Jameis Winston

Jameis Winston

Sembrava ieri quando l’allora coach della linea offensiva Jimbo Fisher attendeva con pazienza di ricevere il testimone dalla leggenda vivente, Bobby Bowden, solamente colui che aveva scritto di persona le pagine più importanti della storia di questo programma di football. Allora non c’era molta credibilità, i Seminoles erano una squadra poco competitiva persino per la ACC, ed anche un’apparizione alla finale di conference sembrava un’impresa titanica, un qualcosa di cui si ricercava freneticamente la presenza per accendere nuovamente la fiammella della speranza di risalire a livelli consoni al prestigio sportivo dell’ateneo.

Fisher ha definitivamente restituito a Florida State la grandezza che già in passato l’aveva contraddistinta, e l’ha fatto per gradi: prima ritornando a vincere la conference, poi ottenendo una vittoria BCS importante come quella di un anno fa all’Orange Bowl contro Northern Illinois, e quindi conducendo una stagione dove la squadra si è meritata la prima piazza della nazione nel ranking, risultando non solo imbattibile, ma distante per qualunque avversario, con la sola esclusione di Auburn.

I Tigers, difatti, meritano tutto il rispetto del mondo per la partita di enorme spessore che hanno disputato nella cornice sempre gradevole del Rose Bowl di Pasadena, nel calduccio dell’accogliente California, mettendo a nudo debolezze che in precedenza nessuno era stato capace di scovare, e dando vita ad un National Championship addirittura dominato nel primo tempo, e quindi incerto fino all’ultimo secondo nella parte finale del suo svolgimento, dando una chiusura all’era BCS a dir poco eccitante.

I Seminoles erano arrivati con un vantaggio in doppia cifra secondo le previsioni dei bookmakers, ma la gara ha raccontato una storia ben differente, e per risolvere la situazione c’è voluta tutta la bravura del coaching staff nell’aggiustare attacco e difesa durante l’intervallo, ed è stata fondamentale la reazione psicologica di un Jameis Winston messo alle corde per tre quarti di gioco, impossibilitato a fare qualsiasi cosa si avvicinasse ad un’azione produttiva. Il destino, però, gli ha permesso di trovarsi nella situazione ideale per dimostrare il suo valore anche dopo una gara del tutto incolore, e lui ha risposto positivamente, conducendo Florida State al titolo assoluto.

Gus Malzahn ha preparato la partita in maniera magistrale, ed Auburn si è trovata nella posizione per vincere proprio per questo motivo.

Tre Mason ha fatto dannare la difesa dei Seminoles

Tre Mason ha fatto dannare la difesa dei Seminoles

In un primo tempo ad un certo punto condotto per 21-3, i Tigers hanno sfruttato l’attento studio dei punti deboli avversari scovando falle impensabili nelle secondarie, trovate soprattutto per merito delle finte su corsa ben orchestrate dal quarterback Nick Marshall, responsabile di tre mete dei suoi, ivi compresa una personale ottenuta con le proprie gambe. In due distinte occasioni un ricevitore di Auburn si è trovato completamente solo, e se nella prima un drop aveva vanificato il tutto, nella seconda il wide receiver Melvin Ray si è trovato solo campo aperto davanti, confezionando un touchdown di 50 yards per un big play che raramente la difesa di FSU aveva concesso in precedenza. In secondo luogo, il confronto tra le due linee è stato spesso vinto dalla consistenza di Auburn, fatto che ha permesso al pericolosissimo Tre Mason di accumulare le sue solite statistiche (195 yards su corsa, 42 su ricezione, 2 mete) mettendo a tacere chi sosteneva che contro quella difesa il running back non sarebbe riuscito a far registrare le sue abituali prestazioni.

Poi la difesa, un reparto asfissiante per la pressione che ha messo su Winston, il quale ha sempre tenuto il pallone per qualche secondo di troppo e ceduto terreno ai sack provocati dagli insistenti blitz di linebacker e defensive back, contribuendo in primis al misero 16% con cui Florida State ha concluso in termini di conversione di terzi down. La versatilità dei numerosi atleti di Auburn si è fatta sentire grazie ai preziosi contributi di giocatori come Cassanova McKinzy e  Kris Frost, linebackers dall’ampio raggio d’azione, mentre le coperture a uomo – bellissima la gara di Chris Davis – hanno funzionato per tre quarti di gara eliminando dal campo riferimenti come Kelvin Benjamin, Kenny Shaw, ed il tight end Nick O’Leary, il quale ha concluso senza ricezione alcuna. Simbolico pure il fatto che Winston fosse rimasto a secco per la prima volta in stagione durante la metà iniziale di una qualsiasi partita, quando in precedenza nei primi tempi aveva lanciato un totale di 26 passaggi vincenti.

La gara è girata quando la difesa di Florida State ha cominciato a farsi sentire, ed i singoli hanno dato le giocate che avevano mostrato di avere in dote per tutta quanta la stagione. Fondamentali sono state le prestazioni di Mario Edwards e Timmy Jernigan, due autentici pilastri del fronte difensivo, che hanno accumulato placcaggi dietro alla linea di scrimmage e cominciato a battere il proprio uomo, contribuendo ad un terzo quarto assolutamente improduttivo per i Tigers. L’attacco dei ‘Noles, nonostante due drive conclusi con sette punti ciascuno per portare ad una sola lunghezza le distanze nel punteggio – grazie anche, va ricordato, a due preziosi calci dell’affidabilissimo Roberto Aguayo, kicker di rara consistenza nel college football – ha continuato a dimostrarsi impacciato anche quando Fisher ha tentato di cambiare il piano di gioco cercando di esaltare la fisicità sulle corse, perché i Seminoles non hanno nemmeno avvicinato i numeri che il backfield aveva prodotto nelle precedenti uscite, dominando partite dall’inizio alla fine, con Devonta Freeman tenuto sotto le 100 yards, ed i contributi di Karlos Williams e James Wilder letteralmente spariti nel nulla.

Il botta e risposta finale è stato molto più che emozionante.

Levonte Whitfield

Levonte Whitfield

Il momento della partita sembrava essere girato definitivamente sull’elettrizzante ritorno di kickoff da 100 yards del velocissimo Levonte Whitfield a quattro minuti dalla conclusione per il primo vantaggio ‘Noles a seguito del 3-0 iniziale, ma ancora una volta la squadra di Malzahn ha colpito duro tagliando la difesa a fette con altri giochi produttivi, fino all’esplosiva galoppata di 37 yards ancora a firma dell’incontenibile Mason, che ponendo quattro punti di distacco costringeva Winston ad architettare obbligatoriamente una meta per vincere. Ed in poco più di un minuto, l’Heisman Trophy più giovane di sempre ha centrato 6 dei 7 passaggi tentati – fondamentale una ricezione di 49 yards di Rashad Greene, l’unico a dare seri problemi alle secondarie dei Tigers per tutta la partita – costruendo un drive di 80 yards, concluso nel migliore dei modi, con un passaggio per l’atleta più alto in campo, che per tutta la stagione era risultato immarcabile per chiunque, ma non per Auburn.

Ma nel momento della verità, quel pallone lanciato solo dove Kelvin Benjamin (6’6) poteva arrivare a prenderlo, ha dato l’epilogo per il quale Florida State aveva combattuto per tutto l’anno, lasciando 13 inutili secondi al desolato Marshall.

L’ultimo National Championship targato BCS – dall’anno venturo, ricordiamo, cominciano i playoffs – dimostra anche questo: non conta quanto dominante sia stata una squadra durante l’anno e non conta quanto essa possa essere annichilita per la maggior parte della durata della gara che decide tutto. L’aspetto più importante è come si reagisce alle avversità e nel college football si sa, molti vanno in panne dinanzi al primo vero momento in cui si trovano sotto nel punteggio perché non hanno mai affrontato una situazione similare in tutta la regular season.

Kelvin Benjamin riceve la meta decisiva.

Kelvin Benjamin riceve la meta decisiva.

Florida State, la cui grandezza si era intuita nella sonante vittoria contro Clemson in trasferta stabilendo l’egemonia nella ACC, non riuscendo a dominare si è comunque adeguata allo spessore di un’avversaria che ha combattuto con grande astuzia e forza, ha reagito, e nel momento del bisogno ha sferrato l’attacco letale. Si può vincere in tanti modi, basta saperlo fare.

Fisher, questi ragazzi li ha preparati a vincere sin dal training camp primaverile, senza sapere che il quarterback privo di esperienza cui aveva affidato il delicatissimo attacco della sua squadra, si sarebbe dimostrato il miglior giocatore di tutta la nazione, tirando fuori gli attributi nel drive che valeva una stagione intera.

Ed oggi, l’ombra di Bobby Bowden è un po’ meno ingombrante. Ed anche quella della perennemente imbattibile SEC.

 

3 thoughts on “Florida State, back to the Golden Era

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