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Il soprannome del Rose Bowl è “The Granddaddy of Them All” e c’è un motivo ben preciso: questo è il Bowl senza dubbio più affascinante e ricco di storia, la cui prima edizione è stata giocata nel 1902 e che è giunto alla sua 102esima edizione. Per rendere meglio l’idea si pensi che il secondo, il Forth Worth Classic, si è tenuto per la prima (e unica) volta nel 1921 mentre il secondo Bowl più “longevo” ad essere ancora giocato è il Sugar Bowl, la cui prima edizione di è giocata l’1 gennaio 1935.
La sfida è storicamente uno scontro tra due mondi: da una parte troviamo l’est, principalmente nella forma di rappresentanti della Big Ten e quindi del freddo Midwest, e dall’altra l’ovest, personificato di base dalla calda Pac-12. Di norma si sfidano i campioni delle due conference, a meno che uno dei due sia implicato in faccende di titolo nazionale oppure che il Bowl stesso sia valido anche per il titolo BCS: quest’anno abbiamo Washington, campione della Pac-12, ai playoff ed il suo posto è preso da USC, oramai habitué dell’evento, avendolo giocato ben 33 volte con un record di 24-9. La Big Ten, invece, non ha espresso squadre nei playoff, ed è quindi rappresentata dai Nittany Lions di Penn State, che hanno vinto la Conference nel Championship contro Wisconsin: abbiamo quindi una sfida tra due atenei che nel corso degli anni hanno scritto la storia del football collegiale, entrambi reduci da alcuni anni bui ed ansiosi di ritornare al top della nazione. Penn State è nella Big Ten solamente dal 1993 e quindi non ha un grande rapporto con il Rose Bowl, giocato solamente tre volte, di cui una nel lontano 1922: curiosamente due delle tre partite (1922 e 2008) giocate dai Lions sono state proprio con i Trojans e sono arrivate due sconfitte, mentre l’unica vittoria è arrivata nel 1994 con Oregon.

Sam Darnold, QB, USC

Può un singolo giocatore cambiare le sorti di una squadra? Certamente, e per informazioni si può chiedere a Sam Darnold e Max Browne, i due QB dei Trojans: era stato quest’ultimo, senior, il giocatore designato dall’HC Clay Helton per il ruolo di titolare, ma le sue scarse prestazioni lo hanno relegato in panchina dopo sole tre weeks. Helton ha allora puntato su Darnold, redshirt freshman, e questi ha risposto con grande veemenza: dopo la sconfitta contro Utah all’esordio da starter sono arrivate 8 vittorie consecutive, tutte (ad esclusione della sfida con Colorado) con un margine di almeno 13 punti, compresa quella su Washington, all’epoca ed attuale #4 del ranking. Darnold innanzitutto ha dato un nuovo brio al gioco su passaggi, completando di più e per più yards rispetto a Browne, ha tenuto un ottimo rapporto tra TD e intercetti (26 a 8) e soprattutto ha dato una maggiore varietà all’attacco Trojans con la sua abilità di scrambler (230 yards corse per 2 TD). In questo rinnovato contesto hanno trovato buone soddisfazioni anche altri elementi dell’attacco, come il fisicato WR JuJu Smith-Schuster (pur con statistiche molto inferiori a quelle messe su nel 2015) ed il RB Ronald Jones II, sophomore texano di grande prospettiva che per la prima volta nella carriera collegiale ha superato le 1000 yards corse, con una grande seconda metà di stagione. La difesa, 26esima della nazione con i suoi 22,2 punti subiti a partita, non spicca dalla massa per statistiche: pochi sacks, pochi TFL, pochi intercetti e pochissimi fumble, creati e ricoperti, ma ha messo in mostra il talento straordinario del CB Adoree Jackson, junior, grande marcatore dei WR avversari con ottimi istinti per la palla (4 intercetti) e velocità superba che lo ha spinto ad essere utilizzato, con grande successo, anche come returner di kickoff e punts nonché, all’occorrenza, anche come RB e WR.

Saquon Barkley, RB, Penn State

Penn State. Eh, Penn State, da dove saltano fuori? Dopo gli scandali del 2011 che portarono a tutte le sanzioni, alle limitazioni e ai ban dalla postseason si pensava che i Lions dovessero faticare ancora un bel po’ prima di poter ricostruire un programma di successo ed infatti i due anni di Bill O’Brien e i primi due di James Franklin erano stati di transizione, con record tra le 7 e le 8 vittorie. Invece, poi, in questo 2016 i recruit portati dallo stesso Franklin hanno avuto una importante maturazione e le vittorie sono iniziate ad arrivare dopo un inizio modesto da 2-2, con sconfitta contro Pittsburgh e piallata da Michigan. Da lì in poi solo vittorie, 9, tra cui quella contro la #2 Ohio State fino al Championship contro Wisconsin. Né l’attacco né la difesa sono entrati tra i primi 20 della nazione, ma non per questo sono mancate le individualità che si sono messe in luce, a partire dal sophomore QB Trace McSorley, che aveva giocato solamente scampoli nella sua stagione da freshman e che invece è esploso con 3360 yards passate per 25 TD e 5 intercetti più 352 yards su corsa: ciò che ha stupito di McSorley è la ottima capacità di decision-making (comunque anche accompagnata dalla estrema competenza del coaching staff) nonostante la poca esperienza, soprattutto nelle situazioni più calde. Questa nuova verve offensiva (rispetto al 2015 i punti segnati sono passati da 23 a 36 a partita) ha portato benefici anche ai WR, con un altro junior, Chris Godwin, in prima linea mentre si sono rivisti anche lampi del migliore DaeSean Hamilton, che aveva fatto ottimi numeri all’esordio nel 2014 ma che si era poi perso cammin facendo. La stella del’attacco è stata, in ogni caso, il RB Saquon Barkley, non a caso nominato Big Ten Offensive Player of the Year, sophomore già titolare nella scorsa stagione ma dimostratosi uno dei migliori back della nazione in questa: per lui 1302 yards e 16 TD su corsa a cui ha aggiunto anche una brillante presenza fuori dal backfield, con 23 ricezioni, 347 yards e 3 TD. La difesa a volte ha concesso troppo, i 23,4 subiti a partita sono tanti, ma ha l’enorme pregio di trovare aggiustamenti di grande efficienza a metà partita (vedere il Championship come esempio, ma tante volte in stagione è andata così) e di avere un buon istinto nel creare turnover, mentre per quanto riguarda la pressione sul QB avversario molto dipenderà dalla vena di Garrett Sickels, 6,5 sacks per lui in stagione.

Penn State parte da un numero maggiore di vittorie ma c’è sempre una vocina che dice che i Lions abbiano approfittato al meglio di un calendario facile e fatto fruttare al meglio le uniche due partite ben giocate (Ohio State e Wisconsin): per questo motivo vedo favorita USC, che gioca praticamente in casa ed ha avuto una schedule più tosta.

3 thoughts on “Preview Rose Bowl

  1. Ho visto PSU dal vivo nel loro stadio anni fa prima dello scandalo, spero vincano dopo tanto tempo.

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