di sostenere con il presente scritto.

Di New England abbiamo discusso più volte, ed abbiamo oramai definitivamente intuito che questa è un’organizzazione modello di come si gestisce un’azienda (di questo si tratta, in fondo – ndr) legata ad una squadra di football americano, all’interno della quale è presente un management di altissima qualità che riesce a scovare talento dove i concorrenti non arrivano, e che predilige l’accumulo costante di scelte al draft (mai viste meno di dieci al colpo nell’ultimo triennio…) per rimpinzare adeguatamente la profondità del roster, con la conseguenza di non dover mai ricostruire del tutto.
Sono cristallini gli esempi pure di Atlanta, Tampa e Baltimore, dove, a turno, la guida offensiva della squadra è stata data a quarterbacks esordienti che si sono rivelati poi giocatori e leaders di alto livello: Matt Ryan si sta rivelando il vero antagonista di Tom Brady e spera di batterlo in una gara che ben conosciamo; Josh Freeman ha vissuto dei miglioramenti mostruosi da un anno all’altro ed è tra i motivi dei successi di quei Buccaneers che non sarebbero dovuti sopravvivere nell’intricata Nfc South; Joe Flacco era arrivato nella lega come un regista dal grande braccio, ma sottovalutato per la scarsa competizione che aveva affrontato al college, nella divisione inferiore assieme alla sua Delaware, arrivando poi a traghettare i Ravens ad un passo dal grande ballo.

La squadra Nfl media pensa e ragiona a lungo termine, e normalmente quando capisce che la situazione sta volgendo al peggio ed i giocatori principali stanno invecchiando (l’esempio dei Packers dovrebbe dirvi qualcosa…) con la conseguenza del rapido chiudersi di quella, come la chiamano in America, finestra di opportunità, si decide semplicemente di sacrificare il meno possibile, chiedendo ai fans uno o al massimo due anni di pazienza, ripartendo attraverso la selezione di qualche giovane di primissimo piano in uscita dall’università, magari ristrutturando il coaching staff o parte di esso, oppure firmando qualche free agent di grande impatto dando speranza al proprio tifoso attraverso dei miglioramenti piccoli ma costanti, che alla fine della fiera non hanno altro obbiettivo che quello di riprovare la corsa al Super Bowl, dato che qui non ci sono premi per i secondi, non esistono coppe secondarie, ed i trofei individuali lasciano sempre il tempo che trovano. Nella storia ci rimane soltanto chi vince The Big One, altrimenti ci si rimane solo per motivi negativi, legati a sconfitte clamorose, o a fallimenti di franchigie che sarebbero dovute essere, e che poi non sono state.

L’ultima definizione è perfetta per capire i Washington Redskins di Dan Snyder, che da quando è in sella alla proprietà del team della capitale ha letteralmente trasformato in ridicola una squadra di grande tradizione, conosciuta come vincente sin dagli anni ’30, l’epoca della sua fondazione, e poi capace, attraverso alti e bassi, di trasportare la sua consistenza anche nei tempi moderni, come dimostra l’ottenimento di tre trofei del Super Bowl vinti sotto le direttive tattiche del leggendario Joe Gibbs.

I Redskins di Snyder fanno oramai ridere chiunque ponga la propria attenzione od una qualsiasi discussione nei loro confronti. Sono passati più di dieci anni dall’acquisto della squadra da parte di questo tifoso multimilionario dal perenne sorriso stampato in faccia, e quanto ottenuto è stato sovente mortificante. Le qualificazioni ai playoffs si possono contare sulle dita di una mano monca, non bastano invece quelle di mani e piedi di più persone per elencare l’eccessivo numero di free agents di grande richiamo in seguito mai pervenuti sul campo, piuttosto che le scelte al draft puntualmente scialacquate da un team di managers che mai ha davvero capito che per vincere è necessario accumulare talento giovane, fresco, che poi va opportunamente sviluppato da un coaching staff capace e preparato, per poi cominciare ad inserirsi nei meccanismi di squadre dove il rookie è spesso chiamato ad esordire di tutta fretta, tant’é elevato il potenziale numero di infortuni che possono accadere al titolare di un qualsiasi ruolo, kicker compreso, in qualsiasi momento della partita.

Raramente Washington ha potuto disporre di una prima scelta per via di trade assolutamente incoscienti (il fantasma di Brandon Lloyd aleggia tuttora – ndr), spesso avvallate da un proprietario convinto che con i suoi dollari si sarebbe potuto benissimo acquistare un Super Bowl semplicemente piazzando la miglior squadra possibile in campo sommando il grandissimo talento dei singoli, con la conseguenza che, all’apertura del mercato dei free agents e degli scambi, ci si sarebbe sempre attesi di vedere i Redskins giungere per primi al più costoso giocatore a disposizione. E così è sempre stato.

E’ cambiato assai poco nell’ultimo anno, quando la dipartita del famigerato Vinnie Cerrato, gm dall’ego talmente gonfio dal divenire incapace di assumersi colpe imputabili in maniera sin troppo evidente a lui, è stata festeggiata dai fans a suon di petardi e bottiglie di champagne, l’era dello spreco sembrava abbondantemente terminata e tutti erano pronti per una ripartenza di classe, una ventata d’aria fresca portata dall’assunzione di Bruce Allen, un tempo manager dei Buccaneers, ma soprattutto di Mike Shanahan, capo allenatore di quei Denver Broncos autori della doppietta che ha chiuso nel migliore dei modi la carriera del grande John Elway, una persona che finalmente poteva essere ritenuta all’altezza del compito di installare una mentalità vincente nella squadra con continuità, e far dimenticare a tutti quanti il fatto di essere tornati a rivolgersi nuovamente a Joe Gibbs (a dire il vero, il coach che ha ottenuto i risultati migliori sotto Snyder), a cancellare il disgraziato processo di assunzione di Jim Zorn, cacciato come fosse il demonio ponendo in secondo piano in maniera assai codarda che in realtà era piena responsabilità di Snyder l’improvvisa assegnazione a head coach ad una persona che tutti sapevano non avere l’esperienza necessaria per ricoprire quella veste, ma anche a cercare di non far tornare alla mente il licenziamento di Norv Turner, una delle prime mosse dello Snyder appena insediato, un Turner che oggi magari non è capace di far percorrere tanta strada alle sue squadre nei playoffs, ma che perlomeno ci arriva tutti gli anni.

Il timore è che i Redskins non siano cambiati. Sono ancora benne impressi nella mente di tutti i colossali errori dello scouting team e del management, che hanno inventato di tutto per andarsi a prendere nello stesso draft giocatori come Devin Thomas, Malcolm Kelly e Fred Davis, passando sopra ad esigenze che gridavano aiuto da ogni angolo, ma che mai sono state ascoltate come meritavano. Oggi, Thomas è stato tagliato, Kelly lo sarà presto, e Davis ha avuto lampi di classe nel 2009, prima di effettuare un evidente passo indietro in questo regredito campionato, nel quale avrebbe potuto far proporre allo staff delle interessanti varianti offensive con la presenza di un doppio tight end con ottime caratteristiche in ricezione, ma lui, di Cooley, è stato solo e semplicemente il backup. Il fondamento di ogni squadra di football vincente, le due linee, sono state sostanzialmente ignorate, e riempite con personale del tutto inadeguato.

Poi il caso Albert Haynesworth, cui è stato puntualmente concesso un contratto da 100 milioni di dollari, una pazzia bella e buona per un singolo giocatore che non sia un quarterback, un disastro se letto con gli occhi delle conseguenze, le quali dicono che non dovrebbe esserci posto nella lega per qualsiasi giocatore attenda di firmare un sostanzioso signing bonus, cominci di seguito sterili polemiche sul suo utilizzo quando dovrebbe fare tutto ciò che gli viene richiesto compreso portare le borse dei compagni, e che reperisca qualsiasi scusa gli venga in mente per non presentarsi agli allenamenti o per giocare restando clamorosamente accasciato a terra, come accaduto nel disastroso Monday Night perso in casa contro Philadelphia.
E qui, probabilmente, si può dare ragione a Shanahan, che ha mostrato il pugno di ferro tenendo Haynesworth fuori dal training camp finché non si fosse rimesso in forma, un comportamento ritenuto eccessivo da qualche addetto ai lavori, quando invece eccessivo è il continuo sputare sul sostanzioso piatto su cui mangia da parte di un giocatore divenuto il fantasma di se stesso, perennemente in cerca di penose difese per il suo scarso operato.

La gestione personale ed il rapporto umano non sono mai stati un granché in questo periodo nella capitale, iniziando un vizioso gioco della ricerca al capro espiatorio che ha salvato chissà quante figure interne a questo ambiente.

E’ nota la vicenda di Jason Campbell, un esempio di gran professionista perennemente maltrattato dal continuo susseguirsi di voci di mercato che lo portassero fuori dall’area di D.C., ma sempre in campo pronto a prendersi un sacco di botte per via di una linea offensiva inesistente, rattoppata, che era stata sempre posta in secondo piano durante il periodo fertile del mercato e quindi costruita con giocatori di livello medio-basso.
Chi conosce Campbell meglio di noi e l’ha seguito in ogni giorno della sua difficoltosa avventura ai Redskins, può testimoniare di come il ragazzo non abbia mai aperto bocca per lamentarsi di venire fuori da ogni gara malconcio, facendo da un lato la figura del bravo giocatore che fa il suo dovere fino in fondo, dall’altro smascherando il suo essere leader fin troppo silenzioso, aspetto che il management ha valutato come difetto e che ha portato alla famosa trade con i Raiders nei giorni del draft scorso.

Era facile leggere una chiara mancanza di rispetto nei confronti di Campbell attraverso il movimento che da Philadelphia aveva portato Donovan McNabb, il presunto salvatore della patria, ed altrettanta mancanza di sensibilità è stata dimostrata verso il nuovo arrivato da parte di Mike Shanahan, che nella gara contro Detroit ha utilizzato goffe spiegazioni per motivare l’ingresso di Rex Grossman al suo posto negli ultimi due minuti di gara con Washington sotto nel punteggio (gara persa alla prima azione di Grossman, atterrato da un uomo di linea difensiva con conseguente fumble e ritorno in meta – ndr). Il fondo del barile lo si è raschiato poi, quando è arrivato un rinnovo contrattuale proprio di seguito a quella misteriosa vicenda, per scendere nel concreto ridicolo quando, una settimana fa, Shanahan ha annunciato alla stampa che McNabb sarebbe stato retrocesso a backup per tutte le rimanenti gare della stagione, dimenticandosi di avvertire il diretto interessato. Tra un anno, di questi tempi, “l’investimento” dei Redskins nel breve termine nel ruolo più importante della squadra, vestirà con tutta probabilità un’altra uniforme.

Ad oggi il primo anno dell’era Shanahan parla di 5 vittorie, un bottino molto magro, e decisamente troppo simile a quello raccolto dai suoi predecessori, segno che sono cambiate le menti, ma i risultati sono rimasti irrimediabilmente mediocri.
La pazienza sta volgendo tuttavia al termine, lo spogliatoio vive momenti di tensione e qualcuno ha già dichiarato alla stampa di valutare il fatto di guardarsi attorno, con l’intenzione di approdare in qualche squadra che venga gestita più seriamente di questa, o perlomeno con un minimo di coerenza.

I Redskins rimangono invece fermi lì, a leccare le numerose ferite che la gestione di Dan Snyder ha portato, presi in giro da tutti, per primi da quegli Eagles che hanno guadagnato suon di scelte per un quarterback finito in fondo alla panchina di una rivale divisionale, e che ora possono permettersi il lusso di schierare Michael Vick, il vecchio backup di McNabb, che si sta “solo” giocando con Brady il titolo di potenziale Mvp. Gli Eagles, con o senza McNabb, ai playoffs andranno comunque, anche in un anno dove qualche giornalista aveva definito un suicidio cedere il suo miglior giocatore ad un’appartenente della Nfc East. A Washington si resta davanti alla televisione, ancora una volta, in attesa che qualche pazzo rinsavisca, o che qualcuno che tiene veramente alle sorti di questa gloriosa franchigia si faccia spazio prepotentemente, e la conduca dove merita d’essere condotta.

3 thoughts on “Redskins, ennesimo fallimento…

  1. Volete farmi credere che c’è chi sta peggio di Cincinnati????
    eheheheh!!!

    Io a fine anno farei partire il coach (compreso il figliolo raccomandato offensive coordinator) e non il QB. Mcnabb non può essere diventato di botto un giocatore scarso, il problema sta nella linea offensiva ridicola. Quindi, invece che spendere altri soldi in difesa, sarà meglio rifare la OL in modo da dare a Mcnabb una chance di completare i passaggi…cosa che a Phila riusciva con discreti successi!

  2. Purtroppo sono anni che in questo periodo Dave è costretto a scrivere sempre le stesse cose su questa squadra. La cosa veramente ridicola è vedere come si perdono molte partite (tipo quella con i buccaneers). C’è qualcosa di molto malato nella gestione della franchigia. Per vincere qualcosa mi sembra che occorra cambiare proprietà.

  3. Bene citare Tampa tra le franchigie da prendere ad esempio, ma non mi sembra che in passato abbiano saputo scegliere i loro QB al draft , sarebbe la prima volta, citerei invece anche i Giants che hanno un talento incredibile nello scegliere lineman sia offensivi che difensivi di assoluto livello oltre ai RB, ci metterei anche i Qb visto che l’ultima scelta dei big blue al draft si chiama Rivers poi scambiato con Manning che non dimentichiamoci ha già l’anello sul dito. I fantasmagorici Patriots poi di vecchi a caro prezzo ne hanno comprati negli ultimi anni.

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