La tempesta è l’habitat naturale per un uragano, ma quella che si è abbattuta due stagioni fa sull’università di Coral Gables rischiava di spazzare via in un sol colpo uno dei team più gloriosi del college football, finito sotto indagine NCAA per le rivelazioni del suo ex giocatore, nonchè ex finanziatore, Nevin Shapiro, che ha aperto il più classico dei vasi di Pandora rendendo pubblico tutto il marcio che si era nascosto, per innumerevoli anni, nel dipartimento sportivo degli Hurricanes, coinvolgendo in modo diretto il programma di football e, indirettamente, quello di basket.

Shapiro con Kellen Winslow

Shapiro con Kellen Winslow

A finire nell’occhio del ciclone è stato però il primo, con nomi altisonanti chiamati in causa, come quelli dei professionisti Vince Wilfork e Jon Beason, Antrel Rolle e Willis McGahee, Devin Hester, Kellen Winslow Jr. e l’indimenticabile Sean Taylor, rei di aver percepito soldi sottobanco dal faccendiere originario di Brooklyn, che dopo aver indossato la divisa di Miami, come ha raccontato lui stesso in un’intervista, ha preso il posto dell’allora principale finanziatore del programma, Luther Campbell, in arte Zio Luke, diventando il suo degno erede, con li curioso nickname di Little Luke.

Il fatto è questo, Luther Campbell è stato il primo Zio a prendersi cura di noi giocatori, poi è stato ridimensionato dalla NCAA e dalla scuola, allora serviva qualcuno che ne raccogliesse il mantello; quel qualcuno ero io. Lui era Zio Luke e io sono diventato Little Luke”, così lo spiegò al suo incredulo interlocutore lo stesso Shapiro, che nell’estate 2011, con queste rivelazioni, condusse gli Hurricanes sull’orlo della Death Penalty, sanzione salatissima subita nel football solo da Southern Methodist, negli anni ’80, mettendo in discussione dieci anni precedenti del football program e inguaiando molti dei componenti del roster affidato da poche settimane ad nuovo coach, Al Golden

Al Golden

Al Golden

Figlio del New Jersey, abituato a farsi strada da solo nel mondo del football, è arrivato in Florida dopo aver bruciato parecchie tappe in NCAA, dove era giunto giovanissimo, appena venticinquenne, a due anni esatti dal fallimento della sua avventura professionistica, come tight end, nei New England Patriots; era partito proprio dal suo stato natale, dalla Catholic HS di Red Bank, per conquistare un posto al sole nel college football, dove nel giro di dodici mesi dall’inizio sella sua carriera da coach vi era approdato, assunto come graduate assistent di Virginia.

Un biennio nei Cavaliers, 1994-96, e poi il passaggio a Boston College, 1997-99, prima di fare una veloce apparizione con la sua Alma Mater Penn State, nel 2000, e poi ritornare a Charlottesville per ricoprire il prestigioso ruolo di defensive coordinator; posizione che gli ha permesso di accumulare esperienza e gli ha aperto la strada per diventare capo allenatore di Temple, nel 2006, dove ha trasformato i mediocri Owls in uno dei team più convincenti della Big East Conference, riportandoli verso un record positivo che in Pennsylvania mancava dal 1990.

Risultato che gli ha spalancato le porte delle università più importanti, e dopo essere stato inseguito da Notre Dame e Tennessee, nel 2011 ha infine deciso di accasarsi a Miami, convinto a risollevare le sorti di un programma che non aveva mai brillato sotto la guida del suo predecessore Randy Shannon; deciso a partire con il botto già alla prima stagione a Coral Gables, forte di un quarterback esperto e pronto a spiccare il salto di qualità, Jacory Harris, di certo non avrebbe mai pensato di dover ricostruire quasi da zero il team.

Jacory Harris

Jacory Harris

E invece, nel torrido caldo estivo della Florida, una doccia gelata di nome Shapiro si era abbattuta, con la violenza tipica di un uragano, sulla squadra che lui aveva scelto per provare a competere con i grandi; nel giro di poche settimane le rivelazioni dell’ex ‘Canes lo privano di molti starter, con otto giocatori che vengono prima indagati e poi sospesi ed altri quattro che risultano coinvolti, tra i quali spiccano il già citato QB Harris, il receiver Travis Benjamin e il corner Brandon McGee, tre componenti fondamentali del roster.

Le sanzioni, il massimo sono sei partite di sospensione al defensive end Oliver Vernon, non sono pesanti, ma Miami subisce il colpo, e soprattutto il direttivo dell’università decide di prendere subito provvedimenti, anticipando che nonostante il team di football dovesse riuscire a strappare un biglietto per la postseason, non prenderà parte ad alcun Bowl; la stagione si chiude in pareggio, la possibilità per accedere ad una delle finali ci sarebbe, ma in Florida sono di parola, e l’appuntamento con uno degli eventi organizzati dalla NCAA viene rimandato al prossimo anno.

Il 2012, a Coral Gables, le misure sono drastiche, vengono allontanati dalla squadra tutti quei giocatori che hanno avuto un qualsiasi genere di rapporto con Shapiro e quelli che vengono comunque sospettati di essere a conoscenza del modus operandi in vigore, gli Hurricanes si presentano ai nastri di partenza con un roster quasi completamente rinnovato, composto da tanti giovani talenti, ingaggiati da coach Golden con un unico scopo, rilanciare il programma di football dell’università di Miami.

La missione gli riesce solo parzialmente, arrivano sconfitte più dettate dall’inesperienza che da carenze a livello tecnico, dove, anzi, emergono più individualità interessanti, che dimostrano di avere tutte le qualità necessarie per farsi strada in NCAA; i ‘Canes vincono all’apertura con Boston College, perdono malamente con Kansas State, e poi infilano tre vittorie consecutive, con Bethune-Cookman, Georgia Tech e N.C. State, prima di essere nuovamente fermati da Notre Dame, che li surclassano nel secondo tempo con un 28 a 0 che rende vana la resistenza mostrata dai ragazzi di Golden nel primo tempo, chiuso con un onesto 3-13.

La partita persa con i Fighting Irish diretti verso il National Championship, apre una piccola crisi per Miami, che la porta a subire altre due sconfitte con North Carolina e Florida State, facendosi rimontare nel secondo periodo, dopo aver chiuso il primo, in entrambe le occasioni, in vantaggio; colpa dell’insperienza e della difficoltà di qualche ragazzo di reggere la pressione quando il match si gioca sul sottilissimo filo del rasoio, situazione che si ripete anche due settimane più tardi, con Virginia, capace di ribaltare il risultato negl’ultimi quindici minuti, passando da uno svantaggio di 10 punti, 28-38, ad una risicatissima vittoria per 1, 41-40.

Stephen Morris

Stephen Morris

I Cavaliers, dove Golden era cresciuto come allenatore, infliggono ai ‘Canes la quinta sconfitta stagionale, ma ciò non impedisce ai ragazzi di coach Al di chiudere in positivo anche la seconda stagione con lui al timone, grazie alle prestazioni in crescendo che li portano a vincere le ultime due partite contro South Florida e Duke, per un record 7-5 che gli apre nuovamente l’accesso ad un Bowl; appuntamento che ancora una volta viene però cancellato d’ufficio dal dipartimento sportivo di Coral Gables, che annuncia nuovamente l’autoesclusione dalla partite che chiuderanno la stagione NCAA.

Autoesclusione che non si sa ancora se sarà decisa pure quest’anno, dove Miami sembra finalmente tornata a livelli altissimi, mai toccati da quando è entrata a far parte della Atlantic Coast Conference, nel 2004; gli Hurricanes, dopo un inizio morbido contro Florida Atlantic, 34-6, hanno battuto a sorpresa l’attuale numero 12 Florida, 21-16, prima di asfaltare con un netto 77-7 Savannah State, superare 49 a 21 South Florida e sconfiggere Georgia Tech per 45 a 30, centrando una partenza 5-0 che non avveniva dal 2004, anno in cui vinsero le prime sei partite della stagione prima di perdere 31 a 28 a North Carolina.

Gli stessi Tar Hells che verranno affrontati dai ragazzi di Golden questo weekend, in un match che li vede nettamente favoriti, almeno sulla carta, per ottenere la sesta affermazione consecutiva, forti anche di una consapevolezza nelle proprie forze raggiunta a piccoli passi, seguendo, non solo a parole, la politica del proprio coach, ovvero quella di affrontare una partita alla volta, come se non ci fosse un domani.

In questa maniera il giovane coach dei ‘Canes ha ottenuto il massimo dai suoi atleti, che rispetto ad un anno fa paiono decisamente trasformati, vista l’intensità e la concentrazione che mostrano sul terreno di gioco, dove hanno limitato al minimo gli errori; merito anche dell’esperienza maturata nella scorsa stagione, quando tantissimi di loro, al primo anno di gioco in NCAA, vennero gettati nella mischia per ottenere un taglio definitivo con il recente passato.

Duke Johnson

Duke Johnson

Una maturità che traspare anche dalle parole di alcuni dei protagonisti di questo fantastico inizio, come lo junior linebacker Denzell Perryman, “Sembra quasi di non avere giovani in squadra; anche le matricole paiono giocatori navigati, giocano come veterani”, che con il defensive lineman Shayon Green compone lo zoccolo duro difensivo di Miami, trascinata fin qui da uno Stephen Morris superlativo, che ha completato per 950 yards, 9 touchdowns e 4 intercetti, mantenendo una media superiore alle 10 yards guadagnate con ogni passaggio.

Attacco che finalmente funziona, anche per la conferma nel backfield dell’ottimo sophomore Duke Johnson, già messosi in bellissima mostra nella stagione di esordio NCAA, conclusa con 947 yards e 10 TD all’attivo, lanciatissimo verso la sua prima 1,000 yards season dopo aver conquistato già 572 yds nelle prime cinque partite di questo torneo; il giocatore originario proprio di Miami, sta dando continuità alla tradizione che ha sempre permesso agli Hurricanes di sfornare ottimi runningback, molti dei quali fanno ancora attualmente parte dei roster NFL, lega dove sembra destinato a giungere quanto prima il numero 8.

E mentre Golden si coccola la sua creatura e i suoi talenti, convinto di aver seguito la strada migliore per permettere ad uno dei programmi storici del college football di tornare ai fasti del passato, chissà che qualcuno, nella stanza dei bottoni, non decida che finalmente è giunto il tempo di premiare la rinascita di Miami con il ritorno ad un Bowl di fine stagione; qualcuno, addirittura, sogna già il BCS Championship, ma l’allenatore del New Jersey, amante della politica dei piccoli passi, sarebbe già ampiamente soddisfatto se riuscisse a prendersi il titolo della Coastal Division, mai conquistato dai ‘Canes.

Link all’articolo originale su www.footballnation.it.

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