A volte, mandare giù una sconfitta collegiale è dannatamente più difficile che non riuscire a fare lo stesso antipatico esercizio in ambito professionistico. Questo ci insegna da sempre il mondo sportivo americano, che nell’ambito delle università ordina con estrema precisione tutte le forze delle squadre coinvolte attraverso il famigerato ranking, e raramente apre la strada ad una sorta di redenzione, permettendo seconde occasioni . Spesso basta una sconfitta e sei fuori. Se poi ne arrivano due, peggio ancora.

Bo Wallace

Bo Wallace

Passano le settimane e la tua squadra è nei piani alti del ranking, lottando per emergere da una division letale come la SEC West, che in questo fine settimana aveva persino vissuto il lusso di schierare tre sue appartenenti tra le prime quattro compagini del’intera nazione. Il campus è caldo, lo stadio pieno, assordante, e la speranza di poter essere selezionati per compiere il viaggio ai primi playoffs collegiali di sempre diventa sempre più reale, tutti parlano solo di quello. Poi un grosso tonfo, troppo rumoroso per non essere sentito. Due passi falsi nel giro di sette giorni e lo scenario cambia drasticamente, facendo rientrare in gioco altre concorrenti che magari avevano commesso l’errore in precedenza.

Questa è la durissima lezione che Ole Miss ha imparato sabato sera dopo la seconda partita consecutiva andata a monte, e la cosa fa ancora più male se vista da un punto di osservazione emotivo differente dal solito. I Rebels non erano la Cinderella della situazione come qualcuno si era permesso di far notare, che sospinta da chissà quale forza miracolosa si stava facendo strada tenendosi saldamente tra le prime quattro, questa era – ed è – una compagine che ha dimostrato di settimana in settimana di appartenere ad una categoria di livello superiore, pronta a misurarsi con i cosiddetti ragazzoni del campionato. Piccoli errori e minuscoli dettagli a volte fanno tutta la differenza del mondo, e quando ci si mette un po’ di sfortuna, allora forse significa che magari non era l’anno giusto.

Sette giorni fa era stata una lotta difensiva senza quartiere, con un 10-7 al passivo incassato sul campo di LSU, un punteggio raramente così basso per una conference come questa, sabato nello showdown contro Auburn è stato invece il turno di una vera e propria sparatoria western, con gli attacchi a prendere il dominio della partita facendo sì che fossero ancora una volta i minimi errori a fare la differenza. Ole Miss, in entrambe le circostanze, avrebbe benissimo potuto ancora essere imbattuta.

La scena che fa più male è senza dubbio l’istantanea dell’infortunio al bravo ma sfortunato wide receiver Laquon Treadwell, un episodio che ha determinato partita, stagione, ed esito del campionato per una questione di centimetri. Il pallone era sulle 20 yards di Auburn, tutto pareva pronto per l’ennesimo contro-sorpasso di un match sconsigliato ai deboli di cuore, tanto più se considerato un vero e proprio elimination game. Per l’ennesima volta in stagione il quarterback Bo Wallace aveva dimostrato di non perdere la calma in momenti come questi, nello specifico in una situazione con poco più di un minuto da giocare, la propria squadra in posizione di svantaggio nel punteggio ma con favorevole situazione di campo, ed un terzo down da convertire con 3 piccole yards da prendere, che diventano gigantesche se quel down, in realtà, è un terzo e stagione.

Laquon Treadwell

Laquon Treadwell

Wallace, freddo come sempre, aveva pescato il suo jolly, Treadwell, che per tutta la gara si era dato da fare come all-around wide receiver, prendendo palloni, e soprattutto mettendosi ad umile servizio per le situazioni di bloccaggio, favorendo in precedenza una particolare corsa del suo stesso quarterback che aveva totalizzato almeno 20 di quelle singole 59 yards per merito del doppio blocco del ricevitore. Laquon non aveva convertito solo il down, aveva la strada aperta verso la endzone e l’aveva percorsa senza esitazioni, pareva averne oltrepassato l’asse, atterrando malissimo in seguito al placcaggio della difesa e compiendo un giro della caviglia orribile alla vista. Caviglia dislocata e frattura della gamba, ma il sacrificio per la squadra era valso la pena, avrà pensato il giovane in quel momento di intensa sofferenza, perché significava la meta del sorpasso forse definitivo dopo che Nick Marshall, nella ripresa, aveva disposto della nota Landshark Defense in tutti i modi possibili ed immaginabili.

Questione di inches, si diceva. Più gli arbitri riguardavano l’azione per decidere se convalidare o meno la segnatura, più faceva ritorcere lo stomaco mettere inevitabilmente lo sguardo su quella caviglia, replay dopo replay, solo per capire che Treadwell aveva perso il possesso dell’ovale qualche centimetro prima della linea di meta, proprio mentre la sua smorfia di dolore cominciava a mostrarglisi sul viso, conseguendo in un beffardo touchback, con la palla che tornava nelle mani di Auburn per chiudere i conti con il cronometro. Difficile a dirlo, ma facile intuire che un buon numero delle lacrime che scendevano dal viso del giovane ricevitore fossero di un dolore mentale più che fisico, dato che il suo enorme sacrificio non era valso la vittoria per la sua squadra.

Il team di coach Hugh Freeze ha perso, ma ha dimostrato di appartenere ad una classe superiore rispetto a quanto preventivato in pre-season, quando si sapeva che questa poteva essere una buona squadra in grado di dare fastidio a tante contenders, ma non di poter essere lei stessa una contender. Ole Miss, invece, ha dimostrato l’esatto contrario. Ha lottato ad armi pari contro il possente e bilanciato attacco di Auburn, con Wallace a completare il 70% dei suoi passaggi per 341 yards e 2 TD, un’altra meta su corsa abbinata ad altre 61 yards, e la sola colpa di un fumble purtroppo per lui decisivo all’interno delle 20 yards favorevoli, un’altra occasione mancata per mandare all’aria le speranze dei Tigers. L’attacco ha chiuso con quasi 500 yards di total offense, ma la fortissima difesa dei Rebels, che mai in stagione aveva concesso più di 20 punti, ha subito le magie di Marshall e concesso conversioni troppo importanti in fase di terzo down, mostrando il fianco contro un gioco di corse devastante che ha bilanciato tutto il piano di gioco offensivo studiato da Gus Malzahn. Mea culpa forse più grosso degli altri, inoltre, è quello di non aver sfruttato le penalità fischiate ad Auburn per ben 145 yards di perdita.

Ma, per dare un’idea della consistenza di Ole Miss, basti quindi pensare ai 35 punti al passivo, ai numerosi big plays concessi, alla costanza dell’attacco nell’andare a segno, relazionando il tutto ad episodi, perché alla fine si tratta proprio di questo. Sarebbe bastato che l’altrimenti ottimo Wallace avesse tirato indietro il pallone invece di estendersi a cercare un guadagno aggiuntivo in quel momento inutile e perdere il possesso. Oppure un intervento più tardivo di mezzo secondo su Treadwell, che avrebbe potuto oltrepassare la linea di meta e magari salvarsi anche la caviglia. Oppure ancora sarebbe forse stato sufficiente che Senquez Golson, strepitoso defensive back per l’istinto che porta in campo, avesse concretizzato il suo decimo intercetto stagionale anziché vedersi cozzare la palla sulle mani per poi impennarsi, e quindi accasarsi dolcemente in quelle del wide receiver Sammie Coates, peraltro opportunamente – e beffardamente – appostato oltre la demarcazione del primo down.

Un esempio di...Landshark Defense!

Un esempio di…Landshark Defense!

Tuttavia, forse non è detta l’ultima parola. Un’attenta osservazione del calendario restante a ciascuna squadra rivela che le dirette avversarie per i primi quattro posti debbono giocare ancora delle partite molto, molto difficili, e nonostante il secondo stop di Ole Miss può esserci ancora una misera percentuale di motivazioni per sperare in una chiamata dell’ultimo minuto. Auburn dovrà disputare l’Iron Bowl con Alabama, ed i Crimson Tide sono stati sconfitti per l’unica volta in stagione proprio dai Rebels. La squadra di Nick Saban deve inoltre ancora giocare la sfida contro l’attuale numero uno, Mississipi State. E non dimentichiamo una sfida statale che con la giusta combinazione di eventi potrebbe diventare storica, l’Egg Bowl tra Ole Miss e Mississipi State, e se quest’ultima dovesse risiedere in quell’istante ancora prima nel ranking, una vittoria contro di essa potrebbe seriamente rimettere in gioco i Rebels medesimi, a patto che Florida State, imbattuta, oppure Oregon, la più probabile candidata a rimpiazzare Ole Miss tra le prime quattro, inciampino strada facendo.

Ma queste sono fantasie frutto di calcoli troppo cervellotici, che andranno ad essere inevitabilmente modificati  o confermati dai risultati sul campo. Fino a quel momento, sembra proprio essersi definitivamente chiusa la porta per una squadra che ha combattuto con grande onore con tutti, e che per come si è misurata con ciascuna delle sue rivali, merita di finire l’anno nella top ten. Pur dovendo sottostare alla durissima legge del college football, per Ole Miss sarebbe comunque un grandissimo risultato.

 

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